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La Repubblica Rassegna Stampa
05.03.2016 Agenti iraniani fermati a Milano: da anni compravano armi (anche nucleari). Ma per la procura non è 'terrorismo internazionale'
Cronaca di Emilio Randacio

Testata: La Repubblica
Data: 05 marzo 2016
Pagina: 21
Autore: Emilio Randacio
Titolo: «Elicotteri e lanciamissili, lo 'shopping' di armi dei pasdaran iraniani»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/03/2016, a pag. 21, con il titolo "Elicotteri e lanciamissili, lo 'shopping' di armi dei pasdaran iraniani", la cronaca di Emilio Randacio.

Soltanto La Repubblica, tra i quotidiani di oggi, riporta la notizia. Si tratta di un episodio che mostra con chiarezza la continuità della politica estera iraniana negli anni di Mahmoud Ahmadinejad e del "moderato" Hassan Rohani. E' emerso, inoltre, l'obiettivo del traffico di armi gestito in Italia da agenti iraniani: "fornisce armi, finanziamenti e addestramento paramilitare di gruppi come i talebani, hezbollah libanesi, Hamas, jihad islamica palestinese e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina". Si tratta, in altre parole, di sostenere gran parte del terrorismo islamico internazionale, con un occhio di riguardo particolare per quello dei vari gruppi terroristici palestinesi.
Aggiungiamo che la procura è stata troppo timida: l'accusa che avrebbe dovuto rivolgere agli agenti degli ayatollah è quella di terrorismo internazionale - ben più grave di quella per "associazione a delinquere".
E se non è terrorismo questo...

Ecco l'articolo:

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Emilio Randacio

Agenti dell’ “Esercito della guardia della rivoluzione islamica”, sparsi per l’Italia. Camuffati da rispettabili commercianti residenti sul Lago di Como con relazioni altolocate, o azionisti di società di import export del padovano. In realtà, pronti a rifornire la Repubblica dell’Iran di armamenti da rintracciare nel nostro paese e spedire illegalmente, aggirando l’embargo dell’Onu, a Teheran. Pedinati per mesi, seguiti passo dopo passo con l’aiuto di un agente Usa infiltrato proveniente direttamente da San Francisco e coordinato con la regia dell’Aise (i nostri Servizi Esteri) e gli uomini del comando della Guardia di Finanza di Como. Esperti investigatori che si mescolano nei centri commerciali di Padova, cercando di non perdere le tracce degli agenti governativi iraniani.

Gli ingredienti di questa spy- story hanno portato, ieri mattina, ai sei arresti eseguiti su ordine della procura di Milano - procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, pm, Adriano Scudieri – svelando come vere e proprie “Guardie rivoluzionarie” iraniane, «a partire dal 2011 e permanente alla data odierna», abbiano tentato di fare shopping di armamenti in Italia, per finanziare la rivoluzione islamica. I sei, secondo l’accusa, avrebbero anche «mostrato un livello di confidenza verso la tematica degli armamenti, con una allarmante dimestichezza commerciale anche nei confronti di preparati utili per il processo di produzione di armi nucleari ». È questa la ricostruzione che emerge dall’ordinanza firmata dal gip di Milano, Ambrogio Moccia. Il giudice ha ordinato l’arresto per associazione a delinquere di un italiano, Alberto Marchiori, di Padova, intestatario della società Golden Way, intorno a cui si sarebbe sviluppato il traffico illecito. Gli altri destinatari della misura, sono tutti cittadini di origine iraniana.

Il presunto capo, Soroudi Craig Russo, ufficialmente residente a Como, sarebbe stato il trait d’union con un’unità speciale delle Guardie rivoluzionarie iraniane, la “Forza Quds”. Secondo gli investigatori, si tratta del corpo che «rappresenta il ramo clandestino, responsabile per le operazioni extraterritoriali, e per esportare la rivoluzione iraniana attraverso attività come facilitare le operazioni terroristiche». Secondo l’accusa, inoltre, «Forza Quds fornisce armi, finanziamenti e addestramento paramilitare di gruppi come i talebani, hezbollah libanesi, Hamas, jihad islamica palestinese e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina». Stando al giudice Moccia, la procura è stata fin troppo timida nel chiedere l’arresto per associazione a delinquere, in quanto l’ipotesi di procedere per terrorismo internazionale, «appare allo scrivente tutt’altro che incongrua». Ma il gruppo, di cosa è accusato, precisamente? Dopo la costituzione a Padova della società schermo, nel 2011, gli indagati hanno tentato di esportare in Iran, attraverso la Società italiana elicotteri, «un numero non meglio identificato di elicotteri Bell 412 Black Hawk, da ritenersi a doppio uso civile e militare». Ma anche «macchinari utili alla modificazione di tubi in acciaio da utilizzare per il lancio di missili terra- aria e da esportare illegalmente in Iran» (in questo caso l’affare è saltato «per motivi economici »). Infine, «macchinari Noc/ Base station per la realizzazione di una rete di comunicazione sicura a larga banda per scopi militari». Impressionante il dispiegamento investigativo messo in campo per intercettare il gruppo di presunti terroristi.

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L’inchiesta nasce da una dettagliata denuncia anonima in cui a Como si mettono nel mirino le presunte attività illecite di Soroudi. Al fianco dei militari della Guardia di finanza , è sceso anche il Dipartimento per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e l’Fbi. Nel mirino degli americani, già quattro anni fa sono finite le attività di uno degli arrestati, Reza Hasemi, «sulla base di informazioni che indicano che lo stesso sia un ufficiale del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica del governo dell’Iran ». Il gip ricorda gli altri passi dell’inchiesta e come «lo scambio di informazioni diveniva pieno coordinamento investigativo, posto che, successivamente a un incontro di lavoro svoltosi oltre Oceano, veniva concordata un’attività bilaterale, di agenti sotto copertura».

Per seguire gli indagati sono state utilizzate tecnologie avanzatissime, inserite nei cellulari degli indagati. Centrale, come detto, la figura del “comasco” Soroudi, che per «parlare con soggetti stranieri «si avvaleva sistematicamente di schede telefoniche prepagate». Un metodo che gli avrebbe consentito di non riuscire a far identificare le utenze contattate». È sempre Soroudi ad allarmare gli investigatori, quando in una conversazione del 2012, «dialogando con certo Afrashte, esplicitamente esclama “Esplosione! Esplosivi oppure atomica!”». Aggiungendo di aver bisogno di «un motore specifico... ». Poi fa un riferimento allo «Yellow Cake», o torta gialla, che rappresenta il prodotto di purificazione dei minerali estratti dall’uranio. Nell’inquietante telefonata, Soroudi, espressamente riferisce che «per Yellow Cake ho accettato di farlo, ma per questo mi hanno lasciato solo....». Gli investigatori registrano la conversazione, probabilmente con un altro cittadino iraniano, senza fare commenti. Per contestualizzarla, è bene ricordare che risale al 2012, il penultimo anno di governo del presidente iraniano Mahmud Ahmadinezhad . Il fautore del progamma nucleare iraniano, finito nel mirino dell’Onu e che ha portato l’Iran sotto embargo.

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