martedi` 19 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto - L'Unità Rassegna Stampa
24.12.2015 Disinformazione natalizia sul Manifesto e sull’Unità
Ma solo in Israele i cristiani possono celebrare il Natale in piena libertà

Testata:Il Manifesto - L'Unità
Autore: Michele Giorgio - Alfredo De Girolamo; Enrico Catassi
Titolo: «Il Natale invisibile dei bambini di Gaza - Betlemme sotto occupazione, il mondo ascolti la sua voce»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 24/12/2015, a pag. 9, con il titolo "Il Natale invisibile dei bambini di Gaza", il commento di Michele Giorgio; dall' UNITA', a pag. 8, con il titolo "Betlemme sotto occupazione, il mondo ascolti la sua voce", il commento di Alfredo De Girolamo, Enrico Catassi.

Immagine correlata
Israele è l'unico Paese del Medio Oriente dove i cristiani possono festeggiare in piena libertà il Natale

Disinformazione natalizia oggi sulle pagine del Manifesto:
Il pezzo di Michele Giorgio è in aperto contrasto con la drammatica situazione dei pochissimi cristiani che ancora vivono a Gaza. Giorgio sovrastima ampiamente la popolazione cristiana della Striscia (“una piccola e antica comunità che ora conta appena 1.300 persone su una popolazione vicina a 1,9 milioni”).

Ma soprattutto, Giorgio scrive: “Le forti tensioni nella regione, l'inizio della nuova Intifada con i suoi tanti lutti, la disoccupazione, le distruzioni causate l'anno scorso dall'offensiva israeliana ‘Margine Protettivo’, spingono i cristiani locali a limitare il Natale ai riti religiosi”. I cristiani vengono perseguitati in nome dell’islamismo, ma il capro espiatorio per ogni accusa, per Michele Giorgio, è sempre e solo lo Stato ebraico. Nessun cristiano 'se ne va' per colpa di Israele, anzi. Questa menzogna è Giorgio a raccontarla !

Ecco il pezzo:

Immagine correlata
Michele Giorgio

Immagine correlata

Hart Nasara, il quartiere dei cristiani a Gaza city, è poco più di una stradina nella zona di via Nasser. In una casa, a pochi metri dalla sede della Caritas, una trentina di fedeli partecipano alla messa officiata da padre Vittorio Moreira, un giovane prete giunto dall'Argentina. Un rito semplice in attesa della messa di Natale che si terrà nella chiesa latina (cattolica) della Sacra Famiglia, non lontano da Piazza Palestina. Si conoscono tutti nella piccola sala e al termine della funzione si chiacchiera solo del Natale. «Cosa cucinerò per queste feste? Riso e pollo, come sempre, cosa che volete che prepari?», chiede la signora Nisrin rivolgendosi alle sue amiche. «Quest'anno è tutto più caro. Il pollo costa di più, anche al mercato di via Omar al Mukhtar», si lamenta Nisrin attribuendo i rincari al blocco della Striscia di Gaza che attuano Israele e l'Egitto.

Da quando il presidente egiziano al Sisi ha ordinato la distruzione dei tunnel sotterranei tra Gaza e il Sinai e di allagare i 12 km di territorio lungo il confine, nella Striscia abbondano i costosi prodotti israeliani. Quelli egiziani di contrabbando sono (quasi) spariti e quelli "legali" hanno prezzi elevati per le tasche vuote di gran parte degli abitanti di Gaza. Ad appesantire il costo della vita le nuove tasse decise dal governo del movimento islamico Hamas. Un pacchetto di bionde ora costa quasi 5 euro ma si può sempre smettere di fumare. Compensano in parte le difficoltà della vita quotidiana i lavori pubblici in corso, pagati dal Qatar alleato di Hamas, che hanno rimesso a posto un bel po' di strade e infrastrutture civili. Un progresso di cui non possono ancora godere gli abitanti di Beit Hanoun, Shajayea, Kuzaa e delle tante altre località orientali ridotte in macerie dai bombardamenti israeliani del 2014. Lì è cambiato ben poco e decine di migliaia di persone passeranno il loro secondo inverno senza casa. Nisrin quest'anno non parteciperà alla messa di Natale a Gaza, sarà a quella di mezzanotte a Betlemme, in Cisgiordania dove vive la figlia.

