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Il Foglio Rassegna Stampa
12.01.2016 'Il figlio di Saul' racconta l'inferno di Auschwitz
Lettera di Andrea Fiano, figlio di Nedo sopravvissuto ad Auschwitz

Testata: Il Foglio
Data: 12 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Andrea Fiano
Titolo: «'L'inferno di Auschwitz lo stesso di mio padre'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/01/2016, a pag. 30, con il titolo "L'inferno di Auschwitz lo stesso di mio padre", la lettera di Andrea Fiano.

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Andrea Fiano

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La locandina

Caro Direttore,
Il figlio di Saul, che rappresenta l’Ungheria agli Oscar e ha vinto domenica sera i Golden Globes come miglior film straniero dell’anno, non è semplicemente un film sulla Shoah. Né è solo la storia drammatica di un prigioniero di Auschwitz che è parte dei famigerati Sonderkommando. È molto di più. Da figlio di un sopravvissuto ad Auschwitz il film diretto da Laszlo Nemes ha avuto una valenza unica. Ha riportato alla mente, e sul piccolo schermo, le storie che ho sentito in casa da quando sono capace di intendere e volere. Non le vicende con un «Happy end» o le storie dei «giusti» che hanno salvato qualcuno durante la guerra. Le storie del Campo. Le parole del Campo. Le immagini del Campo, peraltro mai viste dal sottoscritto. È stato come se il regista ungherese, che ha solo 38 anni, avesse letto e sentito tutte le stesse cose che ho ascoltato io negli ultimi decenni. Senza filtri, senza buonismo. Ponendo il dramma nel dramma dei Sonderkommando e del loro ruolo tragico nell’inferno dei campi di sterminio.

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Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz

Per me, con il mio background, nel film c’era tutto e non c’erano eccessive (o blasfeme) concessioni alla vicenda narrata. Non ci sono clamorosi errori storici, o perlomeno non credo, né realtà forzate. Non ci sono forzature hollywoodiane, anzi. «Con gli anni l’Olocausto è diventato un’astrazione - ha detto Nemes - ma per me è più un volto che non dobbiamo dimenticare». Credo che ci sia drammaticamente riuscito con una storia che non usa immagini d’archivio e non pretende di ricostruire l’intera macchina dello sterminio nazista. Ma che è capace di trascinare lo spettatore, senza artifizi, nella vita di quell’inferno che sono stati i campi di sterminio. Grazie alle immagini e ai ritmi della narrazione, si ha la sensazione di avere «vissuto» due ore in quell’inferno.

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lettere@ilfoglio.it

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