Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/01/2016, a pag. 17, con il titolo "Il regista Lanzmann: 'Dobbiamo mostrare barbarie e violenza. Così si capisce l'odio' ", l'intervista di Stefano Montefiori a Claude Lanzmann.
A destra: Claude Lanzmann
Stefano Montefiori
Tra un mese Claude Lanzmann, 90 anni, sarà a Los Angeles per assistere alla premiazione degli Oscar. Tra le nomination, nella categoria cortometraggi documentari, c’è «Claude Lanzmann: Spectres of the Shoah», il film del britannico Adam Benzine sulla creazione di «Shoah», il suo capolavoro uscito trent’anni fa. Lanzmann è il più titolato a parlare del potere delle immagini, di come possano influenzare le coscienze. E oggi il grande regista e scrittore si impegna in difesa di un altro film a suo parere fondamentale: «Salafistes» di François Margolin e Lemine Ould Salem. È un documentario sui salafiti del Sahel, sui musulmani che pretendono di applicare nel modo più stretto la legge islamica: si vedono violenze e atrocità commesse dall’Isis. La tv francese lo ha co-finanziato, ora annuncia che non lo trasmetterà. Per molti giorni è sembrato che il film non potesse uscire neanche nelle sale, poi la ministra Fleur Pellerin lo ha vietato ai minori di 18 anni, «che è un altro modo per bloccarne il percorso. Invece i giovani dovrebbero vederlo», dice Lanzmann. Lo incontriamo nella sua casa di Montparnasse.
Perché si schiera in modo così netto a difesa di «Salafistes»? «Prima di tutto sono contro la censura, in generale, e lo sono sempre stato. Poi trovo che censurare questo film sia un’azione sbagliata, una vergogna. Perché fa capire, come nessuno specialista dell’islam è mai riuscito a fare, che cosa succede nelle loro teste e nelle loro vite, e che cos’è la sharia, la legge islamica. L’ho capito per la prima volta vedendo questo film, e lo si vuole vietare? In nome di che cosa?».
Dicono sia molto violento. «Si vedono dei tipi aggirarsi in bicicletta per le strade sabbiose di Timbuctu con le armi da guerra a tracolla. Stanano le donne casa per casa, anche le più anziane, per vedere come sono vestite, per controllare se c’è un angolo di pelle che rimane fuori dal velo. In quel caso vengono punite».
Soprattutto, ci sono le scene di sangue. «Mani amputate per obbedire alla sharia, un altro uomo viene decapitato... Bisogna saperlo. Quella gente taglia le mani, ma come? Senza anestesia, ovviamente. Non è un colpo netto, usano un coltello che è come una sega, perché ci sono delle ossa, è difficile. E anche quando tagliano la testa è complicato... Trovo che sia qualcosa di una crudeltà, di una barbarie indicibile. Perché non si dovrebbe mostrarlo, se è la verità? Ed è la verità».
Non si rischia di assecondare la propaganda dell’Isis? «Mostrare in che modo atroce tagliano le mani e le teste farebbe il gioco dell’Isis? È contropropaganda, semmai, è fare capire a tutti di che cosa stiamo parlando. Sono stupefatto».
Nel suo appello alla ministra della Cultura, su «Le Monde», lei si lamenta che «la stupidità è ovunque». C’è un problema di libertà di espressione in Francia? «Credo di sì, dire la verità è sempre più difficile. La verità diventa un problema, e questo è un male. Questo film mostra la tranquillità crudele di gente che si rivolge ad Allah e al Profeta come se fossero i parenti più cari e intimi. La loro radicale mancanza di humour fa spavento. C’è un tipo che si fa tingere la barba con l’henné, se la fa bionda per differenziarsi dagli ebrei. “Loro hanno la barba nera!”, dice. Un odio dell’America e degli ebrei spaventoso. E il film lo mostra in modo perfetto».
Perché molti vogliono boicottare «Salafistes»? «Forse per non turbare i milioni di musulmani francesi. Ma è un passo indietro gravissimo. La Francia è sempre meno libera, sempre più cose sono proibite. C’è una specie di collusione tra i benpensanti, il governo, la stampa. Ho stima per il premier Valls, spero che intervenga. Non può permettere il boicottaggio di un’opera che ci fa capire davvero chi abbiamo davanti».
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