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Italia Oggi Rassegna Stampa
26.01.2016 Zaruya Shalev: una scrittrice israeliana in Germania
Analisi di Roberto Giardina

Testata: Italia Oggi
Data: 26 gennaio 2016
Pagina: 14
Autore: Roberto Giardina
Titolo: «Una scrittrice israeliana in viaggio per la Germania»

Riprendiamo da ITALIA OGGI del 26/01/2016, a pag. 14, con il titolo "Una scrittrice israeliana in viaggio per la Germania", l'analisi di Roberto Giardina.

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Roberto Giardina

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Zeruya Shalev

Berlino - Tocca all´Europa risolvere i problemi insoluti del Medio Oriente, aggravati dalla serie di errori commessi dagli Stati Uniti. Ora si trova confrontata a una tragica conseguenza: l´esodo di un popolo di disperati, tra accoglienza e rifiuto, tra cinismo e l´invasione di fuggiaschi che sarà difficile, o impossibile integrare. E la Germania è in prima linea, per la sua forza di oggi, per le sue colpe di un recente passato. Un paradosso tragico, perché è il peso del nazismo che le impedisce di agire. A suo tempo, il ministro degli esteri il verde Joschka Fischer, amato oltre i suoi meriti, si agitò molto (dal 1998 al 2005), volando da una capitale mediorientale a un´altra, senza ottenere granché. Gli veniva ricordato che nel 1969 ad Algeri fu fotografato mentre applaudiva Arafat che incitava “alla distruzione di Israele”. Non avevo un marco, si scusò, e a 21 anni accettai l´invito per trascorrere alcuni giorni di vacanza al caldo. Ma ormai anni dopo non poteva più essere credibile. Come può agire oggi la Germania di Frau Merkel?

“Der Spiegel” ospita un lungo intervento della scrittrice israeliana Zeruya Shalev, 56 anni, di cui quasi tutti i romanzi sono stati tradotti anche in Italia, da diversi editori, Mondadori, Frassinelli, Feltrinelli. “Von Berlin nach Tel Aviv”, è il titolo, e in volo l´autrice parla con i suoi vicini di fila del luogo da cui sono partiti, e del passato. Si può perdonare, e si può perdonare senza dimenticare? E´ una domanda che riguarda noi tutti europei, a volte vittime a volte carnefici. L´antisemitismo è un male europeo. Quando ero corrispondente da Parigi, mi capitava di sentire in ambienti insospettabili la battuta “ma quello è un ebreo”. A Berlino non la udirete mai. Queste parole basterebbero a squalificare chi le pronuncia, e segnerebbero la fine di un uomo politico. Ma cosa si pensa, o si sente senza osare neanche pensarlo?

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Il libro più noto di Zeruya Shalev (Feltrinelli ed.)

“Ich liebe Angela Merkel”, confida in volo l´anziana vicina a Zeruya Shalev. Ed aggiunge: “Ho paura di che cosa possa diventare la Germania dopo di lei.” La Cancelliera ha aperto le frontiere ai fuggiaschi, è stata lasciata sola in Europa, ed ora rischia la poltrona dopo la notte di violenze l´ultimo dell´anno a Colonia, da parte di un migliaio di giovani arabi ubriachi. La scelta di “Spiegel” di pubblicare a gennaio l´articolo della Shalev non è casuale.

Una Germania da volto umano grazie alla signora. Ma non basta un leader. Nel 1973, alla vigilia della guerra del Kippur, seguii Brandt in Israele, il primo Cancelliere che giungesse in visita. Lo accolse una piccola folla all´aeroporto di Tel Aviv. Sui cartelli era scritto: “Welcome Willy, ma Willy non è tedesco.” Quarant´anni dopo, a Berlino, avevo come vicino di pianerottolo il direttore d´orchestra israeliano Lior Shambadal (65 anni), e scoprimmo di esserci incontrati senza saperlo quella lontana sera a Tel Aviv. “Fui io, mi disse, giovane tenente, mi raccontò, a dirigere l´orchestra che suonò l´inno tedesco per accogliere Brandt. Si erano rifiutati tutti, e mio padre non mi parlò per un anno.” Pochi mesi dopo il tenente Lior combatteva nella guerra del Kippur. E quando lo conobbi dirigeva i Berliner Symphoniker.

L´orchestra, benché avesse molto successo, fu cancellata per motivi di bilancio, ma Lior non ha voluto lasciare la Germania, ha creato i Berliner Sinfoniker, e li dirige rinunciando a gran parte dei compensi. Lei può perdonare? chiede la scrittrice all´anziana vicina. Aveva otto anni quando i nazisti giunsero nella sua città in Ungheria, uccisero la madre innanzi ai suoi occhi, il fratellino neonato le morì tra le braccia nella lunga marcia verso il Lager. Lei sopravvisse, oggi riceve 800 euro di pensione dallo stato tedesco. “Come si fa a odiare una lingua? Il tedesco è la mia lingua madre, è la mia cultura”, risponde la sopravvissuta, che elude la domanda a cui non vuole e non può rispondere. Quando compie letture dei suoi romanzi in Germania, racconta Zeruya Shalev, “mi chiedono sempre di leggere qualche pagina in yiddish, anche se nessuno tra il pubblico può capire…in nessun altro paese come in Germania si è interessati alla lettura israeliana. E in Israele si segue con passione la letteratura tedesca.” In tedesco è uscito ultimamente da Piper il suo romanzo “Schmerz”, dolore.

Anche la scrittrice non trova una risposta, perdonare e non dimenticare. “Forse dovrei visitare la Germania in incognito”, conclude, per capire i tedeschi di oggi. Nel rapporto tra Israele e Germania, non è possibile intromettersi. E ogni commento, da estraneo, è inutile, oltre che arrogante. Potrei dire, da europeo, che dare la colpa del passato solo ai tedeschi, è un alibi per noi altri, per la Polonia o la Russia dove l´antisemitismo è sempre forte. Anni fa Walesa condusse la sua campagna elettorale ricorrendo a slogan antisemiti che ricordavano quelli nazisti: ma in Polonia vivono ancora appena duemila ebrei. Un alibi per i francesi che consegnarono ai nazisti i loro ebrei, e per noi italiani che con Mussolini volemmo imitare le leggi razziali. Il volo da Berlino a Tel Aviv, tra molte domande e nessuna risposta, è un viaggio nel tempo.

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