Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/03/2016, a pag. 1-3, con il titolo "Vi prometto la verità sulla morte di Regeni", l'intervista di Mario Calabresi, Gianluca Di Feo a Abdel Fattah al Sisi.
Mario Calabresi, Gianluca Di Feo
Abdel Fattah al Sisi
ALLA fine il generale Al Sisi, presidente dell’Egitto, che per due ore aveva risposto alle nostre domande ci fa segno con la mano di aspettare, si schiarisce la gola e dice in inglese: «Permettetemi di rivolgermi alla famiglia di Giulio Regeni». Allora è subito chiaro che tutto quel tempo serviva soprattutto a questo, a mandare un messaggio forte all’Italia, a mostrare che l’Egitto ha capito cosa l’opinione pubblica, il governo, i giornali e soprattutto una famiglia chiedono da settimane. E guardando un punto fisso nel vuoto ricomincia a parlare lentamente in arabo per essere sicuro che il traduttore non perda una parola: «Mi rivolgo a voi come padre prima che come presidente, comprendo totalmente la pena e il dolore che state provando per la perdita di vostro figlio, sento il senso di amarezza e lo sconvolgimento che ha spezzato il vostro cuore. Lo comprendo e il mio cuore e le mie preghiere sono con voi. Vi faccio le mie più sentite condoglianze e sono solidale con la vostra grande perdita. Vi prometto che faremo luce e arriveremo alla verità, che lavoreremo con le autorità italiane per dare giustizia e punire i criminali che hanno ucciso vostro figlio».
Questa intervista che si è tenuta nel palazzo presidenziale, in quello che un tempo era l’Heliopolis Palace il più grande hotel d’Africa all’inizio del Novecento, era nata per parlare della tortura e della morte di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano rapito al Cairo il 25 gennaio, il cui corpo è stato ritrovato il 3 febbraio. Il fatto che si sia concretizzata, dopo giorni di trattative, era già il segno di una svolta nel regime egiziano e che il rischio di mettere in gioco un rapporto fondamentale come quello con l’Italia era finalmente chiaro. Il presidente Abd al-Fattah Al Sisi si muove senza troppe cerimonie e si fa accompagnare soltanto dal suo portavoce, un giovane diplomatico già console a Barcellona. Ascolta le domande in inglese ma preferisce rispondere in arabo perché è la lingua del suo Paese e perché non vuole fraintendimenti. Ma ascolta ogni parola della traduzione e se gli sembra non corretta, ripete la frase e chiarisce.
Perché il suo messaggio ha la necessità di essere chiarissimo: «Il rapporto con l’Italia è storico e unico per la sua natura, oggi siete il primo partner commerciale dell’Egitto nell’Unione europea, ed è forte anche l’amicizia tra i nostri popoli per la presenza di importanti comunità nei due Paesi. Non possiamo permettere a niente e nessuno di dividerci ». Un legame non solo storico ma anche vitale, tanto che non usa giri di parole: «Il lavoro con l’Eni oggi è il simbolo della profondità e della forza delle eccezionali relazioni con l’Italia. Ed è un segno di buona fortuna la scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo, che rappresenta per noi il cardine da cui poter sviluppare ogni altra attività in Egitto». Un’intesa cementata dalla relazione con il presidente del Consiglio italiano, il primo leader europeo ad arrivare al Cairo dopo che Al Sisi è salito al potere: «Ho grande stima e profondo rispetto per Matteo Renzi, che considero un vero amico mio e dell’Egitto. Abbiamo un ottimo rapporto e lui è persona di principi che non dimentica gli impegni e i legami che abbiamo». Alla fine di questa descrizione è chiaro quanto il rapimento, la morte dopo atroci torture e quel corpo gettato ai bordi di una strada, mettano a rischio la stabilità e la tenuta di un Paese che dall’Italia dipende molto. Così il presidente Al Sisi accetta una sfilza di domande, senza però mai rispondere direttamente su chi possano essere i responsabili del delitto.
L’uccisione di Regeni ha sconvolto gli italiani, avete la percezione qui in Egitto di quanto questo minacci le nostre relazioni? «Per prima cosa voglio dire agli italiani che questa morte è uno shock per l’Egitto come per l’Italia. Ciò che è accaduto è terribile e inaccettabile, non ci appartiene e sconvolge non solo il governo ma tutto il popolo egiziano. Questo è un fatto drammatico ma unico, migliaia di italiani hanno visitato, lavorato e vissuto in Egitto e a nessuno di loro è mai accaduto nulla, sono stati in sicurezza».
Ma in queste sei settimane la collaborazione nelle indagini è apparsa debole e insufficiente. «L’indagine qui in Egitto è dal primo momento sotto la diretta supervisione del procuratore generale e ci sono gruppi di investigatori specializzati che stanno lavorando giorno e notte per scoprire le cause reali e svelare le circostanze che hanno provocato questa drammatica morte. Non ci fermeremo finché non sarà stata raggiunta la verità sulla fine di Giulio Regeni».
Al Cairo è stato finalmente ricevuto il procuratore di Roma, come vi muoverete adesso, ci saranno altri passi concreti? «Voglio sottolineare l’importanza di intensificare la collaborazione tra i nostri due Paesi per svelare il mistero su questa morte e processare i colpevoli. Tra pochi giorni il team egiziano che segue il caso andrà a Roma per discutere come migliorare il coordinamento delle indagini con le autorità italiane».
Quanto ci vorrà per avere dei risultati? «Voglio sottolineare il grande sforzo del governo egiziano nel combattere il terrorismo e l’estremismo per avere stabilità e sicurezza nel nostro Paese. Nove mesi fa c’è stato l’omicidio del procuratore generale egiziano e ora, solo ora, con uno impegno incessante dei servizi di sicurezza, abbiamo scoperto la verità e abbiamo individuato i colpevoli che saranno processati».
Ma avrete un’idea di cosa possa essere successo al ricercatore italiano. «Sulla morte di Regeni ci sono molti interrogativi che dobbiamo porci: il primo è sulla tempistica, in particolare sulla scoperta del corpo. Perché è accaduta durante la visita di una delegazione italiana di imprenditori con il ministro dello Sviluppo economico, che erano al Cairo per rafforzare la nostra collaborazione? Perché è accaduto mentre le relazioni tra noi hanno raggiunto un livello senza precedenti dal punto di vista economico e politico? Un’altra domanda inevitabile è capire chi ha interesse a boicottare o bloccare l’ampia collaborazione tra Italia e Egitto sul fronte dell’energia e della sicurezza, in una fase di turbolenza in tutta la regione. Non bisogna dimenticare l’importanza di questa cooperazione che arriva in un momento di sofferenza per la nostra economia e dopo anni di debolezza».
Lei quindi ci sta dicendo che i colpevoli del delitto Regeni vanno cercati tra i suoi nemici? «Parliamo dell’attacco al turismo, del crollo delle presenze russe completamente azzerate e di quelle italiane, mettiamo insieme tutti i fatti degli ultimi mesi, congiungiamo i puntini e vediamo l’immagine completa che si viene a creare: l’obiettivo è colpire l’economia egiziana e isolare il Paese. Questa è una ritorsione per la grande guerra che l’Egitto sta conducendo contro le forze dell’estremismo e del terrorismo. Spero che rimarremo uniti contro questi nemici e non permetteremo a nessuno di dividere l’Egitto dall’Italia».
E come vi comporterete? «Vorrei assicurare al popolo italiano che i nostri sforzi continueranno notte e giorno finché non avremo trovato la verità su tutto quello che è accaduto e finché non avremo arrestato i colpevoli e li avremo portati in tribunale e puniti secondo la legge».
Ma un’idea su cosa sia successo e chi siano i colpevoli l’avrà? Al Sisi, che per tutta l’intervista è rimasto sempre fermo e composto nella sua sedia, si rabbuia e strizza gli occhi come chi cerca di guardare lontano: «Vi ho parlato delle molte sfide e dei rischi che ha di fronte oggi l’Egitto, vi ho parlato degli sforzi per garantire sicurezza e stabilità, ho promesso che ci impegneremo in modo convinto ed energico per portare in tribunale i responsabili. Stiamo fronteggiando una sfida terroristica che ha come obiettivi i luoghi turistici e il confine con la Libia e non abbiamo bisogno di creare divisioni ma di avere un rapporto di unità e sostegno con una nazione amica come l’Italia. Mi permetta però anche di parlare di Adel Moawad Heikal, un egiziano che è scomparso cinque mesi fa in Italia ma di cui non abbiamo mai avuto notizie. Tutti gli sforzi di ricerca non hanno avuto successo. Ma incidenti come questi non possono rovinare la relazione tra i nostri Paesi. I tempi duri mostrano e testano la forza e la durata delle relazioni di amicizia tra i Paesi».
È a questo punto che il generale Al Sisi cambia tono di voce e chiede di poter mandare un messaggio alla famiglia di Giulio Regeni, vuole essere certo che “la svolta collaborativa” del Cairo sia compresa ma insieme far capire agli italiani che in gioco non c’è solo il futuro del suo Paese ma una partita che riguarda tutti. «C’è un punto fondamentale su cui riflettere: la stabilità dell’Egitto è cruciale, se dovesse finire sarebbero in pericolo il Mediterraneo e l’Europa. In Egitto vivono 90 milioni di persone, un quarto della popolazione del Medio Oriente. 60 milioni hanno meno di quarant’anni immaginate se solo uno su 1000 di questi giovani (60mila, più degli attuali combattenti dell’Isis nel mondo, ndr) si radicalizzasse e venisse reclutato dai terroristi: il risultato sarebbe una forza distruttiva che avrebbe un impatto devastante non solo su questa regione». Il pensiero costante di Al Sisi è il rischio di crollo dell’Egitto, cita continuamente lo sbriciolamento degli altri pilastri su cui si reggeva il mondo arabo — Iraq, Siria, Libia — la liquefazione delle entità statali e il caos da cui non si riesce ad uscire: «Questa è la mia missione, il mio dovere è che le istituzioni egiziane non collassino, perché così crollerebbe il mio Paese e un effetto domino investirebbe tutta la regione. Spero di farcela, ho fiducia che ce la faremo. Renzi ha capito perfettamente cosa c’è in gioco e per questo ci sostiene e io sono grato per il sostegno dell’Italia».
Ma come pensa di battere il terrorismo, con i militari e i servizi di sicurezza? «Negli ultimi mesi il numero degli attentati è costantemente calato non solo per le operazioni dei servizi di sicurezza ma anche grazie a enormi sforzi politici, economici, sociali e intellettuali, perché in questi campi si combatte l’ideologia che alimenta il terrorismo». Il generale diventato presidente, che non indossa più la divisa ma solo un abito grigio, con scarpe nere lucide e camicia bianca, sembra aver ben chiaro chi ci sia dietro la strategia del terrore: «Dobbiamo essere onesti e molto chiari con noi stessi: è un fenomeno internazionale che si sta diffondendo in tutto il mondo, non la minaccia a singoli paesi. Il terrorismo in Egitto è legato alle crisi della regione, Libia, Siria, Yemen, Iraq, Mali, Somalia e Nigeria. È per questo che ci vuole una strategia globale e non gli sforzi di singoli Paesi: deve essere la priorità numero uno della comunità internazionale. È molto importante che la comunità internazionale mandi un messaggio fortissimo ai Paesi e ai partiti che sostengono i terroristi rifornendoli di armi, soldi e combattenti».
Chi sono questi sponsor del terrorismo? Il presidente egiziano sorride e scuote la testa prima di rispondere secco: «Sappiamo tutti chi sono questi Paesi e questi partiti e ci vuole un messaggio forte e chiaro in cui si chiede loro uno stop al sostegno dei terroristi. Più tardi lo faremo e più sofferenze avremo. Tutti».
(1- continua)
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