Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/01/2016, a pag. 5, con il titolo "Kalashnikov, soldi, legami e mandanti: ecco le domande ancora senza risposta", l'analisi di Leonardo Martinelli.
Leonardo Martinelli
I terroristi delle stragi di Parigi del gennaio scorso: da sinistra, Chérif e Said Kouachi, Amedy Coulibaly
Alle 11,30 del 7 gennaio 2015, sotto un cielo plumbeo e opprimente, mentre Parigi vive la sua vita e non può immaginare l’orrore che verrà, i fratelli Kouachi, Chérif e Said, penetrano nella redazione di Charlie Hebdo e iniziano la loro carneficina. Segue la caccia ai due jihadisti, che moriranno durante un attacco delle teste di cuoio, due giorni dopo, a nord della capitale. Nel frattempo entra in azione Amedy Coulibaly: ferisce (ma la certezza non è totale) un uomo che faceva jogging a Fontenay-aux-Roses, il 7 gennaio. Ed è sicuramente lui ad abbattere l’indomani una poliziotta municipale nei pressi di una scuola ebraica, nella periferia sud di Parigi. E a compiere la strage all’Hyper kosher il 9 gennaio, dove anche il terrorista resta ucciso. Bilancio di due giorni d’orrore: 17 morti innocenti. E, ancora oggi, qualche mistero.
I legami fra attentatori
La notte prima dell’eccidio di Charlie Hebdo, Chérif esce dal suo appartamento di Gennevilliers, banlieue parigina ad alta densità di immigrati, e incontra per qualche minuto Coulibaly. La mattina dopo Chérif invia un sms all’amico Amedy, per avvertirlo che con il fratello si sta dirigendo verso Charlie Hebdo. Chérif e Coulibaly si conoscono da una decina d’anni. Si sono incontrati nel 2006 nella prigione di Fléury-Merogis, dove sono rimasti incarcerati qualche mese. Coulibaly si trovava lì per traffico di droga e Chérif già per l’accusa di integralismo islamico, come componente di una cellula di jihadisti, quella del Buttes-Chaumont, dal nome di un parco di Parigi, dove si ritrovavano quei giovani invasati. Dei tre attentatori di un anno fa Coulibaly, tipo violento e irruento, appare «dominante» rispetto ai Kouachi. Ma gli inquirenti non hanno potuto dimostrare che fosse il loro capo: forse si sono solo coordinati.
Chi sono i mandanti?
I legami con lo Stato islamico non sono così espliciti come per i terroristi del 13 novembre. Dei tre attentatori del gennaio 2015, apparentemente nessuno si è recato in Siria. In un video, comunque, Coulibaly (che si fa chiamare Abou Bassir Abdallah al Ifriqi) rivendica la sua appartenenza all’Isis. Non solo: comunica via sms con un uomo (non ancora identificato) che dalla Siria gli impartisce rapidi ordini e consigli nei giorni degli attacchi.
I Kouachi, invece, invocano Al Qaeda. D’altra parte, Chérif ha viaggiato nel 2011 nello Yemen con Salim Benghalem, un tempo «ragazzo gioioso» (così se lo ricordano i vicini di casa della sua famiglia nella periferia parigina) e oggi temuto torturatore e boia della polizia islamica dell’Isis. Il 9 gennaio 2015 Nasser Ben Ali Al Anassi, portavoce di Al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqpa), rivendica gli attentati. Ma i due fratelli sono poi stati recuperati da una certa mitologia made in Isis, citati in un video di propaganda del novembre scorso.
E Salah Abdeslam, ricercato numero uno dopo le stragi del 13 novembre, avrebbe riferito agli amici belgi, che lo hanno aiutato ad abbandonare indisturbato Parigi, di aver lasciato nell’auto affittata la carta d’identità del fratello Brahim, morto quella sera come kamikaze, proprio a imitazione di quanto fatto dai Kouachi. Con l’obiettivo di far conoscere il nome di Brahim, martire e novello eroe, al mondo intero.
Quali complici? E le armi?
Nell’ultimo anno nessun complice dei Kouachi è stato individuato. Sette, invece, ne sono stati presi per Coulibaly, accusati di aver fornito supporti logistici. In parte si tratta di simpatizzanti dell’integralismo islamico, altri sono delinquenti comuni. Tutti assicurano di non essere stati a conoscenza delle intenzioni di Coulibaly.
Le indagini
Gli inquirenti francesi hanno già fatto scarcerare altri sospetti, credendo a quella versione dei fatti. Alcuni dei compagni di Coulibaly, ancora in prigione, l’hanno aiutato a procurarsi le armi, attingendo al solito Belgio, terra di traffico illegale nel settore, in particolare a Charleroi. Coulibaly avrebbe fornito le armi ai Kouachi. Ma anche questo non è sicuro al 100%. I fratelli hanno fatto proprio tutto da soli?
I flop degli 007
Nel 2010 Chérif era andato assieme all’amico Amedy a Murat, paesino incastonato in un paesaggio bucolico, nel sud della Francia. Fecero visita a Djamel Beghal, lì agli arresti domiciliari, dopo aver pianificato un attentato. I due erano stati notati dalla polizia francese e segnalati ai servizi segreti. Più tardi Coulibaly sarà condannato per aver partecipato al progetto di evasione da un carcere francese di Smain Ait Ali Belkacem, uno degli attentatori del 1995 a Parigi e veterano del Gia, gruppo di terroristi islamici algerini. Nella stessa occasione viene interrogato anche Chérif Kouachi. Coulibaly esce dalla prigione nel maggio 2014. Possibile che Chérif e soprattutto il suo amico Amedy non fossero sotto controllo all’inizio del 2015? Domanda imbarazzante. E a Parigi un vero tabù.
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