Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 02/12/2015, con il titolo "Il documento che Renzi deve leggere per decifrare l'adeguatezza culturale delle procure di fronte all'aggressione del terrorismo islamista", l'editoriale di Claudio Cerasa.
Claudio Cerasa
Matteo Renzi
Vogliono raccontarci che il terrorismo islamista è prima di tutto un problema di sicurezza interna che si risolve caricando i fucili di cultura, di campetti da calcio in periferia e di cinema aperti nei luoghi del disagio sociale e che si previene più con un rafforzamento della prassi penale che con un rafforzamento della prassi militare. Il messaggio del governo, almeno per il momento, suona più o meno così. E in presenza di questo messaggio non ci si può non chiedere se il livello di prevenzione – e la capacità di contrasto dimostrata negli ultimi anni dal sistema italiano nell’affrontare la minaccia del terrorismo islamista – presenti oppure no delle crepe che alla lunga potrebbero compromettere la stabilità della nostra struttura di sicurezza.
Il 2015 non è solo l’anno in cui abbiamo scoperto che il Bassam Abachi, predicatore della moschea di Molenbeek e ideologo dei futuri attentatori del venerdì 13 di Parigi, era lo stesso Abachi arrestato a Bari nel 2008, condannato in primo grado a otto anni di reclusione e poi assolto in Appello con una sentenza che lo ha rimesso in circolazione. Il 2015, tra le altre cose, è stato anche l’anno in cui un gip, a febbraio, a Lecce, ha scarcerato cinque persone arrestate dopo essere sbarcate in Puglia con documenti falsi e filmati di bombardamenti e di esecuzione di attentati contenuti nelle memorie dei cellulari con motivazioni singolari (“appare irragionevole che eventuali terroristi arabi giungano in territorio italiano in condizioni precarie e a bordo di una piccola imbarcazione”), facendoci rivivere attimi simili a quelli vissuti dieci anni fa ai tempi di Clementina Forleo e di Guido Salvini (quando la procura di Milano e quella di Brescia scelsero di assolvere alcuni islamisti dal reato di terrorismo internazionale per questioni culturali più che giuridiche, perché “la distinzione tra terrorismo, guerriglia e movimenti internazionali – scrisse in un famosa sentenza il giudice di Brescia Salvini – ha certamente un forte rilievo storico ma rimane ancora molto discussa anche nel diritto internazionale e difficilmente può essere utilizzata sul piano giuridico interno”).
Di fronte a questi fatti e a molti altri (qualche giorno fa quattro estremisti islamici residenti a Bologna, per i quali un gip non aveva convalidato gli arresti disposti dalla procura, sono stati espulsi dal ministero dell’Interno) viene naturale chiedersi quale è il grado di adeguatezza culturale dell’autorità giudiziaria di fronte all’aggressione del terrorismo islamista. Generalizzare è un errore, ovvio. E’ certamente un caso che le mailing list interne delle correnti dei magistrati siano piene di pm e di giudici convinti che per spiegare il terrorismo islamico non ci sia nulla di meglio che identificarsi nelle parole di Slavoj Zizek o di Umberto Eco. Ed è certamente un caso che ci siano magistrati (Milena Balsamo, 17 novembre 2015, giudice a Pisa) convinti che “quando si commettono eccidi come quelli contro gli algerini, quando si colonializza, e gli ex coloni vengono comunque emarginati, non puoi ipotizzare che quella dell’islam sia solo una guerra di religione. In fondo che differenza noti tra gli eccidi dei terroristi e quelli dei paesi ex colonizzatori?”.
E’ tutto naturalmente casuale. Ma se quella che stiamo combattendo è anche una guerra culturale – e se sulla cultura dei magistrati in materia di terrorismo islamista la storia recente ci insegna che sarebbe bene investire a più non posso – è difficile uscire rincuorati dalla lettura di un documento significativo: il programma 2016 del centro di formazione curato dalla Scuola superiore della magistratura, al cui funzionamento concorrono ministero della Giustizia e Csm. Numero di corsi previsti per il 2016: 93. Numero di corsi dedicati al terrorismo: uno, genericamente indicato con la formula “contrasto del terrorismo fra repressione e prevenzione”. Se battaglia culturale deve essere, prima di pensare ai campetti da calcio forse Renzi dovrebbe partire anche da qui.
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