Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/12/2015, a pag.4, due articoli che ci ricordano la più insensata vulgata pacifista. Inizia la cronaca di Fabio Scuto, con la storia dei 'lupi solitari', quando ormai è stranoto come la rivolta dei coltelli abbia le origini negli appelli di Abu Mazen e nel continuo incitamento alla violenza cui segue il crimine sotto forma di coltelli.
Ridicolo il tentativo di Scuto di presentare il giovane all'ingresso della Città Vecchia come un normale passante. Fermato dalla polizia per un controllo, invece del documento di identità, tira fuori un coltello e si lancia contro i poliziotti. Che dovevano fare ? beccarsi coltellate ? Così succede in altri casi, criminali che vanno a cercare la 'bella morte' perchè è il modo più sicuro per diventare dei martiri.
Diverso è il caso di Amos Oz, un grandissimo scrittore che sta perdendo sempre più il senso di quanto succede in Israele. Fino al punto di dichiararsi attivista di B'tselem, una organizzazione finanziata con capitali stranieri, spesso di origini islamica, per appoggiare dall'interno chi vuole destabilizzare il paese. Il che dimostra che non basta essere intelligenti per capire che la vita reale non è quella che si racconta nei libri.
Ecco i due articoli:
Fabio Scuto: " L'intifada dei coltelli, 150 morti in tre mesi"
Fabio Scuto
L’Intifada dei coltelli ha raggiunto quota 150 morti senza che si intravveda la fine di questa scia di sangue in Israele e in Palestina. Tre mesi di attacchi a colpi di forbice, violenze e scontri nelle strade della Cisgiordania e lungo il confine di Gaza hanno scavato una trincea di guerra difficilmente colmabile, nonostante gli appelli e le pressioni della comunità internazionale. Non passa giorno senza un tentativo di accoltellamento o l’uso dell’auto come ariete per investire passanti o soldati israeliani di guardia ai check-point e ai principali incroci stradali. L’Intifada dei coltelli non ha leader e non ha strategia, libera la rabbia del “cane sciolto” che non ha legami con gruppi politici o religiosi. Prevenire questi attacchi è il “rompicapo” dello Shin Bet, la sicurezza interna israeliana, sono sconosciuti e giovani,e ci sono anche ragazze. Lo scenario spesso scelto è Gerusalemme, la Città Santa percorsa sempre da tensioni e un odio carsico destinato ciclicamente a esplodere. Come ieri pomeriggio quando due agenti di guardia all’ingresso della Porta di Jaffa hanno notato nel gran via vai, che c’è sempre a uno degli ingressi più affollati della Old City, un giovane palestinese che li ha insospettiti perché sembrava pedinare due fedeli ebrei che tornavano dalle preghiere al Muro del Pianto. All’avvicinarsi degli agenti, il giovane 26enne palestinese ha tirato fuori un coltello e ha cercato di pugnalare il poliziotto più vicino. Ma è stato ucciso dal suo collega. Nel pomeriggio un altro palestinese, che aveva cercato di investire dei militari a un posto di blocco nei pressi di Nablus, è stato ferito dai soldati ed è morto in serata. Dalla seconda metà settembre, 20 israeliani (e un americano) sono stati uccisi in attacchi con il coltello e quasi un centinaio feriti. E almeno 128 palestinesi (e un eritreo per errore) sono morti nello stesso periodo. Secondo la polizia 88 di loro stavano attaccando o tentando di attaccare israeliani, mentre il resto è morto in scontri con l’esercito in Cisgiordania e a Gerusalemme. La Città santa è da tempo “blindata” perché gli attacchi all’arma bianca sono avvenuti pressoché ovunque: alla fermata del tram, sui bus pubblici, per strada, all’uscita del supermarket o del ristorante. Un’ondata di terrore che ne ha profondamente mutato il volto, modificando abitudini e sistema di vita della gente. Bar e ristoranti, la sera sono semi-deserti, i cinema hanno cancellato l’ultimo spettacolo. Ci sono i marshals sugli autobus, i vigilantes fuori di scuole e negozi, militari in divisa quasi in ogni angolo di strada. Ma il senso di insicurezza è un virus che si è diffuso rapidamente. Nei quartieri arabi della città quasi ogni notte ci sono cassonetti in fiamme e sassaiole dei giovani palestinesi contro la polizia che risponde con gas lacrimogeni e pallottole di gomma. Il governo israeliano attribuisce la responsabilità di questa ondata di terrore all’incitamento degli estremisti palestinesi, attraverso radio e stazioni tv (che sono state chiuse) ma anche con i social network più popolari. L’Anp e i palestinesi sostengono che la violenza nasce dalla frustrazione per quasi cinque decenni di occupazione, per la totale mancanza di una prospettiva di vita migliore e per la fine nelle speranze di un accordo di pace. Vent’anni dopo, l’accordo di Oslo è stato dichiarato morto dal premier Benjamin Netanyahu e dal presidente palestinese Abu Mazen. Nella soluzione dei “due Stati” Usa, Ue e Onu sono rimasti senza i partner principali.
Amos Oz: " L'occupazione fa male a Israele. Fermiamo la violenza per il nostro futuro"
Amos Oz
L’occupazione quest’anno compie già 49 anni. Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele, un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese, ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle ambasciate israeliane del mondo. Non è stata una decisione facile bensì molto dolorosa. Ma l’attuale oppressione e le espropriazioni nei territori occupati, gli incitamenti contro gli oppositori delle politiche del governo, e la tensione legislativa per ridurre la libertà di espressione e minare il potere giudiziario — mi hanno spinto nel loro insieme verso questa decisione. Da anni faccio parte del B’Tselem’s Public Council. Rinuncerei volentieri a questo onore se l’occupazione fosse un ricordo del passato. Ma finché non sarà tale — come sarà — sono fiero del lavoro coraggioso svolto da B’Tselem: dai ricercatori sul campo a Gaza e nella Sponda occidentale allo staff della sede di Gerusalemme e ai suoi volontari. B’Tselem non solo documenta in modo attendibile e meticoloso le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ma offre anche uno specchio alla politica di Israele, rivelando la sua dubbia maschera di legalità con cui da 50 anni Israele prevale sui palestinesi, opprimendoli e confiscando la loro terra. Il 2014 è stato uno degli anni più insanguinati per Israele e la Palestina dal 1967 a questa parte. Purtroppo anche il 2015 è stato segnato da numerose settimane di violenza. Io contesto ogni forma di violenza contro persone innocenti. Ma rifiuto anche il tentativo di far passare i recenti eventi esclusivamente come istigazioni o manifestazioni “anti-semitiche”, sottovalutando il regime di occupazione con le sue annose violenze quotidiane contro milioni di palestinesi privati dei loro diritti. Queste sono alcune delle ragioni per cui scelgo di far parte del B’Tselem’s Public Council e di sostenere questa organizzazione. Ed è anche il motivo per cui vi scrivo, per chiedervi di unirvi a me nel rendere più forte B’Tselem dimostrando chiaramente il vostro sostegno a favore dei diritti umani e contro l’occupazione. Solo la sua fine può portare a un futuro gravido di giustizia, libertà e dignità per chi vive qui. B’Tselem — la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, che vede l’occupazione per quello che è, la documenta, ne spiega le implicazioni e vi si oppone fermamente.
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante