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Il Giornale-Libero-Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.01.2016 Attentato a Tel Aviv: commento, cronaca, intervista
di Fiamma Nirenstein, Michael Sfaradi, Francesco Battistini

Testata:Il Giornale-Libero-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Michael Sfaradi-Francesco Battistini
Titolo: «In Israele un gravissimo salto di qualità-Attentato stile Isis in Israele-Una rete dell'Isis quin non esiste.Forse un cane sciolto radicalizzato online»

02/01/2016, Attentato ieri a Tel Aviv: in altra pagina di IC il commento di Deborah Fait.

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Qui riprendiamo il commento di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE a pag.10, la cronaca di Michael Sfaradi su LIBERO a pag.13, l'intervista di Francesco Battistini a Ido Zelkovitz dell'anti-terrorismo israeliano sul
CORRIERE della SERA a pag.8.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " In Israele un gravissimo salto di qualità"

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Fiamma Nirenstein

Se l'aggressione che ha lasciato ieri sul terreno due morti e sette feriti è davvero un attacco terroristico, se sarà confermato che fra le cose dell'uomo che ha sparato con un'arma automatica sulla folla di un pub si è trovato un Corano, l'attacco terroristico cui è sottoposto Israele da cento giorni ha subito un enorme balzo in avanti. L'attacco dentro un locale si è avuto alle 15,30 di venerdì pomeriggio, quando i giovani si riuniscono prima della festa, durante un compleanno, nel cuore del cuore della città, al Dizengoff Center dove i ragazzi d'Israele vivono la propria voglia di essere normali dimostra. Esso dimostra un livello di organizzazione e di pianificazione che va oltre le decine di attacchi col coltello o con auto lanciate contro cittadini per la strada. La ripresa di una telecamera mostra l'attentatore dentro un negozio, finge di comprare una merce, torna indietro dal banco, mette lo zaino sul carrello, ne trae un'arma automatica e si lancia a sparare nella strada. La borsa abbandonata conteneva, almeno così riferiscono le cronache, un Corano. Il terrorista, mentre scriviamo, è ancora latitante. Tel Aviv, città che ama i bar, i pub, i ritrovi e specialmente quelli dei giovani, ha memoria di decine di terribili attacchi terroristici in luoghi di ritrovo: fra tutti, quello del Dolphinarium che segnò con la sua strage di 21 giovani la seconda Intifada nel 2001. Quasi tutti gli altri attentati, sempre però causati da esplosioni, hanno funestato Tel Aviv. Quello di ieri è un attentato che si colloca nel mezzo della guerra religiosa che da quando è stata lanciata, nel bel mezzo dell'attacco terroristico all'Occidente che funesta le capitali d'Europa e si espande negli Stati Uniti, ha avuto ha fatto in Israele decine di morti e feriti. Dopo avere avuto l'imprimatur di guerra di religione con la falsa denuncia da parte sia di Hamas che di Abu Mazen di un supposto piano di conquista da parte di Israele, è di tre giorni fa la promessa dell'Isis, durante un discorso del califfo Al Baghdadi, di attaccare Israele, accompagnato con la promessa che essa sarà "il cimitero" degli ebrei. L'attacco di Tel Aviv, chiunque l'abbia compiuto, ha il medesimo carattere delle ignobili aggressioni a innocenti di questi giorni, ma l'opinione pubblica internazionale si è dimostrata piuttosto indifferente preferendo collocare la serie infinita di attacchi al conflitto israelo-palestinese. Tel Aviv ha come caratteristica quella semplicemente di essere parte di Israele, una città laica ed ebraica, eppure l'attacco ne fa un terreno da strappare a una cultura e a una religione diversa. Vedremo se anche questa volta, per mancanza di materiale adatto, avremo il rovesciamento dell'informazione tipico di questi giorni, in cui la notizia di "un palestinese ucciso" non farà il titolo di un articolo in cui si apprende nel prosieguo che ciò è accaduto perché l'ucciso brandiva un coltello con cui aveva già colpito e magari ucciso, e cercava di seguitare a colpire. Mai questo rovesciamento di informazioni è accaduto per altri siti in cui si siano compiuti attacchi terroristici, e dove necessariamente i terroristi sono stati uccisi perché non seguitassero a colpire.

