martedi` 19 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
04.01.2016 Giovani musulmani italiani: se l'islam è l'identità addio integrazione, l'islam non lo permetterà
Reportage di Karima Moual

Testata: La Stampa
Data: 04 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Karima Moual
Titolo: «Tra i musulmani d'Italia: 'Le nostre radici? L'islam'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/01/2016, a pag. 1-11, con il titolo "Tra i musulmani d'Italia: 'Le nostre radici? L'islam' ", il reportage di Karima Moual.

Quanto affermano gli intervistati aiuta a capire la natura dell'islam, che è diversa da quella di ogni altra religione perché non prevede la possibilità di una separazione tra politica e fede. Se questi giovani intervistati sono in buona fede - cosa di cui non dubitiamo - non potranno essere ragionevolmente islamici: sarebbero obbligati a considerare i Paesi nei quali sono nati o hanno scelto di vivere come infedeli, apostati, portatori di un modello di vita satanico e meritevoli quindi soltanto di conversione o morte.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Karima Moual

Immagine correlata
Giovani musulmani italiani

«Se dovessi descrivere la mia identità, non mi rivedo nella mia cultura d’origine, quella marocchina. Piuttosto mi rivedo nell’Islam, che per me è tutto. Sono italiana ma la mia identità è musulmana». Lo afferma Soumia Mahdoul con una nitida sicurezza che quasi tradisce la sua giovane età: 19 anni, nata a Vercelli, studentessa di psicologia a Torino.
Lei è una parte di quel ritratto chiamato «seconde generazioni», di quella galassia di un milione e mezzo di musulmani che vivono in Italia, provenienti soprattutto dal Marocco.

I genitori di Soumia sono di Zagora, nel deserto del Marocco. Un altro mondo rispetto al Vercellese. Ma lei non ha nostalgia per quelle terre lontane. Le sue radici sono l’Islam che non ha confini. Ci tiene a precisare che è musulmana osservante. Porta il velo dai 13 anni, come Maria Benradi, 22 anni, nata a Ivrea, laureanda in ingegneria che su Facebook rimarca la sua doppia appartenenza. Il nome scritto anche in arabo.
«Il velo? L’ho voluto indossare io, nessuno me l’ha imposto. Volevo che mi si vedesse non solo come Maria Benradi, ma nella mia interezza. Quella islamica. Oggi però lo porto con più consapevolezza».

Il velo e le origini
Il velo diventa il simbolo di un percorso in cui conta l’identità islamica e in cui l’etnico perde importanza. Non importa più se si è marocchini, egiziani, tunisini o italiani: il pilastro fondante è l’Islam.
«Oltre gli insegnamenti dei miei genitori - racconta Soumia - ha avuto un ruolo fondamentale anche il percorso che ho fatto in moschea attraverso l’organizzazione Psm, Partecipazione e Spiritualità Musulmana, dove posso dire di essere cresciuta attraverso le lezioni di arabo e le lezioni di religione islamica che ogni domenica frequentavo fin dall’età di 5 anni».
Il percorso di Soumia, nell’appropriazione dell’identità islamica, è lo stesso di molti altri suoi coetanei. Chi, con l’organizzazione Psm e chi con altre organizzazioni islamiche presenti sul territorio.

Nel caso specifico, l’organizzazione del Psm attraverso i centri culturali islamici diventa lo strumento della formazione dell’identità islamica di molti giovani, come Soumia e Maria. Ma il Psm non nasce dal nulla, è promosso da alcuni genitori di queste seconde generazioni e si rifà a una figura molto controversa in Marocco. Lo Sheikh Abd El Salam Yasin, fondatore del movimento islamista di Al Adl Wal Ihsan (giustizia e carità), in passato considerato illegale ma oggi tollerato dalle autorità marocchine. Ma il Marocco è lontano, quel che lega è l’Islam e qui siamo in Italia, dove l’organizzazione è cresciuta nel territorio e soprattutto al Nord. Solo lo scorso mese è stato presentato a Torino il volume sullo Sheikh Abd El Salam Yasin, in lingua italiana. Perché ancora il problema rimane la lingua di trasmissione del pensiero islamico, nonostante nelle varie moschee si siano promossi corsi di arabo e di catechismo islamico.

Anche per Adil El Hakim, 20 anni, studente di economia, è più semplice la lettura in italiano dei testi islamici. Il suo intellettuale preferito è Tariq Ramadan perché approfondisce l’Islam europeo, ma segue e stima anche Pietrangelo Buttafuoco. Anche lui è nato qui: «Sono molto più legato all’Italia, anche se il legame con il Marocco non manca. Sono però più che altro legato alla mia religione e sono molto orgoglioso di essere di fede musulmana, perché ne condivido i valori e i principi di solidarietà, accoglienza e fratellanza, oltre che l’importanza della famiglia».