Approfittando dei permessi temporanei concessi da Israele, non pochi palestinesi cristiani lasceranno Gaza per visitare Betlemme, Nazareth e altre città. Dietro questo allentamento del blocco si nasconde il divieto di viaggiare per i più giovani. I palestinesi, inclusi quelli cristiani, con una età trai 16 e i 35 anni, fanno i conti con le restrizioni imposte dalle autorità militari israeliane dopo l'inizio dell'Intifada di Gerusalemme. «Sono stati concessi centinaia di permessi per andare in Cisgiordania, molti di noi però non potranno usarli», ci spiega un'altra signora, Mariam, «un padre e una madre non riuscirebbero a godersi il Natale a Betlemme sapendo che i figli sono tristi e delusi proprio nel giorno più bello dell'anno, perché sono obbligati a restare a Gaza». E un Natale quasi invisibile quello che si preparano a festeggiare i cristiani di Gaza, una piccola e antica comunità che ora conta appena 1.300 persone su una popolazione vicina a 1,9 milioni.

Le forti tensioni nella regione, l'inizio della nuova Intifada con i suoi tanti lutti, la disoccupazione, le distruzioni causate l'anno scorso dall'offensiva israeliana "Margine Protettivo", spingono i cristiani locali a limitare il Natale ai riti religiosi. Nei negozi vicini alla Chiesa della Sacra Famiglia e quella greco ortodossa di San Porfirio, non c'è alcuna decorazione natalizia. L'albero di Natale è presente solo nelle case e in un paio di hotel frequentati dagli occidentali. «Sono tempi duri per tutti qui a Gaza, siamo palestinesi anche noi cristiani e dobbiamo fare i conti con le politiche di Israele. I bombardamenti del 2014 hanno colpito tutti, musulmani e cristiani, e tutta la nostra gente è in grande difficoltà», spiega Ghattas, proprietario di una piccola oreficeria in via Omar al Mukhtar.

«In queste circostanze — aggiunge - non si può far festa, siamo un unico popolo e dobbiamo rispettare il dolore di chi ha perduto un figlio». Altri cristiani hanno una spiegazione meno nazionalistica. R.T. (ci permette di usare solo iniziali del suo nome) non nasconde il timore di azioni violente da parte di quelli che descrive come «musulmani fanatici». Il governo di Hamas, ci dice, «garantisce la sicurezza della nostra comunità, sappiamo che le forze di sicurezza vigilano su di noi. Temiamo però possibili attacchi individuali, di musulmani che non rispettano neanche Hamas. C sono piccoli gruppi armati che di cono di essere alleati dello Stato islamico, che diffondono volantini minacciosi. I miei amici musulmani mi dicono di stare tranquillo che sono solo parole ma noi cristiani cominciamo ad avere paura.

Anche per questo il Natale è così nascosto quest'anno a Gaza». Nel 1997 i cristiani di Gaza era no 1.688, nel 2014, meno di vent’anni dopo, solo 1.313. L'89% è di rito greco-ortodosso. Il 9% è formato da cattolici, il restante 2% include copti, anglicani e protestanti vari. Le famiglie, meno di 400, son( composte in prevalenza da perso ne con una età tra 40 e 50 anni. I giovani, quando possono, emigrano verso l'Europa o gli Usa, spinti dalla mancanza di lavoro e dal sogno di una vita senza guerra. Restare a Gaza è una scelta difficile. «Quando penso a questa piccola comunità di cristiani provo tanta ammirazione», ci dice Padre Moreira, «sono qui da pochi mesi e la vita a Gaza è molto dura. C'è l'embargo, la guerra, la crisi economica, eppure queste persone si sentono legate alla loro terra, fanno di tutto per superare le difficoltà sapendo che spesso possono solo aggrapparsi solo alla loro fede e sperare nell'aiuto di dio».

L'UNITA' - Alfredo De Girolamo, Enrico Catassi: "Betlemme sotto occupazione, il mondo ascolti la sua voce"

Anche le parole di Vera Baboun, sindaco di Betlemme, sono menzognere: “Viviamo sotto occupazione, con un muro di separazione e con l’ampliamento degli insediamenti israeliani. Betlemme sta letteralmente soffocando”.

Dal 1994 a oggi la popolazione di Betlemme è diminuita del 65%, ma il motivo è semplice – e non è quello indicato da Baboun: l’intolleranza del regime dell’Anp e di gruppi terroristi come Hamas e Jihad islamica. La decrescita della popolazione cristiana a Betlemme, infatti, è cominciata esattamente nell’anno in cui all’Anp è stato concesso il controllo esclusivo della città. Impossibile pensare a un caso.

