Riprendaimo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/01/2016, a pag. 1-32, con il titolo "Lo sguardo giusto su Teheran", il commento di Roberto Toscano; dal FOGLIO, a pag. 1-4, con il titolo "Il Vaticano punta sugli ayatollah per stabilizzare il medio oriente", il commento di Matteo Matzuzzi. Gli articoli sono preceduti dal nostro commento.
Roberto Toscano è emigrato dalla Stampa alla Repubblica, seguendo Mario Calabresi. Tanto di guadagnato per il quotidiano di Torino, tanto peggio per quello di Roma. Cambia il quotidiano su cui scrive, ma non cambiano i suoi commenti benevoli nei confronti del regime degli ayatollah. Oggi Toscano sminuisce la natura criminale del dispotico regime di Teheran facendo passare Rohani per moderato e strizzando l'occhio alle ricche commesse in arrivo dopo la fine delle sanzioni decretata dallo sciagurato accordo di Vienna sei mesi fa. Gli stessi accordi che consentiranno all'Iran di ottenere armi nucleari.
Anche Matteo Matzuzzi apre al regime clericofascista iraniano. Scrive infatti che "dopotutto l’islam sciita è stato sempre più mistico e più aperto al dialogo con le culture”. Più aperto alla lapidazione delle donne, forse, o all'impiccagione degli oppositori. Incredibile, sul Foglio !!
IL MANIFESTO, invece, è oggi l'unico quotidiano nazionale italiano che tace completamente sulla vergognosa copertura di alcune opere dei musei capitolini "per non offendere Rohani". Un silenzio che ha del ridicolo, visto che giunge da un giornale che sostiene di difendere i diritti umani e quelli civili, entrambi calpestati ogni giorno in Iran. Il solito strabismo dei terzomondisti.
La prima pagina del Manifesto di oggi
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Roberto Toscano: "Lo sguardo giusto su Teheran"
Roberto Toscano
Il "moderato" Hassan Rohani dipinge la bomba atomica con i colori della pace
COME già dimostrano i primi risultati degli incontri sia a livello governativo che imprenditoriale, la visita di Hassan Rouhani a Roma riveste un consistente interesse economico. Con i suoi quasi 80 milioni di abitanti, l’Iran è un Paese interessante per l’economia italiana.
HA una popolazione giovane, una classe media estesa e molto “occidentale” nei gusti e nelle aspirazioni. Dal settore energetico alla meccanica ai prodotti di alta gamma (nei mall di Teheran primeggiano le grandi firme italiane) l’Italia è già molto presente in Iran, e potrà esserlo ancora di più ora che l’ostacolo delle sanzioni si avvia ad essere gradualmente rimosso. Con Rouhani e il suo ministro degli Esteri Zarif, tuttavia, gli interlocutori italiani non hanno parlato solo di economia, ma anche di politica. In un momento in cui Medio Oriente e Nord Africa sono devastati da un processo di destabilizzazione generalizzata — di cui l’Is è ad un tempo conseguenza e causa — è giusto che l’Italia, che non può certo considerarsi al riparo dagli effetti di quella destabilizzazione, cerchi di verificare in che misura l’Iran possa contribuire, a partire dalla Siria, alla ricerca di soluzioni diverse da quella dello scontro violento.
Lo ha detto molto chiaramente, dopo l’incontro con Rouhani, il presidente del Consiglio Renzi: «Con l’Iran al tavolo internazionale sarà più facile vincere questa sfida al terrorismo e allo Stato Islamico ». È lo stesso concetto espresso nel breve comunicato emesso al termine dell’incontro fra Rouhani e papa Francesco, dove si sottolinea «il ruolo importante dell’Iran, insieme ad altri Paesi della regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggono il Medio Oriente ». Valutazioni che si contrappongono in modo radicale alla clamorosa opinione espressa in questi giorni dal ministro della Difesa israeliano Yaalon secondo cui, dovendo scegliere tra Is e Iran, sarebbe meglio preferire l’Is. Non si tratta di attribuire all’Iran finalità necessariamente coincidenti con le nostre, ma di vedere se e come raggiungere le necessarie convergenze in un momento in cui il governo presieduto da Rouhani sta puntando tutto, sia dal punto di vista degli equilibri interni che dell’economia, su un rapporto con il mondo esterno in cui la collaborazione possa prevalere sulla contrapposizione.
L’Italia non da oggi crede nella possibilità di sviluppare i rapporti con l’Iran puntando fra l’altro sulla grande simpatia che, come può verificare chiunque abbia occasione di visitare il Paese, gli iraniani nutrono nei confronti dell’Italia, un vero e proprio pregiudizio favorevole che è particolarmente accentuato negli ambienti riformisti, dove non si dimentica che l’Italia fu il primo Paese occidentale a tendere la mano al presidente Khatami, e anche in quelli del centro moderato del regime, convinti che l’Italia più di altri Paesi possa accompagnare l’Iran nel suo processo di modernizzazione economica e integrazione nel sistema internazionale su una base di mutuo interesse e senza secondi fini. Al riguardo è interessante che le teorie cospirative tanto diffuse nell’opinione pubblica iraniana non riguardino mai l’Italia.
Fra l’altro questa assenza di sospetto nei nostri confronti permette a noi meglio che ad altri di sollevare — come risulta sia avvenuto nel corso dei colloqui — temi politicamente delicati come i diritti umani e in particolare la pena di morte, su cui l’Iran, assieme a Cina e Arabia Saudita, detiene un inaccettabile primato. In un momento in cui si celebra la Giornata della Memoria in ricordo della Shoah è comprensibile che si torni a condannare con fermezza ogni forma di negazionismo e antisemitismo. Appare però ingiustificato ignorare le non superficiali distinzioni che su questo come su altri temi esistono fra il presidente Ahmadinejad, tristemente famoso per la vergognosa “Conferenza sull’Olocausto” del 2006, e il presidente Rouhani. A fine 2014, dopo oltre un anno di presidenza Rouhani, il quotidiano israeliano Haaretz pubblicava un’inchiesta molto positiva sulla politica di Rouhani nei confronti della comunità ebraica in Iran (circa 20 mila persone), sottolineando l’importanza di segnali come l’autorizzazione alle scuole ebraiche di chiudere il Sabato nonché la concessione di consistenti aiuti statali all’ospedale ebraico di Teheran.
È giusto restare vigili e legare l’apertura nei confronti di Teheran, come del resto è avvenuto nel caso nucleare, a concreti comportamenti dell’Iran, cui non si deve smettere, in particolare, di ricordare che non è accettabile oltrepassare il confine fra opposizione alle politiche di Israele e rifiuto di riconoscere il suo diritto ad esistere. Andrebbe però evitata un’analisi piatta e dogmatica di un Paese dinamico, politicamente variegato anche all’interno dello stesso regime e socialmente in trasformazione che è sbagliato rappresentare come monolitico ed immutabile. Chi manifesta oggi un aprioristico scetticismo nei confronti della possibilità di un dialogo sostiene che la Repubblica Islamica non è e non può essere uno Stato normale che valuta pragmaticamente i propri interessi nazionali. L’accoglienza di Rouhani a Roma dimostra che l’Italia è convinta che non sia così. In questo non è lontana, sarebbe bene ricordarlo, dalla valutazione di fondo su cui si è basata, con il presidente Obama, la svolta della politica iraniana degli Stati Uniti. Una svolta che ha permesso l’accordo nucleare di Vienna grazie a un metodo negoziale che potrebbe oggi essere esteso, come ha accennato a Roma il presidente Rouhani, ad altri temi critici.
IL FOGLIO - Matteo Matzuzzi: "Il Vaticano punta sugli ayatollah per stabilizzare il medio oriente"
Matteo Matzuzzi
Papa Francesco con Hassan Rohani
La Santa Sede riconosce “l’importante ruolo che l’Iran è chiamato a svolgere, insieme ad altri paesi della regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggono il medio oriente”. E’ quanto sottolinea il comunicato diffuso dalla Sala stampa vaticana al termine dell’udienza concessa dal Papa al presidente iraniano Hassan Rohani, ieri mattina. Quaranta minuti di colloquio a porte chiuse che hanno confermato “i valori spirituali comuni” e il “buono stato” dei rapporti reciproci. Al di là dei convenevoli di rito – “la ringrazio tanto per questa visita e spero nella pace”, ha detto Francesco salutando l’ospite; “le chiedo di pregare per me”, ha risposto Rohani – l’incontro ha rafforzato la linea diplomatica che oltretevere si segue da decenni nei confronti di Teheran. Relazioni (stabilite nel 1954) che neppure la rivoluzione khomeinista del 1979 ha potuto interrompere.
Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, il portale del Pontificio istituto missioni estere, e gran conoscitore delle dinamiche geopolitiche orientali, ha scritto che “l’incontro di Rohani con Papa Francesco ha valore di ‘sdoganamento’ dell’Iran nella comunità internazionale, un po’ sullo stile del ruolo giocato dalla segreteria di stato vaticana nel rapporto fra Cuba e Stati Uniti”. Era dal 1999 che un capo di stato iraniano non metteva piede in Vaticano. L’ultimo (ma già lo scorso febbraio Bergoglio aveva concesso udienza alla vicepresidente Shahindokht Molaverdi) fu Mohammed Khatami, ricevuto da Giovanni Paolo II. L’artefice di quella visita fu Jean-Louis Tauran, all’epoca segretario per i Rapporti con gli stati e oggi cardinale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Lo scorso dicembre, Victor Gaetan ricordava su Foreign Affairs che un momento di svolta si concretizzò nel 1992, quando il clero sciita orfano di Khomeini promosse il primo incontro con la chiesa greco-ortodossa (la cui comunità è la più numerosa tra i cristiani iraniani). In particolare, notava Gaetan, la leadership della Repubblica islamica ammirava la capacità degli ortodossi di preservare i valori e la propria identità dinanzi alla globalizzazione a guida occidentale. Da quel momento iniziò un percorso che ebbe nella stagione di Khatami il punto più alto nelle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e il regime di Teheran, con la fondazione del Centro internazionale per il dialogo tra le culture e le civiltà, voluto proprio dall’allora presidente iraniano. Neppure gli otto anni segnati dalle provocazioni di Mahmoud Ahmadinejad, desideroso di cancellare Israele dalla cartina geografica, bloccarono i canali di comunicazione (che comunque si raffreddarono), come testimonia lo scambio epistolare tra il presidente e Benedetto XVI.
Con l’avvento dello Stato islamico, la Santa Sede ha lavorato per togliere dall’isolamento internazionale la Repubblica islamica, nella convinzione che solo un Iran al centro dei giochi nell’area avrebbe potuto contribuire ad arrestare l’escalation jihadista e a stabilizzare il vicino e medio oriente. Una visione, questa, che – nonostante le perplessità israeliane, tutt’altro che taciute – veniva confermata dal segretario di stato Parolin in persona, quando (era l’autunno del 2014) disse che “il coinvolgimento dell’Iran e il miglioramento delle sue relazioni con la comunità internazionale contribuiranno a favorire anche una soluzione soddisfacente alla questione nucleare”.
E proprio l’accordo sul nucleare è stato salutato con favore dal Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico dell’11 gennaio ha ricordato come l’intesa faccia “ben sperare per il futuro”, auspicando altresì che possa contribuire “a favorire un clima di distensione nella regione”. Oltretevere si parla di “linea realista”, che se da un lato non dimentica le impiccagioni e il trattamento non sempre benevolo nei confronti dei cristiani – il vescovo caldeo di Teheran, Ramzi Garmou, ha denunciato la confisca del terreno di proprietà della chiesa cattolica locale, ora destinato a ospitare una moschea – dall’altro vede nell’Iran un partner dialogante e desideroso di essere riammesso nel consesso internazionale. Dopotutto, aggiungeva Cervellera, “l’islam sciita è stato sempre più mistico e più aperto al dialogo con le culture”. In Vaticano si scommette sugli eredi di Khomeini, il tempo dirà se si è trattato di un azzardo o di una lungimirante strategia diplomatica.
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