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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
26.01.2016 Se la politica italiana dimentica i crimini del regime degli ayatollah
Analisi di Mattia Feltri, Paola Peduzzi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Mattia Feltri - Paola Peduzzi
Titolo: «Se la politica dimentica le condanne in Iran - Le quattro ipocrisie dietro i deliziosi affari con Rohani in Europa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/01/2016, a pag. 29, con il titolo "Se la politica dimentica le condanne in Iran", l'analisi di Mattia Feltri; dal FOGLIO, a pag. 1-IV, con il titolo "Le quattro ipocrisie dietro i deliziosi affari con Rohani in Europa", l'analisi di Paola Peduzzi.

Ecco gli articoli:

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Iran: "Non ci sono omosessuali in Iran... non più"

LA STAMPA - Mattia Feltri: "Se la politica dimentica le condanne in Iran"

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Mattia Feltri

Soltanto tre giorni fa qualche centinaio di migliaia di italiani era in piazza per manifestare a favore dei diritti omosessuali, non ancora riconosciuti in Italia, non a sufficienza. Si parla con agio di medioevo, si definiscono trogloditi gli oppositori, ci si infiamma di sdegno perché sul Pirellone a Milano compare la scritta «Family Day». Poi arriva in visita ufficiale il presidente iraniano Hassan Rohani (è arrivato ieri) e tutto questo fermento è già indolenzito nel torpore dei giorni feriali.

I rutilanti caroselli di sabato sono spenti, la riprovazione per l’arretratezza culturale italiana è evaporata, non importa che Rohani sia presidente di una Repubblica islamica nella quale gli omosessuali vengono impiccati in piazza, appesi alle gru. Ieri abbiamo aspettato da mattina a sera che qualcuno dicesse qualcosa, in fondo sono i giorni perfetti, di mobilitazione, di preparativi alla battaglia parlamentare che forse introdurrà le unioni civili. Ecco il resoconto: Fabrizio Cicchitto ha espresso soddisfazione per gli sviluppi dei rapporti economici con l’Iran purché non prevedano «reticenza sulle libertà»; Maurizio Gasparri si è chiesto dove siano gli inorriditi dalla tenda di Muhammar Gheddafi piantata a Villa Pamphili; il senatore Lucio Malan vorrebbe sapere se Matteo Renzi approvi il regime di Teheran; il più franco è stato Daniele Capezzone: «L’Iran di Rohani è uno Stato campione mondiale di pena di morte, è uno Stato che tuttora vuole cancellare Israele dalla faccia della terra, è uno Stato che (al di là dei recenti accordi) lavora a minacciosi obiettivi nucleari. Che quasi tutti tacciano su queste realtà la dice lunga sul triste stato del dibattito politico e civile in Italia. E dopodomani, 27 gennaio, è il Giorno della memoria...». Quattro voci da destra e fine, mentre la questione non è parsa interessante a sinistra, né fra le associazioni più specificamente combattive a favore dei gay. Molte notizie, invece, sui primi vantaggiosi affari, di un giro totale che è stato stimato in 17 miliardi di euro.

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I radicali di "Nessuno tocchi Caino" sono gli unici, nell'orizzonte politico italiano, a manifestare contro le violazioni dei diritti umani dell'Iran


Sono tanti soldi, ce rendiamo conto, ma bisognerà pur ricordare che pochi anni fa, alla domanda di un ragazzo americano, l’allora presidente Mahmud Ahmadinejad rispose che la malattia era debellata, «in Iran non esistono gli omosessuali». Il che è anche vero, perché appena ne viene scoperto uno si prende cento frustate (se il rapporto era casto e si pente) oppure viene messo a morte (se il rapporto era completo). Purtroppo non ci sono statistiche sulle esecuzioni, perché è capitato che i gay, anche minorenni, venissero condannati sotto voci più generiche. Gli amanti del dettaglio troveranno soddisfazione nell’ultimo report di Nessuno tocchi Caino, associazione della galassia radicale: 980 condanne capitali soltanto nel 2015, soprattutto per traffico di droga e omicidio ma anche per reati politici e - come detto - di natura sessuale. E poi lapidazioni, torture, mutilazioni cioè l’intera casistica delle pene inflitte per dare soddisfazione a Dio. Le ragioni di una così straordinaria indifferenza sono difficili da comprendere. C’entrerà il rilievo economico dei patti che si vanno definendo con Teheran; c’entrerà una certa deferenza verso l’Islam, e il timore di cedere al «noi e loro»; c’entrerà un incrollabile provincialismo per cui si pensa che quello che succede nell’altra pagina dell’atlante continui a non riguardarci. Comunque: stamattina al Pantheon, a Roma, è prevista una manifestazione della comunità islamica ostile al regime teocratico. In perfetta intesa, non ci saranno né i partiti (tranne i radicali) né la sempre più mitica società civile.

IL FOGLIO - Paola Peduzzi: "Le quattro ipocrisie dietro i deliziosi affari con Rohani in Europa"

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Paola Peduzzi

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Una vignetta negazionista presentata in un concorso in Iran. Perché Renzi non ne chiede conto a Rohani?

Il presidente della Repubblica islamica d’Iran, Hassan Rohani, è arrivato in Italia, ricoperto di attese e promesse di contratti e sollievo di buona parte dell’opinione pubblica europea: era dal 1999 che non si vedeva un leader dell’Iran in visita, allora il tour europeo, tra Roma e Parigi, toccò a Mohammed Khatami, considerato – coincidenze – il “moderato” in grado di sdoganare e riformare il regime iraniano. Rohani considera l’Italia la “porta” verso l’Europa e l’occidente, e negli incontri con il presidente, Sergio Mattarella, con il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e nella serata di lunedì con il premier Matteo Renzi, ha usato toni concilianti, rafforzando l’intesa attraverso accordi con aziende italiane del valore di circa 17 miliardi di euro nel settore dell’energia e dell’acciaio.

L’affidabilità del regime iraniano in questa “nuova pagina” che si apre dopo l’accordo sul nucleare è tutta da verificare – un diplomatico francese citato dalla Reuters dice romanticamente: “Bisogna costruire la fiducia. E’ come in amore, è solo la prova d’amore che conta” – ma intanto l’economia dell’Iran è accessibile, restare sulla porta sarebbe poco utile per gli imprenditori occidentali, che si mettono in fila e siglano contratti – i francesi puntano decisi sul mercato automobilistico. L’apertura economica, che serve all’Europa in affanno e all’Iran al collasso, è l’inizio di una partnership che, nelle intenzioni dei leader che l’hanno determinata, dovrebbe rafforzarsi su altri dossier. Quando si chiede ai diplomatici europei “è solo una questione di soldi?”, o per essere più cattivelli “lo fate soltanto per il petrolio?”, la risposta è sempre la stessa: occhi al cielo. Da qui nasce l’ipocrisia che accompagna la visita di Rohani in Europa.

Ci sono almeno quattro questioni da affrontare. La prima: i diplomatici europei – per prima l’Alto rappresentante Federica Mogherini – sono convinti che la fine dell’isolamento dell’Iran sia una promessa di stabilizzazione dei conflitti in medio oriente. Il presidente americano Barack Obama ha spiegato che, dialogando con Teheran, le chance di pacificazione globale sono aumentate. Il tavolo di negoziato sulla Siria, che avrebbe dovuto aprirsi lunedì e invece lo farà, forse, alla fine della settimana, è la prima dimostrazione che tale garanzia non esiste – semmai le milizie sciite, soprattutto in Iraq, complicano le operazioni degli occidentali (e sono anche le prime indiziate, ha scritto il Wall Street Journal, della scomparsa di tre americani a Baghdad, la settimana scorsa).

La seconda: domani è la giornata della Memoria, ed è tragicamente ironico che il leader di un paese negazionista sia ricevuto proprio qui, in Europa, come un capo di stato finalmente riaccolto nella comunità internazionale, come se l’annientamento dello stato ebraico – e dell’occidente – non fosse un principio costitutivo della Repubblica islamica.

La terza: la natura del regime iraniano, che vuole esportare il jihad – e lo sta facendo in tutto il medio oriente attraverso i suoi alleati e le Guardie della rivoluzione, che è dalla guerra con l’Iraq negli anni 80 che non erano tanto presenti sul territorio extrairaniano.

La quarta: i diritti umani. Il regime è in costante violazione degli accordi internazionali, ma i diplomatici occidentali sono disposti a dare credito a Rohani, pur non essendoci alcuna indicazione, nei quasi tre anni della sua presidenza, di un alleggerimento della repressione, anzi. Le esecuzioni sono aumentate, i dissidenti scompaiono a Evin o non si sa dove, molte sono donne, gli omosessuali poi non ne parliamo. I sostenitori del deal (ancora Emma Bonino lunedì su Repubblica) dicono che l’apertura economica è il primo passo per poter ora insistere sulla questione dei diritti, lasciando intendere che l’accordo sia il presupposto di un indebolimento del regime stesso, che dovrà allentare la sua presa. Ma quale regime firmerebbe mai un accordo che lo rende meno forte? Forse è sicuro che questo accordo è studiato apposta per non dar troppo fastidio al regime.

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