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La Repubblica Rassegna Stampa
17.01.2016 Polonia/Brasile/Israele, l'autobiografia di Bernardo Kucinski
Recensione di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 17 gennaio 2016
Pagina: 47
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «L'incubo di K. alla ricerca della figlia perduta»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/01/2016, a pag.47, con il titolo "L'incubo di K. alla ricerca della figlia perduta", la recensione di Susanna Nirenstein al libro di Bernardo Kucinski "K. o la figlia desaparecida), Giuntina Ed.

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Susanna Nirenstein                                      Bernardo Kucinski

Tutto in questo libro è invenzione, ma quasi tutto è successo». L'avvertimento dell'esordio narrativo per l'ottantenne giornalista brasiliano Bernardo Kucinski figlio di ebrei polacchi emigrati, è asciutta e enigmatica: comunque quel che racconta del protagonista K. (come non pensare a Kafka ?) e della figlia desaparecida —cioè suo padre e sua sorella—è avvenuto davvero. Lontana dall'essere una semplice cronaca dell'orrore, questa è una storia incentrata sulla perdita, un mosaico a più voci in cui prendono corpo lo sconcerto, il dolore, la paura, il senso di colpa scaturiti in un uomo che ha comunque alle spalle e la prigione subita in Polonia due volte per il suo sionismo prima dell'emigrazione negli anni Trenta e la Shoah patita dai parenti, eppure non ha visto, non ha capito nulla di quel che succedeva all'adorata secondogenita. Nel 1964 in Brasile i militari inaugurarono, con un colpo di stato, un periodo di dittature in gran parte dell'America Latina Cile, Argentina, Uruguay. Non mancò la risposta studentesca e sindacale e il successivo indurimento del sistema repr es,ivo, mn imprigionamenti, torture, morte. Spesso marxisti e maoisti scelsero il terreno della querriglia, con tanto di sequestri di diplomatici stranieri da scambiare con i detenuti politici. il regime passò all'eliminazione degli oppositori. 150 desaparecidos, oltre ai 217 la cui morte è stata accertata È nel 1973 che Ana Rosa Kucinski e suo marito Wilson Campos, membri del gruppo armato Aliança Nacional Libertadora ( nel libro i nomi non compaiono) spariscono. K. non sa nemmeno che la figlia sia sposata, tanto meno che militi tra i rivoluzionari. Preso come è dai suoi studi sulla lingua e la letteratura yiddish, ha vissuto in un bozzolo di vagheggiamenti e nostalgie per un mondo che non c'è pia. Ora il suo sbigottimento è totale. Di fronte al diniego perentorio delle autorità, per scoprire cosa sia successo eccolo infilarsi in un pianeta di informatori, delatori, mostri E noi con lui. Ogni breve capitolo ci rivela nuove porte chiuse, connivenze, atrocità. Un avvocato legato al famigerato Sergio Fleury, a capo delle torture e degli squadroni della morte, e non solo per ottenere il passaporto di suo fratello; i seviziatori stessi; militanti diventati delatori; colleghi accademici di Ana Rosa che cinicamente votano la rescissione del suo contratto "per abbandono delle funzioni".; una tossicodipendente assunta ( e violata) da Fleury in un carcere speciale che, in una seduta psicoterapeutica, rivela le sue allucinazioni, il modo in cui carpiva informazioni dai prigionieri, si accorgeva dellla loro eliminazione e squartamento; rabbini che aiutano, altri che negano ogni ascolto; l'arcivescovo di Sau Paulo, il cardinale Evaristo Ams, che cerca di aiutare le famiglie degli scomparsi... Ogni testimonianza è basata su documenti o esperienze reali — anche se la connotazione letteraria è ottima e prevalente — , nessuna per porta a una traccia di dove e come la ragazza e suo marito siano scomparsi. Per K. l'incubo è infinito. La sua vita di commerciante e scrittore si disfa. E anche i modi della sua identità ebraica entrano in crisi. Tutto si avvita in domande senza risposte, nei suoi pensieri ossessivi. La moglie depressa fino a morirne per la famiglia sterminata nella Shoah. La sua fissazione, il suo legame maniacale con l'yiddish, una lingua morta, morta come ora sua figlia. Ricorda il figlio che è andato a vivere in Israele e con cui non si capiva più: ma in fondo conosceva meglio Ana Rosa?, riflette, quando ognuno si mise in cerca del momento in cui avrebbe potuto evitare la tragedia e del perché sia ancora in vita. L'ingresso nella realtà è drammatico, tra i pochi punti d'approdo coloro che hanno vissuto la sua stessa esperienza, chiusi perd nel proprio dolore. L'unico ascolto che trova è quello dei parenti immigrati in Israele a cui scrive: questa volta in ebraico, non in yiddish_ Basta con quella mistificazione. Gli ebrei non sono un idioma assassinato. E la giustizia? Dov'è la giustizia? In Brasile è stata creata una Commissione nazionale per la verità e si sono aperti gli archivi della vergogna solo nel 2012.

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