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Libero Rassegna Stampa
17.12.2015 La Turchia di Erdogan, in difficoltà, cercherà di riallacciare i rapporti con Gerusalemme?
Analisi di Daniel Mosseri

Testata: Libero
Data: 17 dicembre 2015
Pagina: 15
Autore: Daniel Mosseri
Titolo: «Il gas obbliga Erdogan a far pace con Israele»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 17/12/2015, a pag. 15, con il titolo "Il gas obbliga Erdogan a far pace con Israele", l'analisi di Daniel Mosseri.

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Daniel Mosseri


I giacimenti sottomarini israeliani

Il primo accenno lo ha fatto dalla conferenza sul clima a Parigi lo scorso 30 novembre. Poi di nuovo pochi giorni fa, tornando da una visita ufficiale in Turkmenistan. «La normalizzazione dei rapporti con Israele è possibile». Lo ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, leader del partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp). Eppure negli ultimi sette anni «il Sultano» si è attivamente impegnato per affossare le relazioni un tempo eccellenti fra il suo Paese e lo Stato ebraico. Era il gennaio del 2009 quando l'allora premier Erdogan prese a male parole l'ex presidente israeliano Shimon Peres davanti alla platea del Forum economico di Davos. A settembre 2011 Erdogan espulse l'ambasciatore israeliano, protestando contro le mancate scuse di Gerusalemme per l'assalto alla Mavi Marmara (la nave turca che aveva fatto rotta su Gaza nel tentativo di forzare il blocco economico imposto da Israele alla Striscia controllata da Hamas).

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti: dopo molte resistenze, nel 2013 il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ceduto alla richiesta di scuse officiali imposte dal Sultano, dando anche vita a una commissione per il risarcimento dei famigliari dei nove turchi rimasti uccisi nell'assalto. Le relazioni fra Gerusalemme e Ankara sono però rimaste al palo e l'establishment dell'Akp non ha mai perso un'occasione per ribadire l'ostilità della Turchia islamica verso Israele. Basti ricordare che lo scorso maggio il primo ministro Ahmet Davutoglu inaugurava il 55° aeroporto turco a Yuksekova nel sud-est curdo del Paese con le seguenti parole: «Chiameremo questo aeroporto Saladino per dare un messaggio di unità e fratellanza e per dire che Gerusalemme appartiene per sempre a curdi, turchi, arabi e musulmani».

L'improvvisa virata del sultano - che nei giorni scorsi ha permesso per la prima volta agli ebrei di Istanbul di celebrare la festa di Hannuccah in piazza con tanto di emissari governativi presenti - ha cause esterne. La Turchia è sempre più isolata. Il recente invio da parte turca di un battaglione nel Kurdistan iracheno senza l'assenso di Baghdad, ha rovinato i rapporti con Baghdad. E da quando, lo scorso 24 novembre, l'aviazione turca ha abbattuto un jet russo sul confine siriano, Mosca ha congelato i rapporti economici con Ankara bloccando il flusso dei turisti, fermando l'import di prodotti agricoli turchi e interrompendo i lavori di costruzione della prima centrale nucleare turca.

Per allentare la tensione, Vladimir Putin pretende scuse ufficiali che Erdogan rifiuta. Il 65% dell'energia bruciata in Turchia è però di importazione russa e il sultano teme che il Cremlino possa chiudere quel rubinetto. Israele, al contrario, è ricca di gas, così come lo è Cipro e i due Paesi stanno progettando lo sfruttamento congiunto dei loro giacimenti offshore insieme alla Grecia (storico rivale della Turchia per la questione cipriota) e all'Egitto del generale al-Sisi (sulla lista nera di Erdogan per la sua politica di repressione dei Fratelli musulmani). Sul tema dello sfruttamento congiunto del gas, lo scorso 9 dicembre si è tenuto un vertice ad Atene fra il premier greco Tsipras, l'egiziano al-Sisi e il presidente cipriota Anastasiades. A inizio 2016 un vertice analogo si terrà a Nicosia con Netanyahu al posto di al-Sisi. Tutti della partita fuorché Erdogan che, non a caso, è tornato a più miti consigli con Israele. Nello Stato ebraico le parole del sultano sono state ascoltate con molta cautela: la Turchia resta ancora il principale sponsor di Hamas e Gerusalemme non ha alcuna intenzione di togliere l'embargo a Gaza (come d'altronde fa anche l'Egitto) solo per placare Erdogan. Oltre al gas, da parte sua, il leader turco guarda anche alla politica. Riavvicinare la Turchia a Israele significherebbe rafforzare il fronte anti-iraniano. Teheran è in gara con Ankara per la supremazia regionale ed è saldamente alleata alla Russia e alla Siria. Due Paesi con cui la Turchia di Erdogan ha rapporti pessimi.

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