Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 17/11/2015, a pag. 3, con il titolo "Retroscena", il commento di Jena (Riccardo Barenghi); dalla REPUBBLICA, a pag. 19, con il titolo "Sbagliato parlare di guerra di religione, sono fanatici e noi siamo impotenti", l'intervista di Orazio La Rocca al cardinale Paul Poupard; dal CORRIERE della SERA, a pag. 29, con il titolo "Se il concetto di umanità cambia tra Parigi e Beirut", il commento di Donatella Di Cesare. Tutti i pezzi sono preceduti da nostri commenti.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Riccardo Barenghi: "Restroscena"
Strano, il commento di Barenghi, visto che anche nel corso degli attentati di Parigi, come in innumerevoli altri casi, gli attentatori islamici hanno fatto una strage al grido "Allah è grande". Sostenere che abbia "votato contro" non tiene conto della realtà: Allah, nella notte di Parigi, è stato il protagonista.
Ecco il commento di Jena (Barenghi):
Riccardo Barenghi
Alla riunione in cui è stata decisa la strage
di Parigi Allah aveva votato contro.
LA REPUBBLICA - Orazio La Rocca: "Sbagliato parlare di guerra di religione, sono fanatici e noi siamo impotenti"
La religione non ha nulla a che fare con gli attentati di Parigi, sostiene il cardinale Paul Poupard, portavoce del Vaticano. L'islam, spiega il porporato, significa pace e amore e ripudia la guerra.
Anche di fronte alle domande di Orazio La Rocca ("Eppure, cardinale, mentre venerdì sera sparavano nei locali parigini i terroristi urlavano «Allah è grande!». Difficile non pensare ad uno scontro di civiltà e di religione"), Poupard non cambia linea. Ancora una volta, in Vaticano vince il politicamente corretto.
Ecco l'intervista:
Il cardinale Paul Poupard
Cardinale Poupard, dietro agli attentati di Parigi c’è davvero una guerra di religione? «No, per carità. È sbagliato parlare di guerre di religione nella tragedia di Parigi, come in altre tragedie simili. Sono massacri senza senso, contro gente inerme, per mano di chi usa la religione in maniera distorta. Sono atti mostruosi per i quali parlare di guerre di religione è fuorviante e pericoloso. Come ricorda il Papa: chi uccide in nome di Dio bestemmia, dice il falso ed agisce in nome di una falsa religione».
Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la cultura, è uno dei tre cardinali francesi della Curia pontificia. Gli altri due sono Jean-Louis Tauran e Roger Etchegaray. A tre giorni dagli attentati è ancora sotto choc, ma di una cosa si dice certo: «Gli aggressori non hanno agito per motivi di religione. Qui la fede non c’entra nulla, siamo di fronte ad una sorta di terza guerra mondiale: lo ha detto più volte il Papa, ma nessuno lo ha ascoltato seriamente».
Eppure, cardinale, mentre venerdì sera sparavano nei locali parigini i terroristi urlavano «Allah è grande!». Difficile non pensare ad uno scontro di civiltà e di religione. «È sbagliato parlare di religione. Quella è falsa religione, che con l’islam non ha nulla a che vedere. E chi inneggiava ad Allah mentre ammazzava gente inerme, inneggiava ad un falso Dio. Ha fatto bene Papa Francesco domenica scorsa a ricordare, nell’incontro con la comunità luterana di Roma, quanto in più occasioni ha detto anche Giovanni Paolo II, e cioè che uccidere in nome di Dio è una mostruosità, un peccato ingiustificabile».
Ma allora, chi può esserci dietro a quei killer che comunque si proclamavano seguaci di un islam estremo e radicale? «Se non sbaglio, parliamo di persone non arrivate da paesi arabi, ma di nativi francesi, nostri connazionali che hanno abbracciato una causa perversa e inumana. È lo stesso scenario che si è verificato in Gran Bretagna, anche lì gli attentatori erano nativi inglesi».
Bisogna quindi avere paura dei figli di seconde e terze generazioni nati nelle comunità di immigrati che si trovano in quasi tutti i Paesi europei, a partire dalla Francia? «Generalizzare è sempre sbagliato. La gran parte degli immigrati è perfettamente integrata in Francia, come in Italia e come in tutti gli altri paesi a forte presenza di comunità straniere. Ma occorre interrogarci su cosa viene messo in testa a quei giovani figli e nipoti di immigrati che non riescono ad integrarsi, che non trovano lavoro e che diventano facile preda di falsi predicatori e di chi fomenta odio e morte nel nome di un falso Dio. Dobbiamo cercare di capire cosa può causare nella mente di questi giovani, che in genere sono fragili e malleabili, tanto odio e tanta voglia di dare la morte ad innocenti, e che vivono nel loro stesso Paese».
