Riprendiamo da LIBERO di oggi, 01/03/2016, a pag. 14, con il titolo "Ma quali ayatollah riformisti: in Iran vincono i furbi centristi", l'analisi di Carlo Panella.
Carlo Panella
La teocrazia iraniana spiegata: "Voi votate, Dio decide"
Nelle elezioni in Iran, persino a Teheran, non hanno affatto vinto i riformisti, come urla la stampa mondiale con titoloni ad effetto, ma si è imposto il blocco tra conservatori e «principialisti» (i seguaci dell'ortodossia khomeinista). Peggio ancora, l'analisi dei candidati eletti, spiega che l'elettorato non si è affatto schierato a favore dei candidati riformisti, ma si è collocato al centro in maniera nettamente maggioritaria. A Teheran, ad esempio, è vero che tutti e 30 i candidati della lista sponsorizzata da Rohani si sono imposti, ma è ancora più vero che solo una netta minoranza tra loro è riformista e che la maggioranza, il caso classico è quello di Motahri, sono dei conservatori, realpolitiker o «principialisti».
La crassa ignoranza del contesto politico iraniano dei commentatori e dei giornalisti, sommata al desiderio che la realtà si pieghi ai propri schemi non coglie un dato fondamentale. In Iran, Paese autocratico e autoritario, non solo non vige una democrazia, ma neanche una struttura dei partiti di tipo occidentale. Le liste elettorali, che non corrispondono affatto a partiti, vengono così composte in modo trasversale, sommando candidati riformisti, conservatori o principialisti. Non solo, i voti che provengono dalla immensa provincia hanno un segno ben diverso da quello di Teheran e premiano molto più il fronte oltranzista-conservatore di quello riformista-conservatore.
Dunque, un voto e dei candidati che premiano una sorta di «grande centro», non intenzionato a impostare riforme democratiche e base parlamentare perfetta per la continuazione dell'esperimento di Rohani. Il quale, altro elemento di mistificazione delle analisi trionfanti dei media, non è e non è mai stato un riformista. Al contrario, durante tutta la fase della presidenza Khatami, tra il 1997 e il 2005, quando effettivamente il Parlamento e la presidenza della Repubblica erano controllati dai riformisti, si è ben guardato dallo schierarsi con loro. Insomma, quello che ci viene indicato come il leader dell'area riformista è tutt'altro che un riformista. E' un navigato burocrate, che si è sempre tenuto un passo indietro dalla ribalta e dalla esposizione a favore di uno o dell'altro fronte - una sorta di Monti o di Andreotti in tono minore - pur di conquistarsi la fiducia dell'establishment rivoluzionario. Per questo è stato scelto da Ali Khamenei come candidato alla presidenza della Repubblica dopo i due tempestosi mandati deil'oltranzista Ahmadinejad. Per questo è riuscito a condurre le trattative sul nucleare con Obama senza scontentare il fronte oltranzista, che è comunque ancora perfettamente in grado di condizionarlo, ora anche nel nuovo Parlamento.
Dunque, per nulla una «svolta moderata», ma la continuazione di un percorso ondeggiante. Un risultato sfavorevole alla componente riformista, che si rispecchia nella composizione del Consiglio degli Esperti, istituzione fondamentale perché di qui a poco nominerà il successore della Guida della Rivoluzione, l'autocrate assoluto di tutte le istituzioni iraniane: Ali Khamenei è infatti anziano e molto malato. Qui, i media politically correct si basano solo sul successo di Rafsanjani e Rohani che si sono piazzati ai primi posti e ipotizzano scenari idilliaci. Ma, a prescindere dal fatto pur fondamentale che Rafsanjani è uno dei peggiori figuri della dirigenza khomeinista, dalle mani grondanti di sangue degli oppositori, il dato di fatto è che su 88 membri, i riformisti eletti sono non più di 10. Tutti gli altri appartengono al blocco conservatore o oltranzista. Si è dunque certi che il successore di Khamenei sarà uguale a lui: un mediatore che, alla fine, fa pendere sempre l'ago della bilancia a favore degli oltranzisti. Come ha fatto con Ahmadinejad. Come sta facendo organizzando, assieme a Rohani e con l'assenso di Rafsanjani, le spedizioni militari in Siria, Iraq, Libano e Yemen. Come fa, dando il suo sigillo alle centinaia di esecuzioni, spesso di oppositori, che caratterizzano l'era del «riformista» Rohani.
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