Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 17/12/2015, a pag. 3, l'editoriale "I test missilistici di Teheran".
Quando, il 10 ottobre scorso, l’Iran ha testato un missile balistico e i repubblicani americani hanno iniziato a ribadire che fidarsi degli ayatollah è un esercizio pericoloso quanto inutile, la reazione è stata pressoché unanime: siete i soliti detrattori del deal “storico” che ha sancito la fine dell’isolamento della Repubblica islamica d’Iran, e forse rosicate perché a siglare cotanto accordo è stato il presidente Barack Obama. Poi due giorni fa il panel degli esperti che si occupano di Iran all’Onu – l’accondiscendente Onu, custode del multilateralismo globale e delle azioni giuste – ha detto: quel test è in palese violazione della risoluzione 1929 del Consiglio di sicurezza, perché riguarda un missile in grado di portare testate nucleari.
Il Congresso ha chiesto nuove sanzioni per Teheran, mentre i diplomatici dell’Amministrazione Obama si precipitavano a precisare: l’accordo sul nucleare non è stato violato, quindi giù le mani dal nostro gioiellino di mediazione. Tecnicamente è così, ma nelle stesse ore, l’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power, diceva parlando di fronte allo stesso panel che non si possono ignorare le violazioni dell’Iran, e che è necessario lasciare aperta la possibilità delle sanzioni anche quando l’accordo sul nucleare sarà implementato. Come ha scritto Reuters, che per prima ha dato la notizia del panel, “l’Amministrazione Obama si trova in una situazione complicata: l’Iran ha detto che qualsiasi nuova sanzione può compromettere l’intero accordo nucleare. Ma se Washington non chiede nuove sanzioni, finirebbe per essere considerata debole”. In effetti, con questo deal, il meccanismo è da sempre questo: le provocazioni di Teheran passano sotto silenzio per non mettere in discussione un negoziato lunghissimo, e molti interlocutori della regione hanno l’impressione che gli Stati Uniti siano i partner deboli di questo matrimonio forzato.
In questo momento l’America sta triangolando, malamente, sul terreno iracheno e siriano, tra le forze guidate da Teheran e quelle guidate dall’Arabia Saudita, ogni passo falso può risultare decisivo. Gli stati sunniti, con la regia di Riad, hanno annunciato la creazione di una forza composta da 34 paesi, che dovrebbe formare i “boots on the ground” della coalizione occidentale. L’Iran sostiene sul campo, e altrettanto nei negoziati diplomatici, le Guardie della rivoluzione, Hezbollah e il governo siriano di Assad, con la copertura politica e militare della Russia. I due schieramenti hanno tecniche e obiettivi inconciliabili, ma il lavorìo diplomatico americano cerca un terreno comune, ora e adesso, nella lotta allo Stato islamico, con Vladimir Putin e con gli ayatollah iraniani. Se Teheran inizia a testare missili che possono portare testate nucleari, la scommessa obamiana diventa difficile da vincere. Pericolosissima lo è da sempre.
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