Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/11/2015, a pag.6, con il titolo " Cosa fanno i Paesi in Siria" l'analisi di Guido Olimpio.
Guido Olimpio
WASHINGTON - Una coalizione dove il collante è diluito in troppi interessi. Dispositivi militari che non usano le medesime regole di ingaggio. Gli americani danno la caccia all’Isis senza guardare ai confini e ora hanno al loro seguito la Francia mentre altri Paesi non ne vogliono sapere, preferendo agire solo in Iraq o perfino non sganciare neppure un petardo. Più decisi, nel segno di Vladimir Putin, i russi ma anche loro con un grande «ma»: l’avversario, etichetta che include anche alcuni amici dell’Occidente. Un grande errore accomunare tutti nel campo jihadista, perché si rischia di regalare migliaia di uomini allo Stato Islamico. La lezione è amara. Non c’è la coesione necessaria e gli obiettivi di ogni singolo Stato finiscono per prevalere o perfino per ostacolare la missione per fermare un nemico ben più compatto e che non conosce alcun tipo di regola. I confini per noi contano, però non bloccano gli attentatori. Ai problemi militari si uniscono quelli più politici. Possiamo anche rilanciare una grande offensiva però se non si ha in mente il dopo (fattibile) sarà tutto inutile. Superficiale pensare che lo Stato Islamico sia soltanto un apparato guerrigliero-terrorista. Insieme al suo lato feroce, il movimento è parte di realtà nate ben prima del Califfo.
Ecco lo scenario:
Stati Uniti
Gli Usa hanno scelto la strategia del contenimento dell’Isis pur dichiarando di voler infliggere danni pesanti. Si sono affidati all’aviazione conducendo 6500 degli oltre 8 mila raid della coalizione. Attacchi condotti sia in Iraq che in Siria. Molti quelli affidati ai droni per eliminare figure di primo piano dell’Isis. Insieme alle incursioni hanno impiegato forze speciali per aiutare i curdi, da Kobane al settore di Raqqa. Oltre 4500 i soldati impiegati per affiancare l’esercito iracheno. Obama resta contrario all’impegno massiccio di reparti terrestri. La Cia e il Pentagono hanno addestrato nuclei di insorti siriani in basi nei Paesi arabi. Il programma gestito dagli 007 ha avuto risultati positivi, disastroso il piano dei militari: i guerriglieri si sono sfaldati prima di cominciare.
Francia
La Francia ha iniziato bombardando in Iraq e ha poi esteso la propria attività al teatro siriano. Le missioni hanno avuto come target i jihadisti dell’Isis, gli impianti petroliferi e nuclei di militanti francesi. Di recente ha schierato la portaerei Charles De Gaulle davanti alle coste siriane per incrementare il potenziale offensivo. Punta ad allargare la cooperazione con il Cremlino nel campo dell’intelligence ma anche nello spazio aereo. Un raccordo necessario per evitare incidenti. Da sempre l’Eliseo è per la fine del potere degli Assad, posizione che però si ammorbidita, nel senso che Parigi non ha più fretta. Interessante che il ministro degli Esteri Fabius non abbia escluso che anche l’esercito siriano sia associato nel patto anti Isis. Difficile che accada, ma è un segnale.
Russia
La Russia ha lanciato una campagna aerea massiccia che ha avuto come obiettivo le formazioni ribelli sostenute da Stati Uniti, turchi, sauditi e Qatar. Solo in una seconda fase ha preso di mira l’Isis. Il suo obiettivo primario resta la difesa del regime di Assad (non tanto della persona) unita al mantenimento dell’unico vero approdo a sua disposizione, il porto siriano di Tartus. Limitato il ricorso alla fanteria. La presenza sta tuttavia crescendo progressivamente per esigenze nate sul terreno (gli insorti si sono rivelati un avversario tenace) e anche per aumentare il dispositivo nella regione. Mosse che vanno ben oltre il destino del dittatore. I missili S 400 appena schierati ne sono l’esempio: uno scudo anti-aereo robusto e sofisticato che può impensierire chi usa l’aviazione nel quadrante
Arabia Saudita
I Paesi del Golfo Persico, Arabia Saudita in testa, hanno combinato poco. I loro moderni jet hanno volato solo all’inizio della campagna, poi si sono sfilati preferendo dedicarsi alla guerra nello Yemen contro le milizie sciite Houti. Noti i rapporti di associazioni e privati con movimenti radicali, compreso l’Isis. Una filiera che ha portato alcune decine di milioni di dollari nelle casse degli estremisti. Sono i grandi armieri di numerose brigate della ribellione, unità che hanno ricevuto anche i missili Tow rivelatisi importanti per rallentare l’offensiva russa. In parallelo a questo ruolo — evidente — si muove l’intelligence. I loro grandi nemici sono la Siria di Assad, l’Iran degli ayatollah e chiunque li fiancheggi. In questo trovano facile sponda negli Stati Uniti.
Turchia
La Turchia, membro Nato, ha priorità diverse: il nemico principale restano i curdi del Pkk, le cui basi sono state colpite a ripetizione. Pochi (e simbolici) gli interventi contro il Califfo. Ankara finanzia e arma diverse formazioni ribelli siriane ed è accusata di fare affari con l’Isis malgrado i terroristi abbiano compiuto almeno due stragi. Per l’intelligence occidentale le autorità non hanno agito con determinazione per bloccare il passaggio di volontari islamisti. Sulla Siria è allineata con le petro-monarchie del Golfo: Assad deve lasciare il potere. I turchi chiedono la creazione di una zona di sicurezza nella parte nord per proteggere gli insorti e impedire la continuità dell’enclave curde. Posizione che con l’abbattimento del Sukhoi l’ha messa in rotta di collisione coi russi.
Gran Bretagna
La Gran Bretagna ha limitato, per ora, il suo intervento all’Iraq usando la base di Akrotiri, a Cipro. Il premier Cameron vuole usare i caccia anche sul fronte siriano, ma ha bisogno del voto del Parlamento. Come gli Usa, la Raf ha fatto ricorso ai droni. Intensa l’attività di spionaggio anti-terrorismo e il ricorso a possibili assetti riservati, ossia unità d’elite. Più volte sono stati segnalati i commandos Sas in sostegno ai combattenti curdi. Come altri Paesi occidentali è in favore della partenza di Assad. L’impegno britannico è legato, non solo alle necessità militari della coalizione, ma anche alla marcata presenza di militanti d’origine inglese — caso famoso quello del boia Jihadi John — e dal timore di attentati dentro i confini nazionali. Una minaccia ritenuta concreta.
Italia
L’ Italia ha messo a disposizione 4 cacciabombardieri Tornado per l’attività di ricognizione, un intervento limitato all’Iraq. Stesso ruolo per un drone. Inoltre un rifornitore ha garantito supporto ai caccia per i bombardamenti. Nostri militari stanno seguendo il training di reclute irachene e di peshmerga nel Kurdistan. Un contingente di 750 uomini che in futuro potrebbe partecipare ai combattimenti. Il governo ha escluso, per ora, che i nostri velivoli bombardino le posizioni Isis. Simile la posizione di Berlino che, oltre a istruttori e a consistenti invii di armi in Kurdistan, ha messo a disposizione una nave e alcuni Tornado che condurranno solo missioni per la raccolta di dati dell’intelligence e di obiettivi nelle zone dei jihadisti.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, elefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante