Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/03/2016, a pag. 2, l'analisi "L'antisionismo è il nuovo antisemitismo facile, alla portata di tutti".
Brigitte Stora
La francese Brigitte Stora, studi di sociologia ed etica alle spalle, giornalista indipendente (come un po’ vezzosamente ama definirsi) e cantautrice, all’inizio di quest’anno si era già mostrata pronta a provocare il suo storico entourage. Lo aveva fatto con un pamphlet-denuncia intitolato “Cosa sono diventati i miei amici. Gli ebrei, Charlie e poi tutti gli altri”, scritto sull’onda emotiva degli attacchi al giornale satirico francese, ad alcuni ebrei francesi e infine al Bataclan. Questa settimana la Stora è tornata a dare battaglia, in un intervento pubblicato sul Monde e intitolato: “L’odio verso lo stato d’Israele è sinonimo di quello verso gli ebrei”. Inizia così: “Ritengo che l’odio per Israele, che sembra essere la matrice dell’antisionismo, sia sinonimo di antisemitismo. Il dibattito sul sionismo ebbe luogo nel movimento operaio ebraico all’inizio del XX secolo. I comunisti vi anteponevano l’internazionalismo, i socialisti del Bund puntavano all’autonomia territoriale e culturale, la maggioranza dei sionisti riteneva che il socialismo passasse innanzitutto per la creazione di una nazione per gli ebrei. La Storia è passata da qui. Questo dibattito è ormai sorpassato, finito con la creazione dello stato d’Israele”. Prosegue la Stora: “Israele non è più un sogno, è un paese. L’antisionismo, oggi, non è più una posizione teorica sul futuro che potrebbe essere, ma è una volontà di distruggere qualcosa che c’è. E questo punto di vista non è stato e non è senza conseguenze. (…) Si può ancora sognare, come Jan Valtin, un mondo ‘senza patrie né frontiere’: ma come spiegare allora questo ‘rifiuto’ di un solo movimento di liberazione nazionale, quello del popolo ebraico? Come spiegare tale scomunica di una sola nazione, Israele?”.
Antisionismo o antisemitismo?
La Stora ricorda la propria militanza nell’estrema sinistra negli anni 80, anni in cui “non si poteva immaginare” il nascere di alleanze tra la gauche internazionalista e “forze mortifere, antifemministe e antisemite”. Né i casi cileno, polacco, sudafricano “hanno mai suscitato questa strana solidarietà, in cui l’odio domina. Nessuna ‘denuncia’ di alcun governo si è mai meritata un vocabolo ad hoc, nessun paese è stato considerato come un nome proprio al quale affibbiare l’aggettivo ‘assassino’. E quando nelle manifestazioni si urla ‘Israele assassino!’, chi è l’obiettivo indicato? Un paese, un popolo o un fantasma?”. L’intellettuale ammette che di recente forse la sola Turchia è stata bollata automaticamente come “assassina” per quanto fatto nei confronti degli armeni, “ma mai è stata in discussione la ‘distruzione’ dello stato turco. E solo Israele si merita un termine particolare, la parola ‘antisionismo’, la cui triste assonanza con ‘antisemitismo’ ci ricorda ancora una volta questo trattamento eccezionale”.
Per la Stora, “la grande maggioranza degli ebrei oggi condivide la riflessione di Raymond Aron: ‘Se le grandi potenze lasceranno distruggere il piccolo stato d’Israele, che non è il mio, questo modesto crimine (se rapportato alla scala mondiale) mi leverebbe la forza di vivere’”. Ecco l’energia dei legami famigliari, culturali e religiosi di milioni di persone in giro per il mondo con Gerusalemme. La giornalista sottolinea infine il paradosso per cui gli odiatori di Israele paiono spesso sorvolare pure sulla sorte dei palestinesi cui dicono di tenere, salvo quando finiscono sotto il tallone di Hamas, Stato islamico o altri regimi arabi. Conclusione: “L’antisionismo è una delle disgrazie dei palestinesi, forse dell’intero mondo islamico. Non ha legittimazione teorica, concettuale o politica. Come ha scritto Jankélévitch, ‘l’antisionismo è l’antisemitismo con una giustificazione, messo infine alla portata di tutti’”.
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