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Il Foglio Rassegna Stampa
29.01.2016 La luna di miele dell'Occidente con gli ayatollah
Analisi di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 29 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «I riformisti sono stati banditi dal voto in Iran. L'abbraccio al regime di Teheran non equivale a un'apertura politica»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/01/2016, a pag. 1, con il titolo "I riformisti sono stati banditi dal voto in Iran. L'abbraccio al regime di Teheran non equivale a un'apertura politica", l'analisi di Paola Peduzzi.

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Paola Peduzzi

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Ali Khamenei e il suo predecessore, Rohollah Khomeini

I dodici membri del Consiglio dei guardiani della Repubblica islamica d’Iran hanno approvato soltanto 166 degli 801 candidati che si erano presentati per le elezioni dell’Assemblea degli Esperti, l’istituzione composta da 88 membri che supervisiona l’operato della Guida suprema e ne decide la nomina. I cambiamenti dentro all’Assemblea sono generalmente bassi, così come l’attenzione per la sua elezione, ma in vista del 26 febbraio le pressioni sono cresciute: si sono ricandidati sia Hassan Rohani, il presidente, sia Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente, così come il nipote del fondatore della Repubblica islamica Ruhollah Khomeini, Hassan, e l’attenzione per gli equilibri di potere è cresciuta. Khomeini, che è popolare tra i giovani e ha posizioni riformiste, è stato escluso dalla corsa, così come più del 90 per cento dei candidati “moderati”. Per le elezioni del Parlamento, che si tengono nello stesso giorno, l’esclusione dei moderati è stata ancora più brutale: il Consiglio dei guardiani ha rifiutato la candidatura di metà dei 12 mila che si sono presentati. Tra questi ci sono circa tremila riformisti: il 99 per cento è stato escluso. Il Wall Street Journal ha scritto un editoriale sulla “purga dei moderati”, in cui ha ricordato che i leader dell’Onda verde, la manifestazione contro il regime che nel 2009 fu repressa nel sangue dai bassiji in motocicletta (nota: l’Amministrazione Obama, fresca di Casa Bianca, ci mise nove giorni a condannare la repressione), sono ancora agli arresti domiciliari.

Restano in prigione attivisti, giornalisti, poeti, attori, scrittori che sono stati arrestati negli ultimi mesi, mentre l’occidente festeggiava commosso il deal “storico” sul nucleare con l’Iran, e preparava i contratti per dare l’assalto a quella che i diplomatici europei chiamano “l’ultima miniera d’oro rimasta sulla terra”. L’apertura alla Repubblica islamica è una scommessa geopolitica azzardata che può avere un valore nel momento in cui l’accordo sul nucleare permette ai riformisti di rafforzarsi, gli investimenti in arrivo, la fiducia accordata servono come leva contro i conservatori, e li indeboliscono. Con il primo test elettorale in arrivo, l’assunto si sta dimostrando tragicamente sbagliato: il deal non equivale a un’apertura politica. Al contrario, le sanzioni ora sospese servivano per contenere il regime. Basta guardare a quel che accade negli Stati Uniti: il sistema sanzionatorio americano, studiato negli ultimi dodici anni, prevede una serie di misure legate ai diritti umani e ai test missilistici che sono ancora in vigore – è il motivo per cui gli americani non stanno approfittando dell’Eldorado iraniano, lì ci si sono tuffati primissimi i cinesi e ora con solerzia gli europei, le aziende americane si muovono, ma hanno ancora molti lacci a trattenerle.

Come ha scritto Robin Wright sul New Yorker, le misure americane non erano semplicemente economiche, erano a protezione “di quelle aspirazioni universali” che gli ayatollah al potere negavano – e negano – al popolo iraniano. Per quanto gli effetti delle misure sanzionatorie non siano spesso in linea con le intenzioni, di certo le sanzioni erano pensate per salvaguardare l’Iran dai suoi dittatori. Il deal sul nucleare, che quelle sanzioni le toglie, sembra avere l’effetto contrario. E quella che prima era chiamata “illusione” – illusione che davvero il regime potesse indebolirsi confrontandosi con il mondo – ora qualcuno la definisce “allucinazione”.

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