In attesa di laurearsi , Adil cerca di seguire il mondo attraverso Al Jazeera ma anche Euronews. E per gli approfondimenti sull’Islam spazia nel web alla ricerca di sapienti musulmani che possano rispondere alle sue curiosità e perplessità. I siti di contro-informazione e i blog di attivisti e filosofi sono i suoi preferiti. Non manca poi la politica italiana: «Ne ho poca fiducia - dice - ma seguo il Movimento 5 Stelle, seguo molto Manlio Di Stefano, perché è molto attivo sulla politica estera e sulla questione palestinese. E poi sono affascinato dall’integrazione dei musulmani in Russia. Mi ha commosso il discorso di Putin all’inaugurazione della più grande moschea d’Europa, quando ha precisato come l’Is sia piuttosto una perversione dell’Islam».

In molti temono un’avanzata di islamofobia. «Negli ultimi anni è visibilmente aumentata la diffidenza verso i musulmani», dice Ashraf Safiri, 23 anni e in Italia da 15. È un perito meccanico e la sua quotidianità oltre le mura di casa è tutta italiana. Ciò nonostante il rapporto con le origini è forte. «In Italia mi trovo bene, per carità, ma sento comunque che mi manca qualcosa. Perché la verità è che sento di essere una minoranza, come musulmano».

Non praticanti
Una voce fuori dal coro è quella di Shadi Abu Abed, 25 anni, italo-palestinese: «Il rapporto con la mia cultura di origine è ottimo - afferma - ma a differenza di altri, io non mi faccio schiacciare dalla mia cultura, piuttosto ne assorbo ciò che per me è un beneficio. Le mie origini palestinesi e musulmane sono certamente un arricchimento ma non sono né praticante né osservante. Ho un approccio con l’Islam più storico culturale che di fede».

«Il mio rapporto con l’Islam è un po’ a modo mio», dice Mohamed Ghamloush, 26 anni, nato a Roma ma di origini libanesi. «Sono credente ma non praticante alla perfezione. Non per questo sono meno musulmano di altri».
Il marchio dell’Islam è un punto di forza che tutti esibiscono orgogliosamente. «La mia doppia appartenenza è per me una grande opportunità», dice Asmae Boumlaly, 21 anni, al secondo anno di Economia, il cui obiettivo è riuscire negli studi, ma se si presentasse la possibilità tornerebbe volentieri in Marocco. Asmae non porta il velo e non prega cinque volte al giorno, anche se si sente pienamente musulmana. «I miei genitori mi hanno sempre educata a tutti i principi fondamentali dell’Islam e dai 5 ai 15 anni ho sempre frequentato la moschea con corsi di arabo e insegnamenti islamici. Spero un giorno di portare il velo - dice quasi con senso di colpa - e di pregare cinque volte al giorno».

Anche Naoual El Farradi, studentessa di Scienze Politiche a Torino, 20 anni, nata a Khouribga e da 12 in Italia, dice di essere praticante ma le manca il coraggio per portare anche il velo, «perché è un dovere», afferma senza esitazione.
Ma c’è chi nel Paese d’origine difficilmente ci tornerebbe a vivere per sempre. E quindi: meglio musulmani, ma in Italia. «L’arabo lo so un po’ scrivere e leggere, soprattutto grazie al corso frequentato fin da piccola in moschea - racconta Jasmine Berradi, 21 anni anche lei nata in Italia da genitori di Casablanca, e con un sogno nel cassetto: diventare una statista. Si considera una generazione 50 e 50. Jeans alla moda strappati e un velo sul capo che porta dai 12 anni, semplicemente perché la affascinava (il significato islamico lo scoprirà in moschea) e si vede che le piace molto, perché ci gioca nell’indossarlo in maniera originale, con gusto per il fashion, quasi come volesse rimarcare la sua doppia femminilità marocchina e italiana.

Jasmine ha trovato un equilibrio che non le impedisce di mettere giù il tappetino verso la Mecca cinque volte al giorno e pregare Allah dalla pianura Padana. Anche Maria, Adil, Ashraf, Soumia, Asmae, Nawal, Mohamed o Shadi dimostrano tutti di aver trovato un equilibrio. Sono i futuri musulmani d’Italia. Hanno le idee chiare sul futuro ma anche sulle loro radici. Non sembrano smarriti. A unirli è la forza dell’Islam.

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT