Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 06/01/2016, a pag. 12, con il titolo "Iran e Arabia, nemici-gemelli: vogliono il dominio dell'islam", l'analisi di Fiamma Nirenstein; dal FOGLIO, a pag. 1-3, con il titolo "Il vendicatore di Riad", l'analisi di Daniele Raineri.
Per approfondire, consigliamo l'ascolto dell' intervista radiofonica a Fiamma Nirenstein, a cura di RADIO RADICALE.
Ecco gli articoli:
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Iran e Arabia, nemici-gemelli: vogliono il dominio dell'islam"
Fiamma Nirenstein
Sunniti contro sciiti
Secondo Amnesty International, l'Iran solo nei primi sei mesi del 2015 ha eseguito le condanne a morte di circa 700 persone, quasi tre esecuzioni al giorno, e circa 700 è il numero delle persone che, invece, in un anno, sono state messi a morte in Arabia Saudita. No, nessuno dei due dati rincuora, i numeri sono impressionanti. Ma non è banale metterli in luce in tempi in cui gli iraniani vengono sempre rappresentati con diplomatica grazia, e adesso che lo scontro sciita-sunnita è venuto alla luce drammaticamente quando i sauditi, provocatoriamente, hanno messo a morte il predicatore sciita attivista e forse terrorista Nimr al Nimr, e gli iraniani hanno reagito come tigri ferite.
La sequenza degli eventi è nota: le proteste degli sciiti ovunque, l'assalto all'ambasciata saudita a Teheran (e, certo, non per mano di una folla incontrollata), la rottura da parte del Sudan e del Bahrain lunedì, poi la condanna dell'università islamica di Al-Azhar al Cairo della «interferenza» negli affari interni sauditi, e poi l'annuncio della chiusura dei cieli e dei commerci sauditi e dei suoi alleati e poi e poi... la shia e la sunna si scontrano con ondate degne di essere cavalcate da un grande campione di surfing, e invece solo un'impotente stupore occidentale contempla quello che Eliezer "Geizi" Tsafrir, ex consigliere israeliano del primo ministro per gli affari arabi e ufficiale del Mossad definisce «l'ebollizione del conflitto sunnita-sciita». Per noi, un conflitto senza ragioni o torti, che inizia 1400 anni fa quando due sette musulmane si contrappongono sulla successione a Maometto, uno scontro che ci ricorda come in Medio Oriente alcuni problemi sono semplicemente privi di risposta.Il califfo e l'ayatollah per quanto ci riguarda sono quanto a ideologia, simmetrici: hanno in comune la convinzione che il destino del mondo è il sacrosanto dominio dell'islam, e ciascuno crede nel suo islam. Hanno stili diversi, affabili ambedue finché serve allo scopo, credenti solo in Allah e convinti che l'Occidente alla fine dovrà arrendersi.
Anche la Russia che adesso si offre come mediatore viene valutata su questo metro, come gli Usa di Obama, quale che sia la gentilezza mostrata nelle trattative e negli accordi. Sunniti e sciiti sono stati scatenati dal mare in tempesta delle primavere arabe, quando si scuotevano tribù appunto sunnite, sciite, curde, alawite, druse, yazide, beduine, cristiane...In parole semplici, il conflitto sunniti-sciiti innescato allora (come, mi permetto di ricordare, spiego nei dettagli del mio nuovo libro Il califfo e l'ayatollah) si è tradotto in un esercito sunnita con la punta di invasati detta Isis, e nella bomba sciita, oltre che nella disperazione dell'immenso popolo arabo che vaga terrorizzato o prende la strada della fuga verso l'Occidente. Il terrorismo, ad opera delle due parti, è diventato il maggior problema bellico del nostro tempo. E l'Arabia Saudita ha grandi responsabilità nella propulsione di quello wahabita, che ha portato fino all'11 di settembre, e oggi ripudia il suo passato combattendo l'Isis, mentre l'Iran, secondo il dettato imperialista di Khomeini, è lo sponsor degli hezbollah, organizzatore di stragi di ebrei e di attentati antiamericani e antieuropei.