Libero-Michael Sfaradi: " Attentato stile Isis in Israele"

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Michael Sfaradi

In Israele il 2016 non comincia nel migliore dei modi. L'attentato portato a termine alle ore 14.30 del primo gennaio in Dizengoff Street, nel centro della movida di Tel Aviv, è un tragico salto di qualità dal terrorismo dei coltelli si è passati alle armi da fuoco. Secondo il canale 2 della televisione israeliana c'era stato un annuncio su un messaggio Twitter anonimo messo in rete ventiquattro ore prima che anticipava quello che poi è accaduto, ma le minacce sui social sono ormai «pane quotidiano» ed è oggettivamente impossibile per le forze di sicurezza controllarne l'eventuale veridicità. Rimane però, e nei prossimi giorni i servizi di intelligence avranno molte domande a cui rispondere, che un uomo armato di un vecchio modello di mitragliatore Gustav M/45, ha raggiunto il cuore della più popolosa citta israeliana e, praticamente indisturbato, dopo aver estratto l'arma dal suo zaino ha sparato per oltre quindici secondi verso un gruppo di giovani che all'interno di un bar stava festeggiando un compleanno. Alla fine della mattanza si sono contate due vittime: Alon Bakal di 26 anni, direttore della sala, Shimon Rawimi di 30 anni, uno degli invitati alla festa, e altre sette persone sono rimaste ferite, quattro delle quali combattono fra la vita e la morte nell'ospedale Ihilov di Tel Aviv.
Che i primi colpi siano stati sparati singolarmente e non a raffica è stato confermato a Libero dalla signora Patrizia Moscati e da suo marito  Cesare Di Veroli, turisti italiani che per un vero miracolo non si sono ritrovati in mezzo alla sparatoria. I due coniugi erano passati da non più di un paio di minuti proprio davanti al bar poi colpito e hanno sentito distintamente gli spari, prima colpi singoli e poi le raffiche. Anche se nelle prime ore dopo l'attentato le fonti governative non si sbilanciavano sulla natura della sparatoria e le ipotesi erano il terrorismo arabo o un'azione legata alla malavita locale, con il passare delle ore il quadro si è chiarito: a compiere l'attacco è stato un solo individuo, un arabo israeliano di Wadi Ara, riconosciuto dal padre nei filmati trasmessi dalle televisioni. II giovane, secondo un avvocato suo parente, Sami Melhem, intervistato dalla tv israeliana, ha spiegato di averlo già rappresentato quando aveva aggredito un soldato: «Quest'uomo non è sano, per quanto ne sappia da quando lo rappresento - ha detto - è stato in cura e lo è ancora in cura». Poi ha negato che sia in qualche modo legato al terrorismo islamico. Ma la paura dello Stato Islamico resta. Il 26 dicembre scorso Al Baghdadi, il Califfo, in un messaggio audio aveva direttamente minacciato Israele e dopo pochi giorni ecco che un attentatore con un modus operandi diametralmente opposto a quello usato dai terroristi di Fatah o di Hamas che cercano il martirio in ogni loro azione. Nella sua condotta, tanto fulminea quanto micidiale, il terrorista, che è stato ripreso da diverse telecamere di sicurezza che si trovano nelle vicinanze della scena del crimine, ha dimostrato grande freddezza. Dopo i primi spari singoli, quelli che hanno causato i danni maggiori, con l'intento di salvare la sua vita ha usato le raffiche per coprirsi la fuga in una condotta molto simile a quella usata il 24 maggio 2014 dall'attentatore al museo ebraico di Bruxelles. Nella fuga l'attentatore ha lasciato dietro di sé uno zaino all'interno del quale è stata trovata una copia del Corano. Non è la prima volta che arabo - israeliani si rendono protagonisti di attentati e questo potrebbe definitivamente incrinare i rapporti già molto tesi con il resto della popolazione ebraica. Gli arabo - israeliani sono circa un milione e mezzo di persone su un totale di otto milioni di cittadini israeliani. Sia Hamas da Gaza che Fatah da Ramallah, anche se lo hanno benedetto, non hanno rivendicato l'attentato di Capodanno.

Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Una rete dell'Isis qui non esiste. Forse un cane sciolto radicalizzato online "

 
Francesco Battistini          Ido Zelkovitz 

DAL NOSTRO INVIATO A GERUSALEMME - «Sappiamo chi è stato. Ma ci vorrà del tempo per capire com’è nato davvero questo attacco terroristico. E se ci sia dietro qualcuno. E chi». Ido Zelkovitz è una delle menti più brillanti dell’antiterrorismo israeliano. Esperto di Medio Oriente, professore di relazioni internazionali all’Università di Haifa, spesso consultato dal governo e dallo Shin Bet, i servizi segreti interni, a 37 anni ha un notevole bagaglio di conoscenze del fenomeno jihadista. E ci sono diverse cose che non lo convincono: «Sono passate diverse ore e nessuna organizzazione ha ancora rivendicato l’attentato. E allora è evidente che si tratta di terrorismo. Ma che probabilmente si tratta d’un cane sciolto: i jihadisti aspettano di vedere come va a finire». Tel Aviv come l’Europa? «L’Isis qui non c’è. Ci sono stati arresti, operazioni nelle scorse settimane. Ma una rete al momento non esiste». Però è la prima cosa a cui s’è pensato nel resto del mondo. «L’Isis è un fenomeno virtuale e virale, in Israele. Ci sono diversi giovani arabi israeliani che s’identificano, andando sul web e guardando le tv satellitari. Ma per ora siamo solo alla propaganda». Eppure Al Baghdadi, una settimana fa, ha esortato a colpire proprio Israele. A Be-tlemme, la polizia palestinese s’aspettava qualcosa. E nel Nord del Paese sono state trovate perfino false banconote dello Stato Islamico... «Guardi, Israele sono più di 70 anni che s’occupa di terroristi. E non credo che Al Baghdadi sia in grado di sferrare attacchi come a Parigi. È un paradosso, lo so, ma dove l’Isis calca sulla propaganda, è proprio dov’è più debole. Quest’uomo che ha sparato a Tel Aviv, si vede dai filmati, non ha addestramento. È un dilettante. Spara solo per pochi secondi e non tenendo un po’ di distanza dalle vittime, come fa un professionista. Non urla nulla. Poi scappa anche: che martire è, uno che scappa? Mi concentrerei anche sull’arma. Secondo me, è una Karl Gustav modificata di fabbricazione ceca. La si trova a basso prezzo in Cisgiordania, ce l’ha anche la malavita arabo-israeliana». E quindi? «Quindi è possibile sia uno che s’è indottrinato da solo. Infatti il padre l’ha subito denunciato, s’è messo a collaborare con la polizia». Un legame con la nuova intifada? «Difficile saperlo. In queste menti agiscono suggestioni di vario tipo. Il primo gennaio, per esempio, è una data molto importante per Fatah: l’anniversario della fondazione. Spesso ci sono state azioni, per celebrarlo. E c’è sempre il desiderio d’accreditarsi con azioni clamorose: questo vale soprattutto se si vuole impressionare quelli dell’Isis». Tel Aviv s’è sempre sentita un po’ più al riparo dagli attacchi… «Non è vero. La seconda intifada qui fu terribile. È semplicemente una città più forte della morte, sono sicuro che già stasera tutti i locali saranno aperti come sempre». Il sindaco ha detto che da questa sparatoria bisogna trarre lezioni per il futuro. «Nel 1948, quando era già sotto i primi attacchi, la gente andava nei caffè. Erano israeliani arrivati dagli orrori dell’Europa: non si facevano spaventare da così poco ».

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