Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/01/2016, a pag. 6, con i titoli "I cecchini di Hebron che mirano ai soldati" e "Luogo simbolo nei secoli, fu culla dei Patriarchi e capitale con re Davide", due servizi di Francesco Battistini.
La disinformazione passa attraverso i termini che i giornalisti scelgono di impiegare. Non ci stanchiamo di ripeterlo, e i due articoli di Battistini sono di ciò un caso tipico, con una profusione di parole come "coloni", "ultrà ebrei", "occupazione".
Peggio ancora, Battistini sostiene che l'attentatore arabo palestinese che ieri a Hebron ha colpito due giovani soldati israeliani abbia sparato volontariamente alle gambe. Una invenzione del giornalista - ben lungi da poter dimostrare la sua affermazione - mentre come ben sappiamo l'intenzione dei terroristi palestinesi è di uccidere.
Battistini, infine, si spinge a definire il terrorista, non ancora individuato, un "eroe del mirino". In questo modo si unisce al coro di chi glorifica come "martiri" ed "eroi" i terroristi palestinesi assassini.
Per informarsi correttamente sulla vicenda, consigliamo la Cartolina di oggi di Ugo Volli.
Ecco gli articoli:
Francesco Battistini
Terroristi di Hamas: per Battistini sono "eroi del mirino"
"I cecchini di Hebron che mirano ai soldati"
Che sparino, ci sta. Che sparino così distante, può succedere. Che sparino così bene, è molto più raro. Che sparino solo alle gambe, e facciano pure centro, è tutta un’altra faccenda. A Hebron, ieri, è successo due volte in poche ore. Due colpi secchi, con armi di precisione. In due luoghi diversi. Due colpi, due centri. Al mattino s’è cimentato nel tiro al bersaglio un cecchino nascosto sul tetto d’una casa che vede appena la Tomba dei Patriarchi: nel mirino ha messo una soldatessa israeliana di 19 anni e l’ha presa alla coscia, per poi sparire fra le terrazze che coprono bene le fughe nella città vecchia.
Di pomeriggio c’è riuscito un altro (o lo stesso?) tiratore scelto, sdraiato su un fabbricato all’altezza della Hakvasim Junction, un incrocio appena fuori Hebron che conduce alle colonie: c’era un soldato che controllava i documenti degli automobilisti, lo sparo s’è sentito da lontano. Obbiettivo centrato a una gamba. Le due reclute sono state portate in ospedale a Gerusalemme. Le loro condizioni non sono complicate: lo è molto di più lo scenario che si presenta. «Non possiamo confermare che si registri un salto di qualità negli attacchi ai militari — dice un portavoce dell’Israel Defence Force —, ma il modo d’agire è decisamente diverso».
Palestinian Sniper. C’è un’intifada fai da te, coltellate alla disperata, che da più di tre mesi fa paura e morti, 154. E c’è qualcuno che alza il tiro: simulando attacchi in stile Stato islamico contro pulmini di turisti, com’è accaduto a novembre; ripetendo a Tel Aviv gli attacchi modello Parigi, com’è accaduto venerdì scorso con lo psicopatico arabo israeliano Nashad Melhel, ancora incredibilmente latitante; imparando la lezione di Al Baghdadi, che qualche mese fa aveva postato un video inneggiante a un’armata di cecchini pronta a colpire ovunque in Medio Oriente. Il cecchino palestinese s’era fatto vivo la prima volta il 13 novembre, sempre a Hebron: un padre e un figlio in auto ammazzati con due proiettili sparati da un’altura, lungo la strada della colonia di Othmel. È presto per sostenere che ci sia nei Territori palestinesi qualche eroe del mirino, un Chris Kyle al contrario. E soprattutto che risponda alle sirene dell’Isis. «È evidente però che c’è qualche buon tiratore», dice un ricercatore d’intelligence dell’Hezilyia Institute, Alon Berger: «Certo, in molti casi si tratta di gente disturbata. Il killer della Dizengoff lo è di sicuro. Ma in fondo, non lo erano anche gli assassini di Tunisi e i due californiani di San Bernardino?».
"Luogo simbolo nei secoli, fu culla dei Patriarchi e capitale con re Davide"
Hebron
Ti mando a Hebron. Quando un soldato israeliano ci sa fare, o merita una punizione, la Tomba dei Patriarchi è nel suo destino: una sinagoga e una moschea appiccicate come da nessuna parte al mondo, da guardare con gli occhi aperti il venerdì della preghiera e apertissimi il sabato del riposo. «Io ho già ucciso un arabo. E tu?», è scritto da anni sulla porta di Baruch Mazel, il capo dei 600 coloni ebrei più fanatici di tutta la Cisgiordania. Anche uccidere l’ebreo è tornato di moda: nel 2013, i servizi israeliani prevedevano che la terza intifada sarebbe scoppiata a Hebron e oggi Hebron non ha deluso le aspettative, è diventata la Jenin di tre mesi d’accoltellamenti e cecchinaggi. Se il 67% dei palestinesi nei Territori tifa per i nuovi martiri, sostiene un sondaggio, la città dei Patriarchi è ormai una roccaforte di Hamas che arriva all’85. «Non c’è da sorprendersi — commenta Sever Plocker su Yedioth Ahronot — gli errori a Hebron sono stati enormi. E il primo a sbagliare fu Rabin, che da primo ministro tollerò la crescita dei fanatismi. Questo luogo è un simbolo che non può essere trascurato».
Figli d’Abramo, figli di Hebron. Il simbolo della fratellanza delle tre grandi religioni abramitiche è quella Tomba del Padre dei Popoli cara a ebrei, musulmani e cristiani, nel cuore svuotato della città più grande della West Bank. Il simbolo del loro scannamento è ciò che sta intorno: soldati, metal detector, vetri antiproiettile per contemplare la Tomba sia dalla moschea che dalla sinagoga. Eredità dei massacri: quello degli ebrei ad opera dei musulmani (1929), quello dei musulmani per il kalashnikov del colono Goldstein (1994). Lascito della politica: il rabbino ultrà che nel 1969 si finse turista e venne a fondare la colonia di Kiryat Arba, oggi una delle più intransigenti, siepi pettinate e belle macchine; Arafat e Rabin che nel 1997 decisero una «divisione temporanea» mai così definitiva.
Tiph, Temporary International Presence in Hebron, si chiamano i caschi rossi (ci son pure i nostri carabinieri) incaricati di tenere buone le parti. Hebron ha 5 mila anni ed è citata nel Pentateuco, ma furono i pogrom e i giornali del Novecento a darci questo presente impossibile. V’incoronarono Davide re d’Israele, che la fece capitale prima di Gerusalemme, la governarono Saladino e i bizantini, i crociati e gli ottomani, i sasanidi e i bizantini, gli egiziani e gl’inglesi, ma il regno d’oggi è l’angoscia, la spartizione nei settori H1 e H2, i 150 mila arabi a fare da sfondo di quei pochi coloni scortati da 1.500 soldati e dai governi israeliani che ne sostengono le ragioni, le finanze. Perfino gli scavi archeologici, per dimostrare che Hebron vale per un ebreo esattamente come Gerusalemme: «Non si capisce perché il 20% degl’israeliani sia palestinese — il loro argomento — e uno 0,5% degli abitanti di Hebron non possa essere ebreo».
Casbah spettrale, con la spazzature gettata dai coloni sulla Shiuhada Street degli arabi, rinominata King David Street. Con le stelle di David a spray nero sulle saracinesche abbassate delle 1.220 botteghe di palestinesi fuggiti o falliti. «Qui un palestinese deve sempre dimostrare d’essere innocente — dice la giornalista israeliana Amira Hass — un ebreo invece no». Hebron ha università, affari, squadre di calcio (una l’allena un italiano, Cusin, che faceva il vice di Zenga), vita vera nella sua parte moderna. E poi ha quella storia che la paralizza, il cuore fermo delle tombe di Abramo, Isacco, Sara, Giacobbe, Lia. Una volta venne per una visita Mario Vargas Llosa, lo scrittore premio Nobel. S’indignò: non c’è storia che valga questa cronaca.
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