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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.12.2015 Iraq: Lo Stato Islamico in fuga da Ramadi
Commento di Guido Olimpio, cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 dicembre 2015
Pagina: 9
Autore: Guido Olimpio-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Armi e trucchi dei jihadisti, bambole-bomba nelle case-L'Isis sconfitto in fuga da Ramadi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/12/2015, a pag.9, il commento di Guido Olimpio e la cronaca di Lorenzo Cremonesi sulla sconfitta territoriale dello Stato Islamico a Ramadi.

Guido Olimpio: " Armi e trucchi dei jihadisti, bambole-bomba nelle case "

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Guido Olimpio

Strappare le città in mano all'Isis è un'operazione costosa in termine di vite umane e danni. Alle spalle restano caduti, macerie, difficile per i civili poter tornare in tempi rapidi. Conseguenze inevitabili di tattiche ben studiate dallo Stato Islamico per proteggere con reparti non troppo numerosi posizioni trasformate in fortini. E stato così per Ramadi, potrebbe andare ancora peggio per Mosul e Raqqa. All'inizio della battaglia di Ramadi, lo Stato Islamico avrebbe schierato circa un migliaio di militanti che, secondo metodi rodati, hanno provveduto a minare accessi alla città e alle vie di comunicazione. Gli artificieri jihadisti hanno una grande esperienza nell'utilizzare ordigni convenzionali, catturati al nemico, e altri costruiti nelle officine del movimento. Pezzi d'ogni forma e tipo: contenitori metallici riempiti di fertilizzante, bidoni in plastica tramutati in bombe, cilindri in ferro, bambole giocattolo che nasconde- mila: gli chilometri: abitanti di la distanza tra Ramadi. Molti Ramadi e erano scappati Bagdad. Falluja all'arrivo di Isis rimane nelle a maggio mani dell'Isis vano sorprese. Alcuni fatti detonare da lontano con un radiocomando, altri dal passaggio di un fuoristrada o di una pattuglia. Gli estremisti hanno creato zone minate per rallentare la progressione degli iracheni e hanno piazzato trappole nelle strade. In certi punti hanno scavato trincee o creato barriere, anche queste rese più insidiose da dispositivi «artigianali» ma non per questo meno letali. Per ripulire un isolato ci sono voluti giorni interi visto il gran numero di insidie. I governativi hanno risposto usando apparati per bonificare forniti in gran fretta dagli Stati Uniti. Bulldozer corazzati, blindati, sistemi portatili composti da cavi deflagranti lanciabili sul terreno dove si temeva fossero presenti gli ordigni. L'Isis era però pronto a contrastarli. Tiratori scelti, razzi e colpi di mortaio hanno lasciato il segno sulle squadre di genieri. Un solo reparto specializzato ha avuto oltre 6o tra morti e feriti. Molti mujaheddin si sono rintanati negli edifici, alcuni di questi trasformati — secondo una vecchia tattica — in case della morte: gli estremisti le hanno riempite di esplosivi attivabili da un filo invisibile teso all'interno di una stanza oppure da una piastra a pressione. Un passo falso e tutto saltava per aria. Snidarli ha richiesto sacrificio, pazienza e im alto volume di fuoco garantito dall'artiglieria unita ai raid dell'aviazione della coalizione. Il Pentagono ha usato spesso il bombardiere Bi, in grado di eseguire lunghe missioni e dotato di un carico bellico robusto. Indispensabile quanto efficace il coordinamento con le colonne a terra, probabilmente assistite da nuclei di forze speciali statunitensi. Quando poi i soldati si sono avvicinati al centro, i jihadisti hanno lanciato la loro falange, i kamikaze a bordo di camion-bomba opportunamente blindati. «Bestie» pesanti diverse tonnellate capaci di spazzare vie concentramenti di truppe. Anche in questo caso, i seguaci del Califfo hanno accompagnato le sortite, condotte con tre-quattro mezzi alla volta, con la copertura delle mitragliatrici pesanti. Nell'eterna lotta tra lancia e scudo, i militari hanno contrastato i mezzi con razzi anti carro più potenti dei tradizionali RPG ormai insufficienti contro le protezioni dei veicoli. I risultati ci sono stati. Lo Stato Islamico ha venduto cara la pelle, lo ha fatto sacrificando centinaia di milizini, alcuni dei quali sono ancora nei bunker di Ramadi in una lotta infinita. Mujaheddin felici di andare incontro al martirio in una campagna dove il Califfo, malgrado i proclami, perde terreno.

Lorenzo Cremonesi: " L'Isis sconfitto in fuga da Ramadi"

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Lorenzo Cremonesi

Ramadi, città di rovine, diventa il simbolo del riscatto del governo iracheno contro i tagliagole di Isis. Ieri pomeriggio le truppe scelte di Bagdad sono infine riuscite a far sventolare le loro bandiere sui tetti degli edifici governativi nel cuore del capoluogo della provincia sunnita di Al Anbar. Spariscono i drappi neri del Califfato, la guerriglia jihadista si arrocca in piccole isole di resistenza. «Hanno perso il loro quartier generale nel compound più importante, ciò significa che hanno perduto la sfida per la città. Ora si tratta di andare a scovarli nei loro ultimi nidi. Ma la battaglia è vinta», sostiene il portavoce militare iracheno, Sabah al Numa-ni. È tuttavia una vittoria costata sette mesi di guerra, sostenuta da una coalizione particolarmente anomala, comprendente in primo luogo gli americani, la loro aviazione, gli altri Paesi alleati nella Nato, la Giordania, oltre all'Iran e alle milizie sciite irachene. Una vittoria che ha visto un fronte comprendente circa 30.000 uomini sostenuti dal meglio della tecnologia bellica contro circa un migliaio di guerriglieri jihadisti pronti a tutto, il fior fiore dei volontari dell'Isis provenienti dai ranghi dell'ex esercito di Saddam Hussein, oltre a ceceni, algerini, tunisini e libici. «È stato difficile batterli a causa dei loro continui attacchi kamikaze e alle migliaia di mine e trappole esplosive che seminano ovunque tra strade, edifici e macerie», spiega il generale Ismail al Mahlawi, massimo responsabile per le operazioni belliche in Al Anbar. Ancora non è stato reso noto il numero delle vittime. Nei giorni scorsi era stato ipotizzato che la grande maggioranza degli uomini del Califfato avesse perso la vita, assieme a centinaia di soldati iracheni e a un numero imprecisato di civili. Per comprendere il significato di questo successo contro il sedicente Stato Islamico occorre però fare un passo indietro. Ramadi con il suo mezzo milione di abitanti, oggi in grande maggioranza profughi nelle zone limitrofe, è infatti la capitale dell'anima sunnita irachena. Qui nel 2003 gli americani evitarono di fare entrare le loro truppe preferendo trattare direttamente la resa dei capi tribù locali. E da qui, assieme a Falluja cinquanta chilometri più a est e ai quartieri occidentali di Bagdad (a 130 km), si organizzò a partire dal 2004-5 la rivolta contro gli occupanti e soprattutto gli esponenti sciiti dei nuovi governi iracheni. Da allora gli estremisti, prima qaedisti poi legati all'Isis, vi trovano una popolazione largamente simpatetica. Non a caso ieri la notizia della presa di Ra-madi è stata festeggiata specialmente nelle regioni sciite a sud della capitale. Il i4 maggio scorso l'Isis riuscì dunque a occuparla scacciando o uccidendo chiunque collaborasse con il governo centrale. Negli ultimi tempi le avanzate di quest'ultimo sono state facilitate dalla collaborazione di alcune tribù sunnite locali grazie al fatto che Bagdad ha evitato di utilizzare le milizie sciite (come invece fu nel caso della presa di Tikrit in aprile), puntando piuttosto sull'esercito regolare.

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