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Il Foglio Rassegna Stampa
01.12.2015 Pensare e comprendere l'islam? Certo, per difendersi meglio
Due analisi di Mauro Zanon

Testata: Il Foglio
Data: 01 dicembre 2015
Pagina: 1
Autore: Mauro Zanon
Titolo: «Pensare l'islam? Impossibile - Comprendere l'islam? Difficile»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/12/2015, a pag. I, con i titoli "Pensare l'islam? Impossibile", "Comprendere l'islam? Difficile", due analisi di Mauro Zanon.

Ecco gli articoli:

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Mauro Zanon

"Pensare l'islam? Impossibile"

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Islam e Occidente

In questi giorni, per chi prova a contattare Grasset, la casa editrice che avrebbe dovuto pubblicare “Penser l’islam” del filosofo francese Michel Onfray, la risposta è sempre la stessa: “Pas de commentaires sur un livre qui n’existe pas”. Nessun commento su un libro che non esiste. Come lo è stato “Soumission” di Michel Houellebecq per il 2015, “Penser l’islam” di Onfray, saggio annunciato come molto critico nei confronti dell’islam, era destinato a essere per il 2016 il libro-evento della rentrée letteraria parigina. Ma venerdì scorso, attraverso il suo editore, il filosofo libertario autore del “Trattato di ateologia”, ha reso nota la sua decisione di non pubblicare il libro: “Convinto che nessun dibattito sereno sia più possibile in Francia a proposito dell’islam nell’attuale contesto, rinuncio a pubblicare ‘Penser l’islam’ come previsto nel mese di gennaio 2016”, ha indicato Grasset riprendendo le parole di Onfray, Tuttavia, ha precisato l’editore, “il suo libro uscirà all’estero”. “La decisione di rinviare sine die la sua pubblicazione in Francia”, come evidenziato nel comunicato ufficiale, la dice lunga sullo stato del dibattito sull’islam nel paese che ospita la più grande comunità islamica d’Europa, su quanto sia difficile uscire dal pantano pol. corr. che in Francia impedisce di guardare in faccia la realtà.

Come voleva fare Onfray, appunto, in questo saggio composto da un dialogo articolato con la giornalista algerina Asma Kouar e una digressione intitolata “Puissance et décadence”, sull’Europa, i suoi valori e il suo destino. “Citando numerose sure e confrontando le interpretazioni, pone i musulmani dinanzi alla realtà di un testo che, accanto a slanci sublimi, dà ugualmente spazio alla crudeltà, all’odio per le donne, allo spirito di conquista”, scrive l’editore nella pagina di presentazione del libro. L’analisi “molto simile a quella di Houellebecq in ‘Soumission’” è alla base di un saggio che tratta la religione islamica frontalmente, senza gli occhiali del politicamente corretto. “Dal suo ‘Trattato di ateologia’, tutti sanno che Michel Onfray non è il migliore amico delle religioni – che considera, in quanto uomo dei Lumi, come malattie propizie all’odio, al fanatismo, alla negazione dei corpi – Ovviamente, l’islam non fa eccezione a questa critica radicale”, ha aggiunto Grasset, sottolineando il fatto che Onfray ha letto “da molto vicino il Corano, in maniera tale da non temere di ravvisare, come negli altri monoteismi, delle frequenti apologie della violenza e della guerra”.

