lunedi` 18 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa-Libero Rassegna Stampa
28.02.2016 Iran : scontro di potere, i falchi sempre i più forti
Commenti di Maurizio Molinari, Carlo Panella

Testata:La Stampa-Libero
Autore: Maurizio Molinari-Carlo Panella
Titolo: «Uno scontro sul futuro degli ayatollah-Rohani vince ma non sfonda, comandano sempre i falchi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/02/2016, a pag. 1/19 il commento di Maurizio Molinari. Da LIBERO, a pag.15, quello di Carlo Panella.

Immagine correlata
Khomeini o Khamenei, non cambia nulla

La Stampa-Maurizio Molinari: " Uno scontro sul futuro degli ayatollah"

Immagine correlata
Maurizio Molinari

Le elezioni di Teheran consegnano al Medio Oriente una sorpresa che preannuncia uno scontro di potere sul futuro della Repubblica Islamica. «Non ci aspettavamo un simile risultato»: è la reazione a caldo di Said Leylaz, veterano fra gli analisti politici iraniani, a descrivere il verdetto delle urne. In palio c’erano tanto gli 88 seggi dell’Assemblea degli Esperti, che designa il Leader Supremo, che i 290 seggi del Parlamento e in entrambi i casi gli esiti sembrano premiare i moderati a scapito dei conservatori. Sebbene i conteggi siano ancora in corso la sconfitta dei candidati sostenuti da Ali Khamenei, Leader Supremo, suggerisce la maggior affermazione dei moderati dalle elezioni legislative del 2004. La cartina tornasole è quanto avvenuto sull’Assemblea degli Esperti perché i pragmatici, guidati dall’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e dall’attuale presidente Hassan Rohani, sono proiettati verso la conquista dei primi, importanti, 13 seggi con agli acerrimi avversari Ahmad Jannati, Mohammed Yazdi e Mohammad-Taghi Mesbah-Yazdi ben a distanza. E ancora: il volto della vittoria è Rafsanjani, considerato il maggiore alleato politico di Rohani nonché padre di Mahdi Hashemi che venne arrestata per complicità con la rivolta anti-regime dell’Onda Verde nel 2009. Ciò significa che almeno 30 milioni di iraniani si sono recati alle urne per premiare i candidati percepiti come avversari di Ali Khamenei nelle prime consultazioni avvenute all’indomani dell’accordo di Vienna sul nucleare che ha portato alla fine di gran parte delle sanzioni internazionali. E’ uno scenario che, a prima vista, sembra premiare la scommessa politica dell’amministrazione Obama che aveva puntato sul negoziato nucleare proprio per obbligare Khamenei a «aprire il proprio pugno» scommettendo sulla voglia di cambiamento di gran parte della popolazione, che in maggioranza è sotto i 25 anni. Il potere a Teheran continua tuttavia ad essere nelle salde mani di Khamenei - da cui dipende un vasto apparato militare-economico che ha come spina dorsale i Guardiani della Rivoluzione - e ciò significa che dopo l’annuncio formale dei risultati si aprirà una delicata fase di riequilibrio dei poteri che vedrà Rafsanjani nel ruolo di suo probabile contraltare. La forza di Rafsanjani sta nell’essere un leader di raccordo fra le molteplici anime della Repubblica Islamica: da un lato è considerato il «grande elettore» di Rohani e dall’altro nel 2006 venne accusato dalla giustizia argentina di essere stato, da presidente, il mandante dell’attentato di Buenos Aires del 1994 contro il centro ebraico «Amia» in cui perirono 85 persone. Ciò significa che Khamenei e Rafsanjani sono due volti dello stesso regime iraniano, sebbene il primo guidi i conservatori ed il secondo sia divenuto il volto più in vista del fronte moderato. A rendere incandescente il duello che si apre fra Khamenei e Rafsanjani è la posta in palio ovvero il nome del nuovo Leader Supremo. Khamenei, 76enne e più volte ricoverato per un sospetto tumore alla prostata, è l’erede dell’ayatollah Khomeini e vuole un successore capace di conservare la Repubblica Islamica così com’è. Da qui le voci sull’ipotesi di una staffetta con il figlio Mojtaba, anch’egli esponente del clero sciita legato a doppio filo con i Guardiani della Rivoluzione. Ma Rafsanjani, forte dell’affermazione nell’Assemblea degli Esperti, può ora aspirare alla stessa carica, la più alta nel regime degli ayatollah. Si tratta di una sfida per il potere a Teheran che è solo all’inizio. Ed è gravida di incognite. Anzitutto interne, perché gli iraniani che sono andati alle urne per favorire un cambiamento non sono troppo diversi da quelli che nel 2009 scesero in piazza sfidando la repressione e dunque potrebbero avere ambizioni di libertà che vanno ben oltre il nome di Rafsanjani. Ma anche esterne, perché ciò che avviene a Teheran ha un impatto immediato sulla Siria dove la guerra per procura fra Iran ed Arabia Saudita è a un passo dal degenerare in un conflitto aperto capace di dilagare nell’intero Medio Oriente.

Libero- Carlo Panella: " Rohani vince ma non sfonda, comandano sempre i falchi

Immagine correlata
Carlo Panella

Forte voto popolare, quantomeno a Teheran a favore dei riformisti, ma trionfo dei conservatori nella gestione sia del Parlamento (Majlis), che della Assemblea degli Esperti. Infine, abituale abbaglio dei media occidentali che non vogliono capire che un conto è la scontata e evidente voglia di riforme di una minoranza degli iraniani, che è in netta crescita, tutt'altro conto è la ripartizione finale del potere che rimane saldamente in mano al fronte conservatore, agli ayatollah più oltranzisti e ai Pasdaran. I dati provvisori infatti danno ai conservatori e agli indipendenti (che tutto sono, tranne che riformisti) i due terzi dei seggi già assegnati: 119 contro 50. Nella circoscrizione di Teheran, trionfo dei rifornisti, ma certo il loro arretramento nella immensa provincia iraniana che è la base forte del consenso dei conservatori, i cui dati verranno resi noti in seguito. Per "leggere" i risultati delle elezioni iraniane è indispensabile sapere a cosa servono, quale è il loro fine. Innanzitutto, dunque, constatare che non sono democratiche per nulla perché i rapporti tra le componenti sono decisi a tavolino prima del voto dal regime, dal Consiglio dei Guardiani che ammette al voto solo poco più del 30% dei candidati riformisti. Dunque il blocco dei conservatori, di cui fanno parte anche gli indipendenti, ha in tasca la maggioranza assoluta dei seggi già prima che si aprano le urne. Il prossimo Majlis sarà così a netta maggioranza conservatrice. Resta il segnale forte, tutto e solo politico, di un voto che ha promosso buona parte dei candidati riformisti, che non possono però che essere minoranza. Questo è il messaggio, senza conseguenze sull'esercizio reale del potere, che è venuto dal voto iraniano. Non è una sorpresa, era un dato previsto, soprattutto dopo la efferata e sanguinaria repressione della protesta dell'Onda Verde del 2009 e dopo le aspettative di normalizzazione conseguenti all'accordo sul nude-are. La parte viva e moderna del popolo iraniano vede oggi un piccolo spiraglio di luce e vota con convinzione. Così non è successo nelle ultime elezioni in cui non era andata a votare, così che in Parlamento i riformisti spesso non sono riusciti a occupare neanche quella minoranza di seggi che gli era stata pre assegnata. E questo un segnale politico di affermazione dei riformisti nel voto non nuovo in Iran: si era già verificato con l'elezione del riformista Mohammad Khatami a presidente nel 1997 e nel 2001 e con il voto contro l'oltranzista presidente Ahmadinejad nel 2009 (che però aveva sbaragliato nelle urne i riformisti nel 2005 e comunque aveva ottenuto un eccellente risultato, rafforzato dai brogli di regime, nel 2009). Colto il dato indiscutibile di una forte, motivata e consistente minoranza di iraniani che aspira, se non alla fine del regime, alla sua apertura e moderazione, è indispensabile smorzare gli entusiasmi dei media per le "sorti magnifiche e progressive" conseguenti al voto iraniano, ricordando di *** che pasta sia fatto il leader dei riformisti: Ali Akbar Rafsanjani. Hojatoleslam (basso rango religioso), miliardario possessore di coltivazioni di pistacchi, corrottissimo, Rafsanjani ha le mani che grondano sangue. Fiduciario personale di Khomeini, nel 1980 ha gestito il Terrore che ha sterminato migliaia di iraniani dopo la rivoluzione, ha mandato sulla forca o in galera tutti i riformisti del primo governo rivoluzionario e migliaia di rivoluzionari sgraditi, è stato presidente del Parlamento e due volte della Repubblica nel periodo più sanguinario del regime e si è riciclato come riformista solo quando è stato emarginato dal potere. Non solo, è tuttora oggetto di un mandato di cattura della magistratura argentina quale mandante della strage del 18 luglio del 1994 al centro ebraico di Buenos Aires, che fece 85 morti e più di 300 feriti. L'attentato fu deciso, secondo l'accusa, in una riunione ai più alti livelli a Teheran e Hezbollah fu incaricato di realizzarlo. Uno dei possibili moventi sarebbe stato l'interruzione degli accordi nucleari da parte del governo argentino con l'Iran. Rohani, da parte sua, non è mai stato riformista, non ha neanche mai appoggiato le riforme tentate da Khatami, è una sorta di Andreotti persiano, che ha sempre lavorato nell'ombra del sottogoverno e che nel 1999 chiese a gran voce che fossero mandati sulla forca gli studenti di Tehran che manifestavano. Questo è il riformismo iraniano che gli elettori sono costretti a contrapporre al regime.

Per inviare la propria opinione a:
La Stampa- telefonare: 011/65681
Libero- telefonare: 02/999666
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti


direttore@lastampa.it
lettere@liberoquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT