Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/02/2016, a pag. 16, con il titolo "Gli autonomi si fingono studenti per non far parlare Panebianco", la cronaca di Franco Giubilei; dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-2, con il titolo "Un pessimo segnale", il commento di Aldo Cazzullo.
A destra: Angelo Panebianco aggredito in aula da un gruppo di estremisti di sinistra
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Franco Giubilei: "Gli autonomi si fingono studenti per non far parlare Panebianco"
Franco Giubilei
Contestare il professor Panebianco sta diventando un’abitudine: dopo l’irruzione di lunedì degli autonomi del Cua, ieri mattina sono stati i ragazzi dell’Assemblea di scienze politiche, vicini al collettivo Hobo, protagonista di un’altra clamorosa azione contro il docente un anno e mezzo fa, ad interrompere la lezione del politologo. Per non farsi riconoscere, si sono mischiati agli studenti che stavano seguendo il corso di Teorie della pace e della guerra, e poi hanno cominciato a porre domande provocatorie al professore. La situazione è presto degenerata, i toni si sono alzati con i contestatori che urlavano contro Panebianco dandogli del «guerrafondaio» e dicendogli «lei giustifica i massacri», finché, attirata dalle grida, non è intervenuta la vicepresidente della scuola di Scienze politiche, Pina Lalli: «All’inizio ho cercato di capire e di parlare con loro, ma era impossibile, perché alzavano la voce anche contro gli altri ragazzi. Allora ho detto agli studenti che volevano continuare la lezione che mi seguissero in un’altra aula, e così il corso è potuto proseguire. E’ inaccettabile che si impedisca di tenere una lezione».
Editoriale contestato
All’origine di questo secondo blitz c’è sempre l’editoriale pubblicato da Panebianco lo scorso 14 febbraio e dedicato a un possibile intervento armato in Libia. Giulia, militante dell’Assemblea di scienze politiche, lo spiega così: «Per noi quell’articolo che contiene un invito a bombardare è una cosa gravissima, perché viene letto da tantissime persone, così siamo andati a porgli delle domande in quanto studenti di questo ateneo. Eravamo tranquilli, è lui che si è irritato facendo distinzioni fra studenti normali e no. Noi vogliamo impedirgli di portare qui dentro idee da guerrafondaio, ed è grave che l’università gli consenta di insegnare su questa lunghezza d’onda». Gli altri studenti presenti però non sono affatto d’accordo: «Non era possibile fare un ragionamento logico con i contestatori, urlavano e basta – spiega Silvia -. Trovo sbagliato associare un editoriale, che peraltro non condivido, a una lezione rigorosa come quella di Panebianco, dove l’impostazione è scientifica. Il prof non ha mai fatto politica a lezione».
La condanna di Prodi
E mentre arrivano le condanne dei parlamentari Pd e di Romano Prodi, che ha parlato di «un’infamia, una cosa assolutamente stupida che ricorda brutte cose del passato», la procura annuncia l’avvio di un’indagine per interruzione di pubblico servizio. La spedizione di lunedì è partita da un’aula occupata da dieci anni a Lettere, in via Zamboni 38, dal Collettivo universitario autonomo, una quarantina di militanti. E’ qui e al numero 32 che quasi tutte le settimane i collettivi Cua e Hobo, che mal si sopportano per la gestione degli spazi occupati, la sera organizzano feste di autofinanziamento con musica e dj. «Panebianco ha tanti spazi dove esporre i suoi punti di vista senza contraddittorio – dice Angelo, del Cua -. Poi viene in aula e quando si inseriscono posizioni diverse come le nostre si urla allo scandalo». Anche il Cua, che storicamente si rifà agli autonomi del movimento del ’77, per domani ha in programma un’assemblea a Scienze politiche: «La guerra, per aprire spazio di contrapposizione a partire dalla contestazione a Panebianco». Il politologo resta un avversario, anche se i ragazzi dicono che l’obiettivo è più ampio: «La nostra azione ha rappresentato l’apertura di uno spazio di dibattito intorno ai conflitti e alla migrazione, argomenti che si intrecciano».
CORRIERE della SERA - Aldo Cazzullo: "Un pessimo segnale"
Aldo Cazzullo
L’aggressione subita all’università di Bologna da Angelo Panebianco è un fatto molto grave, da denunciare con forza. Di aggressione si tratta, perché impedire di insegnare a un docente dell’università più antica del mondo occidentale rappresenta un’autentica violenza, oltre che un malcostume purtroppo non inedito ma che fa partedelle peggiori tradizioni del nostro Paese.
Le cose non si ripetono mai allo stesso modoe quindi non possono essere paragonate. Ma quando nella storia italiana si è impedito a un professore di fare il proprio mestiere, perché ebreo negli anni Trenta o perché non conformista negli anni Settanta, è sempre stato segno che le cose si stavano mettendo male. E anche senza evocare i precedenti di violenza fisica, che purtroppo ci sono stati, basta pensare alle intimidazioni — come i tentativi di interrompere le presentazioni dei libri di Giampao-lo Pansa o le molotov contro la casa di Renzo De Felice — per comprendere che si tratta di un pericolo che ci riguarda tutti, come comu-nità nazionale e come ap-passionati alla vita pubblica, e quindi richiede la reazione di tutti, non solo degli allievi di Panebianco che coraggiosamente si sono ribellati ai facinorosi.
La libertà di insegnamento è sacra e va tutelata sempre e comunque. A maggior ragione perché il tema del corso era la pace e la guerra. Si può dissentire dalle tesi di Panebianco, ma è impossibile dargli torto su un punto: l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, faticano a pensare la guerra. È ormai evidente che le illusioni del 1989, quando un pensatore oltretutto vicino alla destra americana come Francis Fukuyama parlò di «fine della storia», sono state spazzate via. Eppure, proprio mentre il Papa mette in guardia sulla «terza guerra mondiale», il nostro Paese inscena una fiction irenica. Preferisce fingere di continuare a credere alle magnifiche sorti e progressive del pacifismo; come se Monaco 1938 non avesse insegnato nulla. Di Churchill e di De Gaulle nell’Europa di oggi non c’è traccia, mentre vediamo bene dove sono i Chamberlain e i Daladier: dappertutto. Più che una guerra in senso tradizionale, quella che stiamo affrontando è un’epoca. Non sappiamo quando finirà, né come. Ma di una cosa siamo certi: coloro che intendono entrare nella nuova epoca con le orecchie tappate per non ascoltare gli avvertimenti sgraditi, non avranno mai gli strumenti per compren-dere il tempo che ci è dato in sorte; e non saranno bravi studenti, né un domani bravi professori, né soprattutto cittadini utili agli altri.
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