Al momento, è impossibile strappare ulteriori dettagli sul contenuto del libro. Les “bonnes feuilles”, che di solito anticipano di qualche settimana l’uscita in libreria, non sono ancora apparse. E probabilmente non appariranno, dato che il saggio verrà pubblicato solo all’estero, salvo retromarcia improvvisi. Tuttavia, già quando uscirono le prime indiscrezioni sulla pubblicazione di un saggio duro nei confronti dell’islam scritto da Onfray, ci furono grandi schiamazzi di certa stampa benpensante. Che non aveva perdonato al philosophe che ha fondato l’Università popolare gratuita di Caen le reiterate critiche al grande partito dell’anti islamofobia, all’“islamofilia irenista” di quella gauche che si balocca nell’illusione che l’islam sia “una religione di pace, tolleranza e amore”, si rinchiude nelle sue certezze apodittiche e distribuisce patenti a chi può parlare e chi no di determinati temi. “L’idolo marcescente di una parte non trascurabile della sinistra varca il Rubicone che lo separava dalla pura e semplice estrema destra”, ha scritto Mediapart, creatura giornalistica diretta dal trotkzista più coccolato dai salotti del Tout-Paris, Edwy Plenel, quando Onfray disse “oui” alla chiamata di Alain de Benoist per un’intervista sul magazine Éléments. Ma come, si erano chiesti con toni isterici i benpensanti, un tipo come Onfray, che della gauche parigina è stato per anni un santino, che ha scritto “La politica del ribelle” e ha votato Besancenot, leader dell’ultrasinistra, nel 2002, accetta di farsi intervistare e di posare sulla copertina della rivista di riferimento della Nuovelle Droite?

“Il fatto che la gauche istituzionale, da Hollande a Mélenchon, da Libération a Mediapart, non mi apprezzi e continui a calunniarmi è decisamente una buona notizia. Mi preoccuperebbe il contrario”, reagì Onfray. Con Bruno Roger-Petit, editorialista di punta del magazine Challenges, che lo dipinse come “modello compiacente dell’estrema destra disinibita con addosso una camicia nera anti Bernard-Henri Lévy”, fu in egual misura caustico: “Il vantaggio con Bruno Roger- Petit è che non ci delude mai: è talmente prevedibile che possiamo commentare in anticipo ciò che scriverà. Nel ruolo di cantore dei benpensanti, è insostituibile”. Due gauche diverse, anzi opposte, quella di Onfray e dei vari Plenel, Roger-Petit, Joffrin e tutti i grandi profeti del ceto medio riflessivo in Francia. Una gauche, quella che Onfray ha sempre detto di incarnare e non ha mai tradito, “che abbraccia i valori positivi”, “dionisiaca”, “libertaria” e “che cerca la felicità per tutti”. Tutto il contrario di quella sinistra del “ressentiment”, che non vuole “che i poveri diventino ricchi ma vuole che i ricchi diventino poveri”, “preferisce sbattere i ricchi in galera, metterli alla gogna, nei campi di concentramento o di rieducazione”, “la sinistra di Robespierre”, come la chiama Onfray, “una sinistra che, di fatto, vuole vendicarsi, vuole vendicarsi dell’ordine del mondo”.

Nel 1994, molto prima del saggio inquisitorio di Daniel Lindeberg sui “Nouveaux réactionnaires” e le liste di proscrizione di Libération sui “malpensanti”, Charles Champetier, giornalista di Éléments, aveva già pronosticato il clima di terrorismo intellettuale e di polizia del pensiero che avrebbe preso il sopravvento in Francia ne “La nouvelle inquisition”: “Le grandi mutazioni ideologiche sono sempre fatali per i dinosauri dello spirito: le ultime contrazioni della loro vendetta sono anche le ultime convulsioni della loro agonia”. A questi “dinosauri dello spirito”, a questi gendarmi del pensiero che si è spesso trovato di fronte durante i dibattiti televisivi, Onfray ha sempre risposto così: “Il ne faut pas avoir peur du réel” (non bisogna avere paura della realtà). Ma loro hanno sempre fatto finta di non capire e ora sono gli stessi che gioiscono per sua rinuncia, la rinuncia del “traditore”, colui che dal novero dei presentabili, dopo la prima pagina di Libération con il suo faccione e l’accusa di spianare la strada al Front national, è ufficialmente uscito. La decisione presa dall’ateo edonista che fece infuriare i freudiani quando ne “Il crepuscolo di un idolo” trattò il padre della psicoanalisi come un “impostore”, nasce anche da alcune sue ultime uscite che lo hanno spinto a voler chiuder il suo profilo Twitter. Due giorni dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, Onfray commentava così in 140 caratteri: “Destra e sinistra che hanno seminato la guerra a livello internazionale contro l’islam politico raccolgono a livello nazionale la guerra dell’islam politico”.

