Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/12/2015, a pag. 6, con il titolo "Colombani: la lotta al Califfato non è la guerra a Gheddafi, l'Italia dovrebbe intervenire", l'intervista di Paolo Valentino a Jean-Marie Colombani, già direttore di Le Monde
Jean-Marie Colombani
In Libia è guerra tra le dune
«Quella di Matteo Renzi è una posizione deludente». Al telefono da Parigi, Jean-Marie Colombani non nasconde il suo «grande disappunto» di fronte alla scelta del premier, illustrata in un’intervista al Corriere, di non aumentare l’impegno dell’Italia sul fronte della guerra all’Isis. L’ex direttore di Le Monde, celebre per il titolo «Siamo tutti americani» dopo gli attentati dell’11 Settembre, è convinto che «in un momento nel quale siamo tutti sotto una minaccia concreta sia fondamentale mostrare il massimo di coesione». E aggiunge: «È un problema di solidarietà esistenziale, il presidente Renzi non sembra rendersene conto».
Il suo argomento è che l’Italia è già parecchio impegnata all’estero, presente in Libano, Afghanistan, Iraq, Kosovo, Somalia. «Certo, ma è la Francia che è stata attaccata e ha fatto appello alla solidarietà europea, soprattutto a quella dei suoi alleati più vicini. Il minimo è dare una risposta positiva. In Europa purtroppo non sono molti i Paesi che dispongono di una capacità militare adeguata. Dalla caduta del Muro di Berlino in poi, gli europei hanno preferito incassare il dividendo della pace. I tempi però non sono più gli stessi ed è evidente la necessità di creare una difesa europea. In assenza di questa occorre contare su quei pochi Paesi dotati di strumenti militari significativi. Fra questi c’è ovviamente la Gran Bretagna, e c’è anche l’Italia».
Sono cose diverse naturalmente, ma se parliamo di solidarietà, non è che l’Italia ne abbia avuta molta nella vicenda dei rifugiati. «Si può capire che l’Italia sia delusa dal tempo impiegato dagli europei a farsi carico della questione dei rifugiati. Oggi qualcosa è cambiato, la solidarietà va organizzandosi. Quello che è successo a Parigi ci riguarda tutti. Renzi si attesta su una posizione di neutralità. La neutralità però si può capire nel caso della Svezia, dell’Austria, non dell’Italia. Almeno per me».
Ci saranno reazioni da parte francese? «Hollande continuerà a mostrare un’amicizia particolare verso l’Italia, ma sono cose che non si dimenticano. Guardi la Germania: Merkel non aveva mai preso una decisione del genere, ora ha scelto di intervenire».
L’altro argomento di Renzi è che non si può agire sul piano militare contro l’Isis, se non c’è una chiara visione politica sul dopo. «La prima cosa è vincere e distruggere un nemico forte, è importante che il maggior numero di Paesi s’impegni in questa battaglia. La pace deve essere nella nostra mente e occorre preparare il dopo. È vero che l’operazione libica è fallita, poiché nessuno aveva pensato alla soluzione politica. Ma era un’altra partita: Isis-Daesh è un’organizzazione che vuole distruggere gli Stati nei quali si incista: l’Iraq, la Siria e ora la Libia. Vogliamo continuare a lasciarli fare? E quando anche la Libia sarà distrutta, ci domanderemo se intervenire o meno? C’è un errore di ragionamento da parte dell’Italia, per giustificare il non intervento».
Perché, secondo lei? «Forse si pensa sia sufficiente l’aiuto a livello di intelligence e quella italiana è sicuramente molto buona. La Francia però ha chiesto all’Italia di aumentare il suo impegno in Libano, che è una missione di pace Onu nella quale non si combatte, per potersi concentrare meglio sulla Siria. E poi c’è la Marina italiana, una delle migliori nel Mediterraneo: che sia la Germania e non l’Italia a mobilitarsi al fianco della Charles de Gaulle, è problematico. Manca un gesto, anche simbolico».
Sulle decisioni italiane influisce la speranza di mettere il Paese al riparo da attentati? «Può darsi, ma è un illusione. Siamo tutti sotto tiro. E poi se facciamo una sinistra contabilità degli attentati, l’80% delle vittime sono di confessione musulmana».
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