Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/01/2016, a pag. 17, con il titolo "Libia, giallo sul raid anti-Isis. Parigi: non siamo stati noi", la cronaca di Lorenzo Cremonesi; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "La Libia non è un film di Totò".
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: "Libia, giallo sul raid anti-Isis. Parigi: non siamo stati noi"
Lorenzo Cremonesi
Misurata, Libia
È giallo sull’identità dei cacci a militari che ieri mattina avrebbero bombardato un convoglio di Isis presso Sirte. La prima reazione è che possa essere stata la minuscola aviazione del governo di Tobruk, comandata dal controverso generale Khalifa Haftar, ma qui i portavoce negano qualsiasi paternità. Così vale per gli egiziani, che pure da tempo operano al fianco di Haftar. Dal Cairo si parla di «aerei sconosciuti» operanti in Libia e la polizia di frontiera egiziana è in allerta. Che siano stati i francesi, che dall’ultimo attentato di Parigi hanno dichiarato guerra all’Isis a tutto campo? Possibile, però il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, lo ha smentito con decisione.
L’enigma dunque permane. Strano, ma possibile nel caos violento in cui versa la Libia, minacciata dalla presenza sempre più militante dei volontari stranieri del Califfato. Residenti nella città diventata roccaforte di Isis testimoniano alla Reuters e ai media locali di aver visto i caccia nel cielo e poi colonne di fumo alzarsi dalle piste nel deserto. Nella ridda di informazioni difficili da confermare in modo indipendente c’è anche quella di un attacco che sarebbe stato lanciato da tre barconi carichi di jihadisti contro il terminale petrolifero di Zuwaytinah. L’azione sarebbe stata respinta dalle guardie costiere sul posto, miliziani legati ai gruppi di Bengasi, che avrebbero affondato un barcone. Un fatto pare comunque assodato: Isis si sente tanto forte da tentare di impadronirsi delle risorse di produzione energetica nell’est del Paese.
L’attacco su Zuwaytinah fa il paio con quello contro il poco distante terminale di Sidr assieme alle raffinerie e depositi di greggio a Ras Lanuf, 600 chilometri a est di Tripoli: con i loro 4 moli attrezzati per le grandi petroliere e 19 depositi capaci di contenere sino a 6 milioni di barili di greggio. I media locali parlano di una strategia di Isis per rilanciare il prestigio del loro movimento penalizzato sui fronti iracheno e siriano. Il settimanale Spiegel scrive che l’esercito tedesco potrebbe iniziare una missione di addestramento delle forze armate in Libia, inviando 150-200 soldati al fianco di militari italiani. La missione potrebbe iniziare già nel giro di pochi mesi, partendo per motivi di sicurezza dalla vicina Tunisia.
IL FOGLIO: "La Libia non è un film di Totò"
Faiez Serraj
Quello che è successo venerdì in Libia potrebbe diventare la sceneggiatura istantanea di un piccolo pezzo di teatro, meglio: teatrino, per spiegare cosa accade nel paese africano. Breve, succoso, disperante. Vediamo. Il primo ministro designato del prossimo governo, Faiez Serraj, è andato nella cittadina di Zliten a portare le proprie condoglianze perché un terrorista suicida dello Stato islamico due giorni prima s’era presentato ai cancelli della locale accademia di polizia con una finta autocisterna d’acqua chiedendo dove poteva parcheggiare (risultato: quasi 70 morti, l’attentato più grave della storia libica). Serraj ha ricevuto più o meno una buona accoglienza, ma sulla strada del ritorno il suo convoglio ha preso un paio di proiettili, mentre si dirigeva verso l’aeroporto di Misurata. Inoltre, una milizia locale risentita gli ha sbarrato la strada al posto di blocco di Dafniya e non voleva più farlo partire. Negoziati frenetici tra lo staff del primo ministro incombente e la milizia armata, il gesto di buone public relation di Serraj rischiava di diventare un disastro: che figura avrebbe fatto se non fosse riuscito più a tornare alla sede provvisoria – che nemmeno è in Libia, è a Tunisi?
Nel trambusto, lo Stato islamico ha capito l’impasse per così dire istituzionale, ha deciso di uccidere il primo ministro ancora prima che diventi ufficialmente tale e ha mandato una finta ambulanza verso il convoglio, pare. Il guidatore è stato però intercettato e ucciso prima che arrivasse al convoglio bloccato. Non si sa come Serraj sia uscito dallo stallo, alcuni dicono persino che un elicottero straniero (italiano) sia venuto a prelevarlo, pietà dal cielo, e lo abbia portato all’aeroporto di Misurata, da dove poi è volato verso Tunisi. Il governo di Tripoli ora lo vuole denunciare per ingresso illegale in Libia – tenere conto che Serraj in teoria comanda il governo che dovrebbe cominciare a funzionare domenica 20 gennaio, tra meno di due settimane.
Le milizie di Misurata intanto hanno cacciato il gruppo che ha bloccato il convoglio, ma è di poca consolazione. Morale: se anche la metà dei dettagli che sono trapelati è vera, il primo ministro del governo di “Accordo nazionale” riesce a malapena a tornare da una visita sul luogo di un attentato senza essere arrestato o assassinato. L’Italia sta facendo del suo meglio per ricomporre i pezzi della Libia, il ministro Gentiloni ieri ha telefonato a cinque-sei ministri degli Esteri arabi, e un nostro aereo militare è atterrato a Misurata per prelevare quindici feriti gravi (dal camion bomba di Zliten) da portare in Italia – un intervento che dimostra l’appoggio e l’utilità della comunità internazionale – ma sembra un’acrobazia diplomatica. Ci sono forze profonde che stanno remando contro. Se il puzzle non riesce, toccherà pensare a un piano B: combattere lo Stato islamico mentre la Libia prova a darsi un governo, senza più attendere di muoversi a governo insediato.
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