Anche i giornalisti aggiungono del proprio alla disinformazione di questo pezzo. Scrivono infatti: “in questi anni non sono mancati piccoli episodi di tensione tra le due comunità arabe (cristiana e musulmana)”. Piccoli episodi? La persecuzione e la fuga dei cristiani è un "piccolo episodio"?

Ecco il pezzo:

Immagine correlata

In Terra Santa l'ondata di disordini esplosa in autunno con l'intifada dei coltelli, ennesimo capitolo del conflitto israelopalestinese, ha provocato un calo nell’affluenza turistica. A poche ore dal Natale a Betlemme, nella città culla del cristianesimo, aleggia un clima di sfiducia. Meno bus turistici, meno pellegrini affollano la Piazza della Mangiatoia e le strade addobbate a festa sono semideserte. Betlemme comunque si prepara alla tradizionale messa di mezzanotte nella chiesa di Santa Caterina, nel complesso della Natività, alla presenza delle autorità civili e religiose. Le violenze di questi mesi hanno dissuaso molti turisti dal viaggio di pellegrinaggio e le cancellazioni sono piovute a raffica.

«In questa stagione, abitualmente si registra una presenza vicina all’80-90 % dei posti letto disponibili, per il 2015 non ci sarà il pienone che ci aspettavamo. Il giovane direttore generale della Camera di Commercio di Betlemme, Alà Adili sciorina gli ultimi dati: gli alberghi su 4000 posti letto non hanno raggiunto nemmeno la metà delle prenotazioni. ll livello di disoccupazione alla fine del 2015 segna il 22.,7% (il 15% tra i neolaureati): il calo dell'attività economica e produttiva ha raggiunto il 35%,mentre l’export ad ottobre di quest’anno era poco inferiore ai 16 milioni di dollari (un dato nettamente negativo rispetto alle previsioni). Betlemme, pur rimanendo la prima località turistica palestinese con circa 650mila visitatori (il 40% delle presenze turistiche di tutta la Palestina), segna quest'anno la punta più bassa per numero di visitatori dalla fine della Seconda Intifada.

«Le celebrazioni per questo santo Natale procedono spedite secondo i piani, stiamo rispettando il programma. Attendiamo con gioia la visita del Patriarca. Tuttavia dobbiamo registrare un drammatico calo di presenze internazionali e locali. Basta camminare per il centro e vedremo i locali vuoti. Le ricadute di questa crisi sono molto gravi, dice Vera Baboun, primo sindaco donna di Betlemme, cristiana e palestinese. «Stiamo attraversando una situazione anormale. Viviamo sotto occupazione, con un muro di separazione e con l’ampliamento degli insediamenti israeliani. Betlemme sta letteralmente soffocando». Il tono della voce della Baboun è deciso, va dritta al centro del problema. “La nostra situazione non può essere considerata come una semplice normalità, è inaccettabile. Il 20% della popolazione di Betlemme sono giovani una speranza di Iavoro, un’opportunità di futuro. E’ una dimensione di scoramento sociale. La nostra gente è disperata, dovete ascoltare la loro voce. Quando cammino per strada le persone mi fermano, mi chiedono di fare qualcosa per loro, ma purtroppo non posso fare nulla per i miei cittadini. E la causa di questa condizione è la mancanza di una soluzione politica». In Medioriente le comunità cristiane sono perseguitate, costrette al la fuga dall'integralismo islamico che dilaga nella regione, secoli di storia di relazioni e tradizioni calpestati.

Durante la Seconda Intifada migliaia di famiglie cristiane hanno abbandonato Betlemme, prendendo la via delle Americhe. La maggioranza della popolazione nel luogo dove secondo la tradizione nacque Gesù è oggi di religione musulmana e in questi anni non sono mancati piccoli episodi di tensione tra le due comunità arabe. «Sono convinta che Betlemme possa rappresentare un esempio di integrazione e dialogo interreligioso per tutto il mondo. In fondo siamo tutti palestinesi, siamo sulla stessa barca, condividiamo le stesse sfide e sofferenze».

Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
Il Manifesto 06/687191
L'Unità 06/87930901
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti


redazione@ilmanifesto.it
lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT