Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/03/2016, a pag.3, l'editoriale dal titolo "Cercasi tv per il film su Charlie Hebdo".
In attesa che il docu-film dei Leconte venga distribuito liberamente, cliccare sul link sottostante per avere informazioni su Netflix:
http://www.badcomics.it/2016/01/je-suis-charlie-il-documentario-e-disponibile-su-netflix/93779/
Netflix distribuisce oggi, giovedì 7 gennaio, in tutti i 130 Paesi coperti dalla propria piattaforma di streaming, il documentario Je suis Charlie. La pellicola prodotta da Pyramide International intende commemorare i 12 caduti dell’attacco terroristico, a un anno esatto dalla brutale strage nella sede del settimanale Charlie Hebdo. Tra le vittime illustri ricordiamo i fumettisti Cabu, Charb, Wolinski eTignous. Di recente a tutti loro è stata dedicata una targa (trovate la foto in coda al pezzo) che riportava il nome errato “Wolinsky” (subito corretto), cosa che ha alimentato una fugace polemica.
Il film vede alla regia Emmanuel e Daniel Leconte. Quest’ultimo ha già diretto nel 2008 il docu-dramaIt’s Hard To Be Loved by Jerks (“Non è facile farsi amare dai coglioni”), relativo alla battaglia legale della rivista satirica riguardante la rappresentazione del profeta Maometto.
Je suis Charlie conterrà interviste inedite sia ad alcuni degli autori morti durante l’assalto che a quelli sopravvissuti. Ci sarà spazio anche per i fatti seguenti l’attentato, con la ripresa delle manifestazioni e della reazione della popolazione francese durante quei giorni. Non mancherà inoltre una parte incentrata sul dietro alle quinte della lavorazione del numero di Charlie Hebdo successivo alla tragedia.
Ecco l'editoriale del Foglio:
Netflix va bene, ma non arriva al grande pubblico. Per questo è un peccato che il bellissimo film di Daniel ed Emmanuel Leconte, padre e figlio, "Je suis Charlie", sia confinato nella piccola gabbia del digitale. Servirebbe un canale tv che lo trasmettesse in tutta Italia. Perché è un film splendido e coraggioso. Perché fa parlare i sopravvissuti della strage più importante del XXI secolo dopo l'11/9. Perché è andato a trovare materiale inedito sui giornalisti e vignettisti uccisi, mostrandoci cosa li portò a decidere di pubblicare le vignette su Maometto, condannandosi a morte. Perché si interroga, intervistando pezzi da novanta della cultura francese come Elisabeth Badinter, sulla battaglia (forse persa) della libertà d'espressione. E' un peccato che la gente non possa vedere "Je suis Charlie", perché l'emozione e la verità contenute in quei volti e in quelle parole spingerebbero tanti a capire davvero questa storia e le tante altre che hanno scandito un decennio di intimidazione islamista e di viltà occidentale (Van Gogh, le vignette danesi, Ratisbona). Nel film Philippe Val, già direttore di Charlie, spiega che non è come ai tempi di Diderot e Victor Hugo, gli scrittori esiliati dal potere statale. Nel caso di Charlie, il potere statale è rimasto vittima (tramite i poliziotti assassinati dai sicari isla-misti) o è sempre stato imbarazzato dall'esercizio della libertà di espressione da parte di quel manipolo di "eroi", come li definisce Badinter. Bisogna sentirlo raccontare dagli amici di "Charb", sul cui corpo i due terroristi tornarono per sparargli di nuovo. Volevano essere certi che fosse morto. Per aver pubblicato delle vignette.
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