Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/11/2015, a pag.5, due servizi sulla Turchia, un paese purtroppo ritornato sulla scena per il terrorismo che lo vede protagonista. Turchia, quindi, un pericolo per le istituzioni democratiche europee, una minaccia che il comportamento irresponsabile della Germania renderebbe attivo se la Turchia di Erdogan entrasse in Europa, come sembra augurarsi la canceklliera Angela Merkel. Che su questa ipotesi ha alleati anche in altri governi.
Che farà l'Italia ? Renzi flip-flop afrfronterà finalmente la differenza fra 'cultura' e 'guerra' che l'islam ha dichiarato al mondo democratico ?
C'è poco da sorridere
Ecco gli articoli:
Guido Olimpio: " Molte sigle e fragili alleanze. Il gioco pericoloso dei ribelli che sfidano Ankara e Assad"
Guido Olimpio
WASHINGTON Troppe le forze in movimento in questa fase in Turchia. Terroristi, servizi, mani interessate a tenere vivo il fuoco attorno alla crisi curda spezzettata in tanti segmenti. Il primo oppone Erdogan ai separatisti del Pkk. Nessuno ha voglia di fermarsi nonostante le decine di migliaia di vittime dall’84 ad oggi. Il presidente promette lotta totale, continua a bombardare e reprimere, usa il nodo a fini nazionalistici. I guerriglieri ribattono colpo su colpo. Più volte in questi ultimi anni si è parlato di negoziato e poi si è ripiombati nel ciclo di violenza. Con il ritorno di misteriosi gruppi anti curdi, come i «leoni di Allah», che ricordano le squadre della morte del passato e le imboscate ai soldati. Spesso l’incendio si è unito a quello siriano. Appena oltre il confine turco sta crescendo il movimento Ypg, molto vicino al Pkk. Protagonista della resistenza a Kobane contro l’Isis, si è trasformato nel miglior alleato della coalizione a guida americana. Impressionante la parte di territorio che ha sottratto al Califfato. Ankara ha guardato tutto con preoccupazione, irritata per il patto d’azione (e di interesse) tra l’America e i marxisti curdi. Washington è convinta della scelta fatta ed ha rifornito di armi i militanti pur mimetizzando il tutto creando una nuova sigla insieme a formazioni di ribelli siriani. È così nata una fanteria con l’ombrello dell’Us Air Force. In teoria dovrebbe puntare su Raqqa, una delle città in mano allo Stato Islamico. Ma al tempo stesso i curdi non dimenticano di essere tali e vorrebbero spingersi invece a occidente, verso Jarabulus, per completare la costruzione della Rojava, la loro entità, arrivando fino all’enclave di Afrin. Piano che provoca il mal di stomaco a Erdogan. È tema delicato che spinge la Casa Bianca alla prudenza. Ma l’Ypg può esplorare altre strade, in particolare con Mosca. I leader del movimento sono pronti a coordinarsi con il Cremlino e chissà che non sfruttino a loro vantaggio la tempesta tra lo Zar e il Sultano. Non meno complicato il rapporto con la resistenza siriana. In alcune zone c’è azione comune, in altre si pigliano a fucilate. Nei giorni scorsi l’Ypg, insieme a reparti dell’Fsa (insorti pro occidentali) ha dato battaglia agli islamisti di Al Nusra nel settore di Aleppo. Per molti oppositori i curdi siriani non sono proprio dei fratelli. Anzi, li vedono come dei collaborazionisti del regime. E le tensioni camminano rapide. L’Ypg ha rapporti complicati con i peshmerga del Kurdistan (Iraq), raramente si aiutano, volentieri litigano. Differenze che in alcuni angoli coinvolgono gli yazidi. Quest’ultimi, nei giorni scorsi, sono stati protagonisti di scontri a fuoco con i curdi iracheni, a loro volta divisi e alle prese con le milizie sciite nella regione di Tuz. Non è finita. Ci sono ancora i curdi iraniani, alleati del Pkk e nel mirino dei pasdaran. Strana situazione dove lo smembramento della Siria crea opportunità per i curdi, ma è utile ai loro nemici per mettersi di traverso, specie quando è più facile usare la forza contro il nemico e figure di peso come Tahir Elci.