Si scatena subito il putiferio, e sui social Onfray è sommerso di accuse, come quando nel giugno 2014 si chiese dove fosse la grande manifestazione dei musulmani d’Europa per dissociarsi dall’islam in nome del quale Mehdi Nemmouche (il terrorista del museo ebraico di Bruxelles) aveva commesso una strage. “Ne ho abbastanza del fatto che i miei tweet sono considerati più importanti dei miei libri. Ho preso la decisione di chiudere il mio account Twitter. Voglio ritornare alla mia scrivania. Commentare i commenti non mi interessa”, ha dichiarato il filosofo francese al Point. Attualmente, il suo profilo è ancora consultabile, ma presto sarà chiuso definitivamente. Sabato, durante la trasmissione “Salut les Terriens!”, su Canal Plus, ha annunciato che si sarebbe trattata della sua ultima apparizione televisiva, che sentiva il bisogno di una “dieta mediatica”. Forse cambierà idea, ma poco importa. Resta la rinuncia alla pubblicazione, resta questo pericoloso passo indietro che si iscrive nella scia dei vignettisti di Charlie Hebdo e nella loro scelta di non disegnare più Maometto. Pensare l’islam? Impossibile oggi in Francia.

"Comprendere l'islam? Difficile"

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“Comprendere l’islam, significa riflettere sulla sua confusione tra fede e legge, tra potere spirituale e potere temporale, tra piano religioso e piano politico. Comprendere l’islam, significa ammettere la sua incompatibilità assoluta, per la sua essenza, con la democrazia pluralista, la laicità e la libertà (…) Comprendere l’islam, significa prendere atto che un ‘islam laico’ o un ‘islam dei Lumi’ sono entrambe delle utopie. I suoi collaborazionisti occidentali sono dei sottomessi, impauriti, accecati, schizofrenici in contraddizione con i loro principi (…) Comprendere l’islam, non significa disprezzarlo, significa conoscerlo, al fine di evitare l’islamizzazione dell’Europa che sfocerebbe in un cataclisma e distruggerebbe la nostra civiltà”. Sono parole forti quelle utilizzate da Guillaume Faye nel suo libro uscito in Francia per le edizioni Tatamis, “Comprendre l’islam”. Parole e pensieri che l’intellettuale più sulfureo e bistrattato di Francia, tra i padri della Nouvelle Droite, aveva già disseminato nelle sue opere precedenti, da “Le système à tuer les peuples” a “La colonisation de l’Europe. Discours vrai sur l’immigration et l’Islam”.

Faye ha deciso di scriverlo, “Comprendre l’islam”, perché mai come ora giudica necessario ristabilire alcune verità storiche sulla religione di Maometto a partire da quella più importante: “L’islamismo non è una deriva dell’islam, è un ritorno alle origini, all’islam dei califfi”. Riflettere lucidamente, limpidamente, rifuggendo tanto l’angelismo diffuso nei confronti dell’islam quanto la sua demonizzazione, tanto il linguaggio pol. corr. delle élite gosciste quanto l’abitudine di una certa destra all’insulto facile. “Questa critica all’islam non è pronunciata da un punto di vista giudaico- cristiano, né di alcun’altra religione, né tantomeno da una posizione ateista o in nome di una cappella ideologica. La mia riflessione è strettamente personale, mi ispiro alle categorie del pensiero aristotelico, ossia l’esperienza, il buon senso e la giusta via di mezzo”, scrive Faye nella sua introduzione. Troppi intellettuali, giornalisti, personalità politiche e mediatiche che prendono la parola e influenzano l’opinione pubblica non hanno mai letto il Corano né gli hadith (i “detti e fatti di Maometto”, ndr), non conoscono la vera natura dell’islam, o forse, il più delle volte, fanno finta di non conoscerla.