Come ci si può difendere da questi pericoli? La Francia ha risposto agli eccidi di Parigi bombardando i centri dell’Is in Siria. «Da uomo di Chiesa dico, come insegna la dottrina e il Santo Padre, che al male della guerra si risponde pregando il Dio della pace. Per il resto, di fronte ad atti che rappresentano la negazione dell’umanità, mi sento impotente ed incapace di dare risposte. Provo lo stesso sentimento di smarrimento espresso una decina d’anni fa dal compianto cardinale Carlo Maria Martini che, ad una domanda su come difenderci dai pericoli di attentati di estremisti islamici, rispose con disarmante umana sincerità: “Noi che facciamo tante prediche e innumerevoli sermoni per questi tragici eventi non abbiamo risposte adeguate, siamo come impotenti”. Oggi mi sento come il cardinale Martini».
Subito dopo l’attentato, alcune voci hanno chiesto di rinviare il Giubileo. Il presidente del comitato organizzatore, l’arcivescovo Rino Fisichella, ha escluso che possa essere rinviato. È d’accordo? «Non ho elementi diretti per dare un giudizio in merito. Ma se chi ha competenze sulla materia giubilare ha deciso che nulla cambi, lo avrà certamente fatto a ragion veduta e in piena coscienza. Per il resto preghiamo il Dio della Misericordia».
CORRIERE della SERA - Donatella Di Cesare: "Se il concetto di umanità cambia tra Parigi e Beirut"
Donatella Di Cesare pone sullo stesso piano le vittime di Parigi e quelle dell'attentato di Beirut di pochi giorni or sono. Dimentica, però, che l'attentato di Beirut è stato una vicenda interna alla guerra tra due gruppi terroristici, lo Stato islamico e Hezbollah. L'attentato si è consumato in un quartiere meridionale di Beirut, all'esterno di una moschea sciita, da sempre roccaforte di Hezbollah. Nel pezzo di oggi, come in quello di ieri, Di Cesare non scrive mai, nemmeno una volta, la parola "islam". Avanti con gli sbianchettamenti, prima Heidegger, ora islam, che messi insieme formano nazi-islamismo. Complimenti !
Ecco il pezzo:
Donatella Di Cesare
«Un attacco all’umanità e ai nostri valori universali». Così Obama ha commentato l’attentato di Parigi. Ma le sue parole sono stata aspramente criticate in un articolo del New York Times molto cliccato nei social media. Non sono forse esseri umani quelli sterminati qualche giorno prima nella strage di Beirut? E che dire delle tante stragi che trovano spazio marginale nei media? Viene da pensare che ci siano ranghi diversi di umanità. Quel concetto, che prometteva di essere universale, sembra disgregarsi. I corpi mutilati, che un’impietosa telecamera ci mostra sul selciato di Beirut, o per le vie di una sconosciuta città della Siria, non ci inquietano come i feriti e i morti intravisti nel buio della notte di Parigi. Per giustificarci potremmo dire che dove riconosciamo un volto, l’umanità ferita suscita in noi compassione e sdegno. In quelle strade di Parigi avremmo potuto trovarci anche noi; ci immaginiamo al posto dell’altro, vittima inerme. E l’immaginazione diventa la spinta per l’etica. Se invece l’umanità ci appare lontana, anonima, senza volto, il nostro sentire si inceppa. Diventiamo quasi analfabeti emotivi, mentre quelle persone scadono a non-persone. Ecco perché è così importante il ruolo dei media. Tuttavia dobbiamo ammettere che continuiamo a dividere l’umanità per ranghi (non sta forse qui la fonte del razzismo?) e che anche dove razionalmente riconduciamo gli essere umani a un concetto universale, riguardiamo l’«umanità» di quegli «estranei» come se fosse diversa dalla nostra, non dello stesso rango. L’umanità, così spesso invocata nel discorso pubblico, si rivela un concetto troppo astratto, quasi vuoto, che richiede di essere ripensato. A partire dal volto di ciascuno.
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