Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/01/2016, a pag. 13, con il titolo "Attenti alla rivolta in Tunisia, il Califfato può sfruttarla", il commento di Carlo Panella.
Carlo Panella
Violenze urbane a Kasserine, Tunisia
Cresce la rivolta per fame nella Tunisia profonda. L’epicentro delle manifestazioni è la provincia di Kasserine, nella zona centro occidentale, la più povera,la più esposta alla crisi dell’agricoltura e soprattutto la più vicina alle montagne su cui da un decennio hanno messo piede - con largo supporto popolare - i gruppi jihadisti, Isis in testa. Non sono manifestazioni organizzate, non sono promosse da sindacati, partiti e men che meno da gruppi jihadisti. La loro pericolosità è appunto questa: sono manifestazioni spontanee e violente di fame, disoccupazione e rifiuto della corruzione dilagante.
Sono state innescate il 16 gennaio scorso, come già nella «primavera dei gelsomini» del 2011, dalla morte violenta di un giovane disoccupato. Questi, di nome Reda al Hayaoui, si è staccato da un corteo spontaneo a Feriana ed è salito su un palo della luce minacciando di suicidarsi per protesta ed è stato fulminato da una scarica. Una morte atroce davanti a centinaia di occhi inorriditi. Ieri, l’onda delle proteste si è estesa a macchia d’olio da Kesserine, a Feriana, Thala, Beja Tozeur, al Faha, Guebeli (dove è stato dato alle fiamme un commissariato), Sfax (assaltato il governatorato) e nella periferia di Tunisi. I manifestanti non sono le centinaia di migliaia della «primavera» tunisina, ma sono violenti, esasperati e preoccupano a tal punto il governo che ieri il premier Habib Essid ha lasciato in fretta e furia la riunione dei potenti del mondo di Davos per un rapido rientro in patria. Anche la Ugtt, il potente sindacato di sinistra, da sempre protagonista della scena - e della piazza - tunisina, siè ritrovata spiazzata dalla spontaneità e radicalità del movimento, tanto che il suo segretario generale Sami Tahri ha - impropriamente e a mo’ di scusa - accusato «cellule dormienti» jihadiste di avere provocato gli incidenti.
Classica mistificazione di un sindacalista che non comprende una realtà che gli sfugge, smentita dalla dinamica degli incidenti in cui è morto due giorni fa Soufiene Bouslimi un poliziotto di 25 anni. La sua auto si è trovata imbottigliata in un corteo ed è stata circondata e presa a calci dai manifestanti a Feriana; quando lui ha tentato di uscire è stato massacrato a suon di calci e pugni; 52, sono i poliziotti che hanno subito ferite, anche gravi, negli ultimi giorni, ma mai da armi da fuoco o da armi da taglio, a riprova del carattere spontaneo e non diretto da «professionisti» degli scontri. Il tutto, è questo il dato più preoccupante, in una regione che confina con le catene montuose della dorsale occidentale tunisina dove si succedono da anni gli scontri a fuoco dell’esercito con forti cellule jihadiste, che avranno ora sicuramente agio di fare ampio proselitismo tra i giovani arrabbiati della pianura.
Il dato ancor più preoccupante è che a fronte della protesta montante il governo risponde con provvedimenti che avrebbero voluto essere demagogici e adeguati e che invece sono tragicomici. In una regione come quella di Kasserine in cui la disoccupazione ufficiale è al 27%, ma in realtà sfiora il 50%, il governo ha deliberato l’inclusione di soli cinquemila disoccupati nei programmi di lavoro, la regolarizzazione della situazione di 1.410 lavoratori e il finanziamento di 500 microprogetti promossi dalla Banca Tunisina di solidarietà. Sono briciole, neanche provvedimenti tampone, come ben spiega la decisione di stanziare 70.000 euro (somma irrisoria) per la creazione di nove imprese per la manutenzione dell’infrastruttura stradale e la vaga promessa di trasformare tutte le terre agricole collettive in terreni privati entro marzo 2016. Questo accade dopo che da un anno e più era chiarissimo che senza consistenti aiuti dall’Europa la Tunisia sarebbe esplosa, il suo Pil infatti è crollato a causa della scomparsa del fondamentale apporto economico dei turisti europei, che sono scomparsi dopo gli attentati del Bardo, di Sousse e di Tunisi. Era ed è evidente che nessun imprenditore privato avrebbe rischiato investendo in Tunisia e che quindi era indispensabile un «Piano Marshall» di alcuni - non tanti - miliardi di euro dall’Unione Europea per contrastare disoccupazione e fame con grandi - e indispensabili - opere pubbliche. Ma nulla è stato fatto, gli aiuti europei si sono fermati a poche decine dimilioni. E si è permesso che si formasse - come previsto - un formidabile vivaio per il proselitismo dell’Isis.
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