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Guillaume Faye

Sono gli stessi, sottolinea Faye, che in Francia hanno deciso che il peccato capitale della nostra epoca è l’“islamofobia”, nonostante gli innumerevoli spazi e privilegi accordati all’islam da una République che pratica una laicità a geometria variabile. Gli stessi che considerano l’islam una “religione come le altre”, quando non lo è affatto. Comprendere l’islam, scrive Faye, significa anzitutto rendersi conto che nonostante le sue cruente divisioni interne ha designato un nemico comune: la civiltà occidentale. C’è la “fitna”, la discordia, la lotta intestina interna all’islam, certo, ma c’è soprattutto l’occidente e la sua civiltà che l’islam di al Baghdadi, l’islam belligerante, violento, revanscista, vuole spazzare via. Quanto ci vorrà ancora a capirlo e a rispondere con i dovuti mezzi? Per quanto tempo ancora gli utili idioti dell’islamizzazione (gli “islamo-goscisti” li chiama Faye) continueranno a parlare di “dialogo necessario” e di “coabitazione pacifica” con l’islam quando nel passato non si è mai verificato? Come sosteneva il filosofo tedesco Carl Schmitt, rifiutare di avere un nemico, essere pacifisti, non serve a nulla, perché è l’altro che vi designa come nemico e non si può sfuggire alla guerra perché, a prescindere da ciò che voi fate, sarete comunque attaccati. Parlare di “islam moderato”, per Faye, è come parlare di un cristianesimo ateo, di un comunismo liberale, di un nazismo filosemita. E’ triste da dire, ma tant’è. Esistono i musulmani moderati, i quali vivono un profondo dramma proprio per il fatto di essere “moderati in seno a un sistema che è radicale e riformatori di una dottrina che si vuole immutabile”.

“I musulmani moderati si rifanno a un islam virtuale, intellettualizzato, sognato, che non è autentico. E’ un islam occidentalizzato e dunque sfigurato, che non corrisponde affatto alle tendenze attuali di ritorno alle origini, con l’ascesa mondiale dell’islamismo”. Nel primo capitolo, l’ideatore del concetto di “archeofuturismo”, avanza un parallelo interessante: quello tra islam e comunismo. “La somiglianza tra islamismo e comunismo marxista è impressionante. Entrambe condividono la certezza assoluta di detenere la verità e di avere ragione in ogni punto, di possedere le sole soluzioni giuste in ogni sfera, di seguire la via del Bene – nonostante vengano commessi tutti gli abusi possibili, ma ritenuti giusti – di non tollerare la minima opposizione o contestazione (fatta eccezione quando si è in minoranza) di non praticare la persuasione ma il rapporto di forza, di pensare il potere soltanto sotto la forma unitaria, senza separazioni e contropesi. Nel comunismo il Partito unico e lo Stato si confondono così come in uno Stato islamico l’autorità religiosa prescrittrice della sharia è consustanziale allo Stato”, scrive Faye. E ancora: “Tanto nel quadro dell’effimero materialismo dialettico quanto nel millenario Corano, i dogmi sovrastanti impediscono l’espressione dell’individualità, della soggettività. Il che soffoca la creatività, l’iniziativa, il dibattito, la controversia, lo spirito critico. L’imperativo collettivo si sostituisce alla riflessione personale. Le proibizioni, le norme, gli obblighi schiaccianti sterilizzano le società sottomesse all’islam o al comunismo (…) Nel comunismo marxista così come nell’islam, troviamo un parallelismo anche tra due concetti: le masse e la umma. Le masse sono dei proletari indifferenziati, l’aggregazione di popoli diversi che non si preoccupano della loro nazionalità e della loro identità. Allo stesso modo, la umma, la comunità dei credenti, è un internazionalismo”.

