Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/12/2015, a pag. 11, con il titolo "L'Isis ricorda il totalitarismo nazista", la cronaca di Goffredo Buccini.
Abdellah Redouane, intervistato da Goffredo Buccini, non è quell'esempio di "moderazione" che il giornalista vuole fare intendere. Fa parte, infatti, della Fratellanza Musulmana, una organizzazione internazionale che mira alla ricostituzione del Califfato e di cui fa parte anche Hamas. Oggi fa comodo ai Fratelli musulmani italiani condannare (a parole) lo Stato islamico e, al contempo, continuare a fomentare l'integralismo contro i valori dell'Occidente e contro Israele.
Ecco l'articolo:
Goffredo Buccini
Abdellah Redouane
Arrotonda le sue erre piene di moderazione e dice: «La nostra adesione al programma del Vaticano è totale. E concreta». Nel suo ufficio alla Grande Moschea di Roma, sotto la collina dei Parioli, Abdellah Redouane ha ancora sul tavolo gli appunti per un convegno su «cristiani e musulmani per la misericordia». Il Giubileo di papa Francesco è il ponte che cercava in questi giorni di nuovi muri: «È la maniera giusta per rispondere al culto della violenza, noi abbiamo dedicato al tema della misericordia la settimana culturale islamica di quest’anno. Dobbiamo battere la paura, reagire. Quelli dell’Isis per certi versi mi ricordano i nazisti, hanno la stessa visione totalitaria». Se la prende con qualche preside che, in trance multiculturalista, decide magari di sacrificare il presepe: «Un’assurdità tirata fuori a nome di noi musulmani! Ma chi gliel’ha data, la nostra rappresentanza, a certi signori?». Marocchino delle montagne sopra Marrakech, studente in una banlieue francese, ex professore, il segretario generale del Centro Islamico culturale della Capitale (unica istituzione musulmana in Italia riconosciuta dal nostro Stato) è storicamente la punta dialogante dell’islamismo italiano, spesso attaccato (proprio per questo) dalla radicata e radicale opinione secondo cui la Grande Moschea non esprimerebbe l’islam vero e profondo, dei quartieri, insomma quello diffuso in mezzo a noi. In realtà la Moschea, la più grande d’Europa, nelle feste ospita anche 25 mila fedeli e per la preghiera del venerdì duemila e cinquecento o forse tremila.
Il logo della Fratellanza Musulmana: Corano e scimitarre
Così Redouane lancia un segnale politico netto nella nostra conversazione: «Fino a oggi, quelli che voi chiamate con bella espressione italiana “imam fai-da-te” hanno riempito un vuoto, e molti non ne avevano le competenze. Io gliene sono grato, ma è il momento di cambiare». I luoghi del culto islamico a Roma sono passati in breve da 18 a una cinquantina, non censiti, nelle cantine, nei sottoscala, nei garage: le parole «imam» e «moschea» sono spesso abusate. Ci si può auto-proclamare imam? «Se volete capire, non dovete immaginare un vescovo e... tradurlo. L’imam è una funzione. Se in questa stanza siamo tre, o dieci, e decidiamo di pregare insieme, scegliamo uno di noi che fa l’imam». Il meccanismo non sembra garantire che un pazzo non diventi imam... «Infatti nessuno può garantirlo, al momento. Oggi dobbiamo passare alla fase due, in cui gli imam vengono formati, anche per ragioni di sicurezza: la sicurezza è minacciata soprattutto dall’ignoranza, dobbiamo sprigionare anticorpi, fare autocontrollo della base. Con diciotto, venti o trenta sermoni oggi chi può dire che nessuno di essi costituisca un pericolo? Chi può certificarlo?». Ma il problema nel rapporto con l’Islam sta appunto qui. Nell’estrema orizzontalità della sua struttura di culto, nella litigiosità dei suoi protagonisti e nella conseguente nostra difficoltà a trovare un interlocutore.
La moschea della Magliana, per dire, dev’essere stata una vasta autorimessa: renderla agibile ha costituito certamente uno sforzo immane, costato mezzo milione di euro, sette anni di collette del venerdì. Sami Salem ne è il fondatore e l’imam, ma alla Grande Moschea vi sussurreranno che «non è un vero imam». Lui sostiene che la sua moschea sia la più antica di Roma, nata un anno prima di quella dei Parioli. Non è un estremista, Sami, vorrebbe l’albo degli imam e predica in arabo e italiano. Ma è facile all’ira: «Imam fai-da-te? Ma quale imam non è fai-da-te? Io non accetto quest’espressione offensiva! Voi la usate per sostenere che la nostra religione è inferiore! L’islam non viene riconosciuto in Italia. Né l’imam né la moschea. Allora l’unico non fai-da-te sarebbe quello che viene dalla Grande Moschea?». La tensione tra centro e periferia e, ancora, la difficoltà di rappresentanza, è palese. Abdellah Redouane dice, con garbata durezza: «Non vorrei sembrarle esclusivista, ma ricordo che la Grande Moschea di Roma è l’unico ente islamico riconosciuto dallo Stato. L’albo è una cosa corporativa, ma se può essere risolutivo ben venga. Per me il problema non è aprire o chiudere un albo burocratico, è l’uso che l’imam fa del Corano per contribuire a vivere insieme. L’Italia non è la prima ad affrontare il problema di un interlocutore. Quando la Francia ne ha voluto uno, l’ha trovato nella Grande Moschea di Parigi». Questo non ha scongiurato i drammi. «Vede, le seconde generazioni nelle banlieue sono adolescenti in quartieri dove c’è solo il cemento, si scoprono sentimentalmente legati alle origini. Noi dobbiamo agire adesso, se no sarà tardi. La religione dà a una persona il senso della vita. Ma per vivere insieme, con l’evoluzione sociale, economica, politica, abbiamo fatto le leggi. La cosa più importante da insegnare è il rispetto della legge».
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