È da quando gli americani hanno spinto avanti gli sciiti in Iraq che il mondo sunnita capitanato dal reame saudita fibrilla: per mesi ha osservato, fino al picco dell'accordo sul nucleare, la rivincita della minoranza sciita che nei secoli ha tanto sofferto. Mentre una trafila di imprenditori porta milioni con la fine delle sanzioni, ha sperimentato i missili balistici proibiti che possono portare anche testate nucleari. E gli Usa hanno rimandato anche le sanzioni promesse su questo aspetto. Libano, Siria, Iraq, Yemen sono ormai in gran parte nelle mani degli ayatollah. Eppure Obama ha scelto come sua «legacy» proprio un Medio Oriente quieto sulla scia del suo accordo. L'Arabia Saudita ha visto come il suo compagno di accordi petroliferi e militari si avvicinava al suo peggiore nemico. I re sauditi non vedono più convenienza nel conformismo occidentalista: lo dice l'alleanza multinazionale di cui si è messa a capo e la campagna bellica in Yemen. Problemi dinastici e petroliferi attizzano il conflitto.
Per l'Occidente il punto sembra essere intanto una lucida considerazione della disinvoltura con cui le parti (che applicano la sharia senza remissione ignorando ciò che per noi è «diritti umani») intendono la politica estera, le sue alleanze, i suoi trattati: scontro senza regole per il predominio.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Il vendicatore di Riad"
Daniele Raineri
Il despota saudita Salman
Ci eravamo abituati all’idea di un’Arabia Saudita controllata da una gerontocrazia da barzelletta, una famiglia reale di pretendenti al trono con un’età media più vicina agli ottanta che ai settanta, emblema dell’immobilismo arabo viziato dagli incassi del greggio. Invece alla corte dei Saud un anno fa c’è stato un cambiamento che si è rivelato più travolgente di quanto apparisse al momento – anche se è arrivato in modo controllato e guidato da linee dinastiche.
Il 23 gennaio, alla morte di re Abdullah, il successore Salman ha nominato il figlio Mohamed ministro della Difesa, non ancora trentenne e quasi sconosciuto alle cronache del regno (che invece oggi riempie ogni giorno). Bin Salman sta interpretando la nomina – che assomma a molti altri incarichi – in modo diverso dal canone consueto del regno dei Saud, per cui i giovani principi devono considerarsi inattivi e attendere il proprio turno tenendosi occupati in vacanze debosciate al largo delle coste sarde oppure esiliandosi in ascetismi pericolosamente borderline con l’estremismo. Bin Salman è attivo e ha una visione, e questo forse è un pericolo.
L’intelligence tedesca ha distribuito alla stampa un rapporto riservato – mossa inusuale, da cui il governo di Berlino ha preso le distanze – che definisce il principe Bin Salman “un rischio per la stabilità del medio oriente” a causa delle sue decisioni impulsive – come quella che ha portato alla guerra in Yemen nel marzo scorso, in cui lui ha avuto un ruolo chiave. In questi giorni la scelta deliberata di creare un caso diplomatico esplosivo con l’esecuzione dell’imam sciita Nimr al Nimr fa parte di questa nuova linea assertiva del regno, anche se in questo secondo caso non c’è un collegamento diretto con il principe Bin Salman. Il giornale inglese Independent ha una circolare distribuita alla polizia in cui si avvisa dei possibili disordini con giorni di anticipo, come dire: a corte sapevano che ci sarebbe stata una reazione.
Prima di parlare di guerre, però, vale la pena notare che l’arrivo di Mohamed bin Salman e del padre è coinciso anche con una rivoluzione nel campo degli affari internazionali con l’Arabia Saudita. Prima, con il vecchio re, ad avere la parte più importante nel business saudita era – a parte il settore dell’energia – lo storico e solito Bin Laden Group, imparentato come tutti sanno con l’Osama fondatore di al Qaida ma anche conglomerato prediletto del regno, tanto da essere scelto anche per i lavori sontuosi di ristrutturazione – o stravolgimento, a seconda di chi parla – delle città sante di Mecca e Medina. Il Bin Laden Group oggi non conta più come prima, il colpo di grazia alla sua immagine di favorito del trono è arrivato a settembre quando una gru è crollata in un cantiere della Mecca sopra una moschea uccidendo più di centodieci fedeli, e il gruppo ha visto rescissi una quantità di contratti con il governo. Ai manager è stato imposto di non poter lasciare il regno fino a quando l’inchiesta non sarà conclusa. Ora nell’èra Salman e figlio gli affari si fanno con tre grandi conglomerati, particolarmente vicini ai regnanti: lo Zamil Group l’Almabani General Contractors e il Nesma. Questi contatti e contratti riguardano anche l’Italia.
Nel 2014, Nesma ha creato un consorzio anche con Ansaldo Sts e Salini – Impregilo per la costruzione della linea 3 (la più lunga) della metropolitana della capitale Riad. Un lotto che vale circa 23 miliardi di dollari per lavori lunghi più di quaranta chilometri. L’uomo che controlla Nesma si chiama Saleh Ali al Turki, sta rivivendo una seconda giovinezza con l’arrivo al trono di Salman e ora è molto corteggiato dalle compagnie straniere che vogliono fare affari in Arabia Saudita. Saleh Ali al Turki ha anche un profilo d’affari più discreto nel settore della Difesa, grazie a una sua compagnia di nome Pannesma che dal 2012 gestisce in joint venture con Raytehon, il colosso americano dei sistemi d’arma. Assieme stanno sviluppando le capacità di controllo, di comunicazione e di elettronica della Difesa saudita. Si tratta di una commessa importante, perché il figlio di Salman a dicembre ha lanciato una nuova dottrina strategica e militare del regno (con una dichiarazione unilaterale: alcuni paesi l’hanno appresa dai media), che prevede la creazione di una lega di 34 paesi sunniti impegnati assieme contro lo Stato islamico – anche se molti osservatori ritengono che il vero obiettivo sia prepararsi a un confronto ancora allo stato potenziale con l’Iran. L’aggiornamento tecnologico della Difesa commissionato da al Turki fa parte di questo nuovo corso.
Un secondo punto della nuova dottrina militare è che l’Arabia Saudita dovrà essere in grado di difendersi in autonomia, leggi: senza chiedere l’aiuto degli americani. Per ora è un traguardo lontano, il regno viene da decenni di atrofia, sta incassando colpi spaventosi dalle milizie Houthi che spesso scavalcano il confine con lo Yemen e attaccano su territorio nazionale – quando in teoria la guerra doveva andare al contrario: truppe saudite che attaccano gli Houthi in Yemen. Ma in proiezione il concetto di un regno del Golfo che si regge sulle sue gambe, considerato che Washington ha raggiunto l’indipendenza energetica e si sta disincagliando il più possibile dalla sabbia mediorientale – anche troppo – è senz’altro interessante. Mohamed bin Salman vuole fare con la capacità militare saudita quello che negli anni Novanta il Qatar ha fatto con l’informazione tv e la creazione di al Jazeera.
Come segnala il sito IntelligenceOnline, che a Bin Salman e alla sua rete di aiuti e uomini d’affari ha dedicato un profilo approfondito lo scorso ottobre, i nuovi reali hanno una forte connessione con la Spagna, grazie a un businessman siro-spagnolo, Mohamed Eyad Kayali, che da traduttore del re ne è diventato partner d’affari, aiutando imprese spagnole a ottenere appalti sauditi decisamente redditizi. Bin Salman ha un rivale acerrimo, il successore al trono che lo precede nella linea ereditaria, Mohamed bin Nayef (ma è meglio non speculare a proposito di cosa succede dentro il palazzo, secondo una massima generica che vuole gli stranieri sempre in errore su cosa succede per davvero). Il rivale maggiore del principe potrebbero per ora essere le sue stesse decisioni: la guerra in Yemen è un disastro umanitario, gli aerei bombardano obiettivi civili, una qualsiasi soluzione sul campo o diplomatica sembra al momento non realistica e i gruppi estremisti se ne stanno avvantaggiando.
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