Francesco Battistini: " Esecuzione in strada per l'avvocato dei curdi "
Francesco Battistini
DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME
Di fianco a un colonnato traforato di proiettili. A Diyarbakir, cerino sempre acceso nella polveriera curda, l’avvocato Tahir Elci aveva convocato le telecamere, annodato la cravatta verde e cominciato a parlare proprio lì: vicino ai muri bucherellati nel quartiere della Grande Moschea. Un luogo simbolico. Dove Erdogan era venuto solo due anni fa a promettere latte&miele, «carceri vuote e montagne pacificate». Dove da quattro mesi è saltata ogni tregua e ora ci sono quelle colonne come un gruviera, sangue&piombo. «Chiediamo che da quest’area rimangano fuori la guerra, i combattimenti, le armi, le operazioni militari…», aveva appena finito di dire Elci, 49 anni, leader degli avvocati curdi, applaudito da una quarantina di sostenitori. Da una macchina a un centinaio di metri, hanno cominciato a sparare in due. Qualcuno, dietro il minareto, ha visto anche un cecchino barbuto. La polizia ha risposto al fuoco, una sparatoria lunga. Finché gli assalitori non sono fuggiti e non si sono soccorsi i feriti, dieci, e raccolti i cadaveri, tre: due poliziotti e l’avvocato, centrato ad un occhio. Le ultime immagini della vita di Elci, riprese nella concitazione, spiegano meglio delle interpretazioni sulla sua morte: s’intravvede un uomo che corre verso di lui. Ma per Erdogan «questo è un incidente — lo definisce così — che dimostra quanto sia nel giusto la Turchia, nella lotta determinata contro il terrorismo». E per smentire il suo vice Kurtulmus, a cui scappa d’ammettere il «brutale omicidio», è il premier Davutoglu a dire chiaro che l’attacco era alla polizia, che potrebbe essere stato un proiettile vagante: «Ci sono due possibilità. E una sola è l’omicidio». Ma quale incidente, gli risponde il partito curdo Hdp, questo è «un omicidio premeditato», ennesima intimidazione d’Erdogan: in diverse città e specialmente a Istanbul, a migliaia sono scesi subito in piazza — slogan: «Spalla a spalla contro il fascismo!» —, dispersi sul viale Istiklal da idranti e lacrimogeni. C’era più d’un motivo per eliminare Elci: nell’ultimo mese, contro di lui s’era scatenata una campagna governativa per un’intervista alla Cnn turca in cui aveva definito il Pkk curdo (fuorilegge) «non un gruppo terroristico, ma un’organizzazione armata con grande seguito». Frase imprudente. Il Pkk ha fatto 40 mila morti, da pochi mesi è finita la fragile tregua con Erdogan, facile trovare qualcuno che volesse fargliela pagare: Elci, arrestato per 24 ore, era in attesa del processo e rischiava sette anni per «propaganda terroristica». Dei due fronti, quello curdo sembra premere a Erdogan sempre più di quello Isis. E se non si coprisse con l’ambiguo impegno a combattere lo Stato Islamico in Siria — su cui «le domande e i dubbi sono tantissimi», dice il ministro degli Esteri russo, Lavrov —, il Sultano difficilmente riuscirebbe a condurre la guerra a bassa tensione che da qualche mese ha riaperto col Pkk e con le opposizioni. La questione del jet abbattuto non placa Putin, che impone altre sanzioni e ora vieta anche di dare lavoro ai turchi in Russia, ma Erdogan vorrebbe chiudere rapido: «Sono veramente rattristato — si sforza di dire — vorremmo tutti che non fosse mai successo e spero non succeda più». Non si scusa, sia chiaro. E anche sul giro di vite interno non accetta interferenze, né che si vada oltre il generico «scioccante» con cui gli Usa condannano l’assassinio Elci. «Non insabbieremo l’inchiesta», promette Davutoglu. Una settimana fa, mentre guidava a Diyarkabir, al leader curdo Demirtas è andato in frantumi il lunotto dell’auto blindata. L’inchiesta è stata veloce: niente attentato, era solo un sasso vagante.
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