Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/02/2016, a pag. 17, con il titolo "Le reclutatrici del Califfato", l'analisi di Marta Serafini; con il titolo "La jihadista pentita: serviamo solo a far figli", l'intervista di Viviana Mazza alla ex jihadista Sophie Kasiki.
Ecco gli articoli:
Marta Serafini: "Le reclutatrici del Califfato"
Terroriste dello Stato Islamico
Sara ha gli occhi stanchi. Di giorno lavora in un call center alla periferia di Milano. Di notte, dopo che ha messo i bambini a letto, passa le ore attaccata al suo smartphone. Facebook, Skype, Whatsapp, le mail. «Ho paura che mi arrestino solo per le mie opinioni». Sara (il nome è di fantasia) non è una terrorista. Ma è entrata in contatto con le reclutatrici di Isis. Il punto di partenza è il blog Storie dell’Occidente .
L’autrice è Bushra Haik, la «maestra» di Maria Giulia Sergio alias Fatima, la 28enne di Torre del Greco partita per la Siria. Bushra nasce a Bologna nel 1985. Origini siriane, passaporto canadese, si trasferisce a Riad in Arabia Saudita. Lì sposa un imam. I suoceri vivono in Siria, nei territori controllati da Isis. Bushra mantiene un legame con l’Italia, tutti la conoscono come una maestra di arabo e di Corano. Ma dalle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dal pm Paola Pirotta emerge come prepari Fatima alla partenza per la Siria. «Un uomo non dovrebbe prima salvaguardare la sua famiglia e poi partire per combattere?», chiede Maria Giulia. E Bushra: «Se tutti dovessero pensare alla famiglia nessuno combatterebbe più e lo Stato islamico sarebbe finito». Oggi sia Bushra che Fatima sono latitanti. La prima si trova a Riad dove ha dato alla luce un bambino. I suoi account Skype non sono più attivi ma sul suo blog sono comparsi nuovi post come questo: «Ero in quarta superiore. Le compagne erano diverse da me: a loro non interessava parlare di fede e a me non interessava parlare di trucco e ragazzi!». Il blog non fa mai riferimento esplicito all’Isis. Ma il filo rosso è l’esaltazione della fede come elevazione verso la superiorità spirituale.
Il modus operandi è semplice. Le donne reclutano altre donne, che a loro volta reclutano altre donne. Le vittime diventano carnefici. Al primo approccio il tono è confidenziale, ironico. Ci si guadagna la fiducia. «In una lezione via Skype Bushra parlò di come fare i pop corn e poi spostò il discorso su Isis», racconta Loredana (nome di fantasia). Bushra introduce il concetto di hijra , la migrazione del Profeta, che in un’ottica di reclutamento coincide con la partenza per il Califfato. Italiane, sulla trentina, le allieve quasi sempre hanno figli. Alcune, le più istruite e le meno manipolabili, si fermano ai primi discorsi. Altre, no, vanno avanti. «Spiegava quanto fosse inutile andare all’università: “Hanno successo solo le ragazze che fanno sesso con i professori”, diceva». La manipolazione mira a isolare la recluta. «Cercava di convincerci che i nostri uomini non fossero abbastanza religiosi e poi prometteva di trovarcene degli altri». Attira l’attenzione anche aims-uk.org , portale dedicato alle musulmane italiane emigrate in Gran Bretagna. Tra loro, Barbara Aisha Farina, da tempo nota alle autorità.
Nata a Milano, Farina si converte nel 1994, a 22 anni. Sposa l’imam Abdelkader Fall Mamour. «In anni in cui internet era poco diffuso pubblicava la rivista al-Mujahidah (La Combattente). C’era una sezione per bambini chiamata il Mujaheddino e osannava Osama Bin Laden», spiega Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull’estremismo della George Washington University. Oggi Farina non ha smesso con le sue pubblicazioni e gestisce, tra gli altri, il blog Madrasa di Baraka. In un documento si legge: «Le personalità femminili famose nei mass media (…) sono donne depravate e corrotte (…). Che Allah tranci le loro lingue e liberi la terra e i Suoi servi da costoro». Contattata via Facebook ci ha spiegato di «non voler essere associata ad alcun gruppo radicale». E se è difficile capire dove si fermi l’attività di tipo culturale-religiosa e dove inizi quella di reclutamento, è chiaro come la rete di proselitismo abbia attecchito in Italia. L’ultimo caso quello di Meriem Rehaily, la 19enne partita dalla provincia di Padova lo scorso luglio per la Siria. Anche lei forse vittima di una reclutatrice che, promettendole il paradiso, l’ha fatta precipitare nell’inferno del Califfato.
Viviana Mazza: "La jihadista pentita: serviamo solo a far figli"
Viviana Mazza
La copertina
Ha portato in Siria il suo bambino di 4 anni, e per questo ha passato due mesi in carcere e il caso è ancora aperto. Sophie Kasiki è una delle 220 donne francesi che si sono unite al Califfato. Ma è anche una delle poche che sono riuscite a scappare. Ha scelto di raccontare la sua storia in un libro, «Fuggita dall’Isis», uscito in Italia da Tre60.
Lei faceva l’assistente sociale in una banlieue , nel novembre 2014 era rientrata in contatto via Skype con tre ragazzi ventenni conosciuti sul lavoro poi unitisi all’Isis. Voleva convincerli a tornare, ma sono stati loro a persuaderla. Il suo rapporto coniugale stava fallendo, lei era depressa, ma com’è arrivata a partire per la capitale del Califfato? «Le ragioni per cui la gente fa questo viaggio sono tante e diverse: per alcuni sono religiose, altri vogliono aiutare la popolazione, altri ancora seguono ingenuamente il marito o un familiare. Nella mia testa io non mi stavo unendo all’Isis, io mi sono unita a tre giovani che conoscevo bene, da anni, che dicevano di essere andati a lavorare negli ospedali. Mi hanno offerto un lavoro nel reparto maternità, dicevano che potevo andar via quando volevo. Nel febbraio 2015 ho fatto la valigia di corsa, ho preso un biglietto per Istanbul. Appena arrivata mi sono resa conto delle loro bugie e di essere stata indottrinata da pazzi dei quali mi fidavo».
Cosa l’ha colpita di più al suo arrivo? «Mi ha scioccato e disgustato il comportamento da occupanti dei combattenti stranieri nei confronti della popolazione siriana, una cosa in totale contrasto con la loro propaganda. Le donne nel reparto maternità trattavano male le siriane che venivano a partorire. Si comportavano come gli uomini, da conquistatori. Non hanno cercato di farmi sposare perché sapevano che volevo scappare, mi hanno chiusa sola con mio figlio in un appartamento per un mese e mezzo, poi per due giorni in una madafa , un pensionato femminile, con le giovani in attesa di sposarsi, le vecchie che nessuno vuole e le mogli dei combattenti partiti in battaglia. C’erano belghe, tunisine, egiziane, francesi, tedesche, cecene, saudite. La matrona aveva una pistola e parlava il francese, che dopo l’arabo era la lingua più comune. Non ho mai sentito di donne che partecipino alle operazioni militari, perché non possono mischiarsi agli uomini. Le europee servono a far figli».
Lei si era convertita all’Islam, prima di unirsi all’Isis. E’ ancora musulmana? «Non sono più musulmana. Sono riusciti a disgustarmi e allontanarmi da ogni forma di religione. L’Isis è una setta pericolosa, ma penso sinceramente che non abbiano niente a che vedere con l’Islam».
Suo marito l’ha perdonata, le mandava foto della vostra vecchia vita. L’ha aiutata a scappare. «Lui ha capito più rapidamente di me che cosa mi fosse successo, grazie all’aiuto degli esperti di radicalizzazione che ha subito contattato».
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