C’è in entrambi, evidenzia Faye, l’abolizione congiunta dell’identità individuale e dell’identità nazionale, quando invece tutta la tradizione di origine europea, dal pensiero greco, riposa sulla filosofia della soggettività. Il processo di islamizzazione dell’Europa, e della Francia anzitutto, vero laboratorio di ciò che verrà per Faye se non ci saranno reazioni muscolari da parte dell’occidente, avanza a grandi passi. Dal 2003 al 2015 il numero di moschee in Francia è passato da 1.500 a 2.500 (altre 400 sono in fase di progettazione) e il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur chiede a gran voce che vengano raddoppiate (sui patti diabolici tra politici locali e comunità islamiche si legga il documentatissimo “Ces maires qui courtisent l’islam” del giornalista Joachim Véliocas). Le rivendicazioni della comunità islamica francese – menù halal nelle mense scolastiche, tappeti per pregare nei luoghi di lavoro, adattamenti del calendario scolastico in funzione del Ramadan e delle fesitività islamiche – sono sempre più insistenti. Allo stesso tempo muta completamente l’estetica di interi quartieri (nel nord di Parigi, soprattutto) e di intere zone (il Seine-Saint-Denis, tanto per citarne una), che fino a trent’anni fa contavano al massimo dieci per cento di immigrati di origine arabo-musulmana ed erano sprovvisti di drogherie e macellerie halal, e sono più simili ad Algeri che a un comune frances. Si tratta della “Grande sostituzione” di popolazione denunciata dallo scrittore Renaud Camus che si unisce a un’“estensione del dominio dell’halal” (parole non di un pericoloso reazionario, ma di un islamologo notoriamente vicino alla gauche come Gilles Kepel) e sta costringendo sempre più autoctoni, i “francais de souche”, a fare i bagagli. Ad accelerare quest’islamizzazione ci sono da una parte le élite gosciste (che, in preda a una contraddizione pazzotica, da caso psicoanalitico, come dice Faye, propagano un’ideologia pro Lgbt, pro femminismo, pro libertà d’espressione, pro laicità, e allo stesso tempo difendono l’islam che predica il contrario di tutto ciò e denunciano istericamente la presunta “islamofobia” dominante), dall’altra gli intellettuali musulmani che tentano in ogni salotto televisivo di rassicurare i francesi e gli europei sull’ascesa dell’islamismo affermando che è una deriva, che è marginale.

Il capofila di questi intellettuali è lo svizzero di origine egiziane Tariq Ramadan, nipote di Hassan al Banna, fondatore dei Fratelli musulmani, che Faye giudica come il “prototipo del portatore del doppio discorso (la ‘takia’, la dissimulazione per ingannare il nemico ndr)”, che “dietro un linguaggio suadente e pseudo moderato (…) si adopera per diffondere l’ideologia islamista tra i musulmani d’Europa”. “Ramadan è l’avvocato della diffusione dei privilegi e delle esenzioni per l’islam che si installa in Europa”, aggiunge Faye. “L’islamizzazione dell’Europa è il suo obiettivo (…) E’ il prototipo di questa quinta colonna intellettuale islamica che punta ad assopire la diffidenza delle élite europee, contribuendo allo stesso tempo alla fanatizzazione dei suoi correligionari immigrati”. Soffermandosi a lungo sulla vittimizzazione e l’“islamofobia” come principali motori dell’islamizzazione, Faye giunge infine ad affermare che quest’ultima è ancora più pericolosa dell’islamismo. “Estremamente preoccupanti sono i due elementi seguenti: non solo la progressione numerica degli europei autoctoni convertiti all’islam ma, in particolar modo in Francia, l’islamofilia delle autorità politiche e giudiziarie, quella di numerose élite mediatiche e culturali, incoscienti o complici. L’islam acquisisce uno statuto privilegiato e protetto e l’“islamofobia” non è tollerata dallo stato ‘laico’. Mentre la cristianofobia è ignorata e la giudeofobia è repressa con mollezza, soprattutto in funzione dell’origine dei colpevoli… Questa islamofilia ufficiale, sindrome di sottomissione anticipata, prepara il terreno all’islamizzazione generalizzata”. E ancora: “Gli attentati islamisti (ne vedremo ancora, questo è certo) sono chiaramente nell’immediato un qualcosa di orribile, ma permettono una presa di coscienza della designazione del nemico. Molto più terribile è la prospettiva nel corso del Ventunesimo secolo della sparizione della Francia, della sua identità millenaria, del suo essere. Il pericolo maggiore dell’islam non sono soltanto gli attentati commessi in suo nome, è la sua sostituzione all’etno-cultura francese ed europea”.

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