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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.01.2016 L'islam contro le donne
Commenti di Fiamma Nirenstein, Danilo Taino

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Danilo Taino
Titolo: «'Lecito il sesso con la figlia': anche in Turchia la donna è il problema dell'islam - La cultura conservatrice che domina nell'islam»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 10/01/2016, a pag. 13, con il titolo " 'Lecito il sesso con la figlia': anche in Turchia la donna è il problema dell'islam", il commento di Fiamma Nirenstein; dal CORRIERE della SERA, a pag. 39, con il titolo "La cultura conservatrice che domina nell'islam", il commento di Danilo Taino.

Ecco gli articoli:

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IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: " 'Lecito il sesso con la figlia': anche in Turchia la donna è il problema dell'islam"

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Fiamma Nirenstein

Nel suo famosissimo libro intitolato «What went wrong» (che cosa è andato storto) il maggiore storico del Medio Oriente, Bernard Lewis, scrive «...il maggior colpevole (del mancato sviluppo) sta nell'aver relegato la donna in posizione di inferiorità, ciò che priva il mondo islamico dei talenti e delle energie di metà del suo popolo e condanna l'altra metà a essere allevata da madri illetterate e oppresse. Da qui nasce una popolazione arrogante o sottomessa e non adatta a una società libera e aperta». Cioè: la questione delle donne è quella dell'Islam stesso. Senza affrontarla non riuscirà mai a produrre uno sviluppo sociale pari ai bisogni della sua immensa popolazione.

Ci sono vari livelli di oppressione e di abuso, legislazioni diverse, movimenti che vi si contrappongono. C'è il tentativo Tunisino di promuovere una legislazione migliore per le donne e certamente fa parte dell'oscurità medievale più profonda la fatwa subito rinnegata dal Diyanet, ovvero il consiglio per gli affari religiosi turco, apparsa sul suo sito e poi cancellata. Era la risposta a un utente anonimo che chiedeva se il vincolo del matrimonio venga infranto dal desiderio sessuale nei confronti della figlia e trovava alla domanda repugnante una risposta altrettanto repugnante: un parere diceva che «comunque la figlia non deve aver meno di nove anni». Ci sono state molte proteste, ma è l'estremo di una filosofia per cui lo stesso Diyenet con un'altra fatwa definiva sconveniente che le coppie non sposate si tengano per mano, convivano o passino del tempo da soli: sessuofobia condita di pruriginoso, minuto interventismo che fa della donna un burattino e che nella nostra cultura, che pure ha avuto gli stessi problemi, è stata superata con secoli di battaglie di libertà. Si potrebbero elencare le differenze per legislazione ma la marea di pregiudizio è più forte: l'Egitto, Paese moderato, è il primo nella lista dell'oppressione femminile della Thomson Reuters Foundation. In questi giorni si discute sulla possibilità di convivenza con il mondo dei maschi musulmani dopo i fatti di Colonia (dove ormai sono 379 le denunce) che adesso cominciano ad apparire come l'inizio di una rivelazione epocale (è di questi giorni la denuncia di decine di giovani svedesi e finlandesi aggredite sessualmente da immigrati).

Da tempo avremmo dovuto fare del disprezzo per la donna un tema centrale della possibilità di incontro fra culture diverse, anche negli aspetti più conturbanti: per esempio l'uso delle donne yazide come schiave con la complicità delle kapò-mogli dell'Isis è stata letta come un'orribile bizzaria, anche se i protagonisti ce la spiegavano con dovizia di fatwe. Precetti ignorati dai più, ma aleggianti anche quando non praticati. Così si ignora da anni la crescita del delitto d'onore quando una ragazza da segni di «occidentalizzazione»; si ignorano le botte, il velo, la depressione della donna islamica.

È vero: la dottrina del Profeta al momento migliorò la condizione femminile: allora i pagani bruciavano i neonati non desiderati, e questo fu proibito; fu dato alla donna il diritto di ereditare e di possedere proprietà. Ma oggi invece l'Afghanistan, Pakistan, l'Iran, l'Arabia Saudita e anche gli stati moderati e la Giordania hanno legislazioni che riflettono la diseguaglianza femminile stabilita nelle scritture dell'Islam, la sua testimonianza vale la metà di quella di un uomo, il maschio è il capo. L'idea che la donna sia fonte del peccato la rende oggetto di fantasie perverse e aggressive. In Pakistan una donna deve provare di essere stata stuprata con quattro testimoni maschi adulti di «impeccabile» carattere. L'età in cui una ragazza si può dare in moglie tocca l'infanzia: le famose foto matrimoniali che a Gaza mostravano una processione di adulti con spose bambine in vestito bianco è rimasta quasi oggetto di curiosità etnica, e con comprensione etnica talora rispondono i giudici europei al delitto d'onore. Gli orrori raccolti sulla condizione della donna spiegano il perché della violenza a Colonia: le donne fuori la sera al buio, vestite come pare a loro, da sole o in compagnia secondo una scelta personale suscitano disprezzo religioso, morale, sociale, appaiono sgualdrine che si meritano il male e suscitano fantasie. Come fermare tutto questo? In Norvegia provano con dei corsi di rispetto per le donne, piccola arma contro i millenni.

CORRIERE della SERA - Danilo Taino: "La cultura conservatrice che domina nell'islam"

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Danilo Taino

L a stragrande maggioranza dei musulmani ritiene che la moglie debba obbedire al marito. Su altre questioni — divorzio, decisione di portare il velo, eredità — le comunità di religione islamica sono meno compatte, le opinioni variano da Paese a Paese. Un grande sondaggio sui «musulmani del mondo» realizzato nel 2013 dal Pew Research Center, ha fotografato la cultura prevalente di svilimento della donna tra i musulmani. Convinzioni che stanno probabilmente alla base dei fatti accaduti la notte di Capodanno a Colonia e in altre città europee. Sui 23 Paesi in cui è stata indagata l’affermazione che «una moglie deve sempre obbedire al marito», in venti si sono registrate ampie maggioranze che si dicono «del tutto o in gran parte d’accordo». Solo in tre — Bosnia, Albania, Kosovo — l’idea è risultata minoritaria. In Medio Oriente e Africa del Nord si va dal 93% della Tunisia al 92% di Marocco e Iraq al minimo, 74%, del Libano. Nell’Asia del Sud e del Sudest, dal 96% della Malaysia all’88% (quota minima) del Bangladesh. Situazione simile in Tajikistan (89%), Uzbekistan (84%) e in generale nell’Asia centrale ex sovietica. Anche tra i musulmani russi, il 69% è di quell’opinione. In Turchia il 65%.

I Paesi in cui la maggioranza dei musulmani ritiene che la decisione di portare o meno il velo dovrebbe essere lasciata alla donna sono venti sui 39 in cui la domanda è stata posta: tutti quelli di Europa e Asia con l’eccezione dell’Afghanistan, dove solo il 30% pensa che la scelta non debba essere fatta dal marito o dal padre. Che sia la donna a decidere sul velo lo pensa una minoranza anche in Egitto (46%), Giordania (45%), Iraq (45%) e in tutta l’Africa subsahariana con l’eccezione del Senegal (58%).

Il diritto di una donna di chiedere il divorzio è invece considerato legittimo per una maggioranza dei musulmani europei, turchi, dell’Asia centrale (escluso il Tajikistan), di Bangladesh, Tunisia, Marocco e Libano. Ma la pensa così solo il 22% in Egitto e Marocco, il 14% in Iraq, il 33% nei Territori palestinesi. Su 23 Paesi in cui è stato chiesto se i maschi e le femmine debbano avere gli stessi diritti di eredità, in dieci la maggioranza dei musulmani ha risposto negativamente, soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa. Idee che resteranno a lungo lontane da quelle prevalenti in Europa: sono radicate nella cultura e conservate dal fallimento economico e sociale dell’Islam.

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