Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/12/2015, a pag.14, con il titolo "Tra i curdi che puntano a Raqqa 'Isis approfitterà della tregua' " il reportage di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
DAL NOSTRO INVIATO AALOUA (Siria)
Pianura spoglia, fatta di declivi leggeri, quasi nessun albero, spazi ampi segnati da trincee e cumuli di terra creati dai bulldozer, e casupole a grappoli, villaggi, fattorie isolate, tutti con una palese caratteristica in comune: sono totalmente abbandonati, molte costruzioni sbrecciate da granate e proiettili, il suolo cosparso di rottami, sporcizia. La terra di nessuno che separa le posizioni di Isis dagli avamposti delle Milizie di Autodifesa Curde (note come Ypg) nella Siria nord-orientale parla di guerra, devastazione, spostamenti brutalmente repentini di ampie masse di popolazione e soprattutto lascia poche speranze a una prossima soluzione del conflitto. Ci siamo arrivati ieri, mentre da New York giungevano i dettagli delle intese firmate al Palazzo di Vetro per un tentativo di avvio del cessate il fuoco. Superata la cittadina di Al Hasakah, un centinaio di chilometri dal confine con la Turchia, occorre percorrerne un’altra quarantina su straducole secondarie puntellate di posti di blocco dei curdi assieme ai miliziani di alcune tribù arabe locali che accettano di cooperare con loro. L’alternativa del resto non c’è. L’Isis sino a un mese fa qui imponeva il suo regno di terrore e morte. I curdi venivano cacciati, derubati, se non torturati e uccisi. Aaloua con 50.000 abitanti era la roccaforte dei miliziani di fronte alle battaglie per Hasakah. Poi i raid americani si sono intensificati, mentre l’intervento russo verso Damasco e le regioni costiere ha costretto l’Isis a spostare uomini e mezzi più a ovest. Così, a metà novembre, i curdi sono avanzati per una cinquantina di chilometri. Da qui puntano a Raqqa, la capitale del Califfato, e verso le regioni desertiche al confine con l’Iraq nella zona di Deir Ezzor. E adesso tocca a loro scacciare i sunniti. «Non avevamo alternative, tranne che espellere queste popolazioni nemiche. Nascondono i terroristi, li aiutano nelle imboscate, sono il terreno per il reclutamento di kamikaze», spiega il 33enne Kamal Kamal, comandante del centinaio tra soldati e soldatesse della brigata attestata a Aaloua. Quindi su di una mappa indica i villaggi ostili una decina di chilometri più a sud. Due sere fa le sue pattuglie hanno visto otto uomini camminare veloci verso le linee curde. Non sono riuscite però ad intercettarli. Ora lui è preoccupato, potrebbero avere minato qualche strada, oppure si stanno preparando per un attacco. Sarà l’urgenza della battaglia, ma quanto alle prospettive di cessate il fuoco lo scetticismo del comandante Kamal è totale: «All’Onu si illudono. E’ evidente che Isis e le brigate sunnite jihadiste più estremiste, come Al Nusra e tante altre, non solo non accetteranno mai alcun accordo, ma soprattutto non lo rispetteranno. Noi curdi non ci tireremo certo indietro, siamo pronti a far tacere le nostre armi, però sappiamo già per certo che l’Isis e gli altri gruppi ne approfitteranno per attaccarci e guadagnare terreno». Alla comunità internazionale chiede invece più aiuti militari. «Abbiamo bisogno di armi anti-carro, visori notturni, munizioni, artiglierie. Prima dobbiamo battere l’Isis, poi potremo provare a parlare di pace».
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