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Libero Rassegna Stampa
05.12.2015 Arabia Saudita: petrolio contro Iran e Russia
Analisi di Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 05 dicembre 2015
Pagina: 8
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La guerra saudita a colpi di greggio»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 05/12/2015, a pag.8, con il titolo "La guerra saudita a colpi di greggio", l'analisi di Carlo Panella.

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Carlo Panella

Di nuovo e sempre non la guerra per il petrolio, ma la guerra attraverso il petrolio: nel vertice OPEC di ieri la posta in gioco infatti era non solo o non tanto economica, ma in larga parte politico-militare. I paesi produttori di petrolio -non tutti rappresentati dall'Opec, tra questi la fondamentale Russia- sono infatti divisi in due blocchi che si combattono contemporaneamente, per interposta persona, anche sul campo militare, su più fronti. Il blocco «rialzista» che preme quindi per una diminuzione della produzione di oro nero (oggi sui 30 milioni di barili al giorno nel pianeta) è infatti capeggiato dalla Russia e dall'Iran. Sono due Paesi le cui economie, largamente, quando non totalmente, sono dipendenti dalla esportazione di petrolio e gas, e sono tarate su entrate da vendite energetiche a 60-80 dollari al barile. Il dimezzamento di questo valore -oggi il petrolio si vende a 40-41 dollari al barile- ha effetti disastrosi sul bilancio di Mosca come di Teheran, con immediati riflessi sul welfare, che deve essere contratto, sui prezzi amministrati dei beni di prima necessità, che aumentano, e quindi con contraccolpi gravi in termini di consenso e anche sulle enormi spese militari che i due paesi affrontano, impegnati come sono direttamente in Ucraina e in Siria (la Russia) come in Iraq, Libano, Yemen e anche Siria (l'Iran). Il problema per Putin e per gli ayatollah è che il fronte avverso, quello «ribassista» è guidato da quella Arabia Saudita, che è seguita da tutte le monarchie del Golfo, che arma e finanzia chi combatte contro l'asse Iran-Russia in Siria, Iraq, Yemen e anche Libano. Il tutto, per di più, in un contesto in cui è crollata la richiesta di energia da parte della Cina, dell'India e degli altri paesi del Brics che hanno più che dimezzato il clamoroso sviluppo della produzione industriale dell'ultimo decennio, quando non sono apertamente entrate in crisi quasi recessive, come il Brasile. Non solo: il fronte ribassista guidato dai sauditi gioca la sua partita anche per danneggiare gli USA, che sono ormai autonomi dal punto di vista energetico, ma che hanno ottenuto questo storico risultato investendo migliaia di miliardi sullo shale gas. Ma, per essere competitiva, questa nuova fonte di energia deve concorrere, con un petrolio a 70-80 dollari al barile. Già molte holding energetiche Usa impegnate su questo fronte sono entrate in crisi per questa ragione, altre ne seguiranno e complessivamente questo scompenso costituisce una pesante penalizzazione per Obama. I sauditi, a capo di un regno feudale e per molti versi barbaro, hanno sviluppato sin dal 1973, dalla guerra del Kippur, una raffinatissima capacità di brandire il prezzo del petrolio come un'arma più penetrante dei carri armati e dei bombardamenti aerei. Oggi, Ryad fa pagare caro a Mosca e a Teheran l'appoggio al regime Assad, a Hezbollah e agli Houti yemeniti. E a Obama, l'incauta firma dell'accordo sul nucleare con l'Iran, che è stata la premessa per il suo dilagare fino al Mediterraneo. Conclusione: ieri i sauditi hanno imposto di lasciare la produzione a 30 milioni di barili al giorno. Un brutto colpo per l'economia russa, già traballante per le sanzioni legate all'Ucraina e perla sua incapacità di incrementare la produzione industriale. Un colpo ancora più grave per l'economia iraniana. Peggio di una battaglia campale persa.

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