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La Repubblica Rassegna Stampa
19.02.2016 Il mercante d'arte che rubava per Hitler
Commento di Tonia Mastrobuoni

Testata: La Repubblica
Data: 19 febbraio 2016
Pagina: 36
Autore: Tonia Mastrobuoni
Titolo: «Il mercante d'arte che rubava per Hitler»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/02/2016, a pag. 36, con il titolo "Il mercante d'arte che rubava per Hitler", il commento di Tonia Mastrobuoni.

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Tonia Mastrobuoni

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Hildebrand Gurlitt

La scoperta dell’incredibile saga dei Gurlitt avviene come nel più classico dei gialli: per caso. Sei anni fa, su un treno svizzero, la polizia doganale esegue un controllo di routine tra i passeggeri diretti a Monaco. E trova addosso a un vecchietto dall’aria innocua 9mila euro in contanti, cuciti nella giacca. Lì per lì non accade nulla, magari a qualcuno scappa anche un sorriso per il nascondiglio antiquato di Cornelius Gurlitt. Ma qualcun altro si insospettisce e decide che la cosa non può finire lì. Il 79enne è ufficialmente povero, senza un reddito. Così, dopo qualche indagine, un paio di poliziotti bussano alla porta del suo appartamento nell’elegante quartiere di Schwabing, a Monaco. Quello che trovano, farà storia. Gurlitt vive come un barbone, si nutre di cibo in scatola, ammassa carte e immondizia in mezzo a mobili da quattro soldi, ma alle pareti e ammucchiati negli angoli nasconde uno dei tesori più inestimabili del secolo. Migliaia di capolavori di ogni epoca, dati per scomparsi il 13 febbraio del 1945, bruciati ufficialmente nel terribile bombardamento di Dresda, uno degli episodi più cupi della fine della guerra, magnificamente raccontato da Kurt Vonnegut.

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Un capolavoro di Franz Marc nella collezione Gurlitt

In realtà, quel patrimonio inestimabile cancellato dai libri di storia, è rimasto intatto. E nel piccolo appartamento di Gurlitt i poliziotti trovano oltre 1.400 capolavori di ogni epoc:, Canaletto, Picasso, Franz Marc, Matisse, Duerer, Kokoschka o Rodin. Altre migliaia di opere verranno rinvenute in una seconda casa a Salisburgo. Valore stimato, oltre un miliardo. Opere, però, dall’origine dubbia, criminale. Pezzi unici da mercato nero che Gurlitt vende da decenni per mantenersi, per pagarsi le cure mediche. Capolavori che ha ereditato da suo padre, Hildebrand Gurlitt. Sul letto di morte, nel 1956, il figlio gli ha infatti promesso che continuerà a nasconderli, ad accudirli. Ma quei capolavori sono stati sottratti illegittimamente ai proprietari durante l’epoca nazista: rubati agli ebrei, confiscati su incarico della feccia bruna perché «arte degenerata ». Gurlitt muore nel 2014, tra mille polemiche, perché voleva donare tutto al Museo di Berna, ma nel dubbio che centinaia di quelle tele possano ancora essere restituite agli eredi dei proprietari veri, l’imbarazzo è grande.

Sul padre di Cornelius, Hildebrand Gurlitt, considerato a oggi uno dei mercanti d’arte più controversi del Novecento, è appena uscita in Germania una prima biografia: Hitlers Kunsthaendler (Il mercante d’arte di Hitler”, C.H. Beck Verlag), scritta dalla storica d’arte Meike Hoffmann della Freie Universitaet di Berlino e della giornalista del Tagesspiegel Nicola Kuhn. Erano quattro, in realtà, gli specialisti incaricati ufficialmente da Hitler di confiscare opere d’arte in giro per la Germania per rivenderle all’estero e procurare soldi al regime nazista. Agli altri tre “mercanti di Hitler” sono già state dedicate delle monografie, mancava solo quella che ricostruisse la complessa vicenda di Gurlitt, il suo incarico era stato per anni anche quello di comprare capolavori per il “Museo del Fuhrer” di Linz. Nato in una famiglia colta, di artisti e intellettuali di Dresda, una nonna ebrea, Hildebrand Gurlitt inizia la sua carriera al Koenig-Albert-Museum di Zwickau, dove alla fine degli anni Venti colleziona con entusiasmo opere delle avanguardie, quadri di Max Pechstein, Ernst Ludwig Kirchner, Oskar Kokoschka. Quando l’aria si fa pesante, all’inizio degli anni Trenta, e comincia la cupa propaganda che condanna l’arte degli ebrei e delle avanguardie, Gurlitt viene licenziato. Anche come direttore di un Museo di Amburgo, poco dopo, continua a comprare tele degli espressionisti e di artisti ebrei. Il primo maggio del 1933, quando le camice brune sfilano per la città anseatica, Gurlitt si rifiuta di issare la bandiera nazista. A luglio è nuovamente costretto ad andarsene. E decide di mettersi in proprio.

Ma poi, inspiegabilmente, avviene la conversione al nazismo, e Gurlitt comincia la sua irresistibile ascesa nel regime. «Come mai uno spirito critico, un entusiasta delle avanguardie — si chiedono le autrici della biografia — ne diventa improvvisamente il liquidatore, si trasforma da vittima in carnefice? ». Per loro, tuttavia, peggio del ruolo avuto durante il nazismo è quello assunto da Gurlitt dopo la guerra. Il “mercante d’arte di Hitler” si è ben guardato dal restituire le opere ai legittimi proprietari o alle loro famiglie, non si è mai chiesto quanti danni avesse fatto a miriadi di persone. E ha chiesto al figlio di nascondersi per sempre nel buco nero della sua menzogna.

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