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La Repubblica Rassegna Stampa
17.11.2015 L'Italia scarcerò l'imam che indottrinava i futuri kamikaze
Commento di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci

Testata: La Repubblica
Data: 17 novembre 2015
Pagina: 9
Autore: Giuliano Foschini; Fabio Tonacci
Titolo: «L'Italia scarcerò il predicatore che indottrinava i futuri kamikaze»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/11/2015, a pag. 9, con il titolo "L'Italia scarcerò il predicatore che indottrinava i futuri kamikaze", il commento di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci.

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Fabio Tonacci, Giuliano Foschini

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L'imam Bassam Ayachi, darebbe torto a Lombroso...

L’Italia aveva preso l’uomo che ha allevato tutta la “generazione jihad” di Molenbeek. L’imam fondamentalista Bassam Ayachi. Lo aveva arrestato e condannato per terrorismo. Lo aveva sentito, in carcere, parlare di progetti di attentato stragista a Parigi. Ma poi, nel 2012, l’Italia lo ha – inspiegabilmente - rimesso in libertà. Quel che segue è la storia di una vicenda giudiziaria che sta mettendo in imbarazzo, e non poco, il nostro Paese. Il cui esito imprevedibile, la liberazione di Bassam Ayachi e il suo conseguente ritorno a Molembeek prima di imbracciare il kalashnikov in Siria, potrebbe aver avuto un peso sull’indottrinamento del belga Abdelhamid Abaaoud, il mastermind delle stragi del Venerdì 13.

Quando viene arrestato nel porto di Bari, l’11 novembre 2008, Bassam Ayachi (allora 62enne, oggi ha quasi 70 anni) si trova a bordo di un camper, in compagnia dell’ingegnere belga Raphael Gendrom, tre siriani e un palestinese. L’accusa per lui e Gendron è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma un controllo nei database della Polizia di Frontiera rende subito chiaro agli investigatori che Bassam Ayachi non è un uomo qualunque. Figura come responsabile religioso del Belgian Islamic Centre Assabuyle (Ciba) di rue di Manchester 18, a Molembeek. Non solo. Ayachi, siriano con passaporto francese, è lo zio del terrorista tunisino Somrathi Fathi (deceduto in un attentato suicida) e nel 1997 era stato fermato a Bruxelles per traffico di documenti falsificati in sostegno dei combattenti jihadisti in Bosnia. Una “carriera” che lo rende una celebrità, a Molembeek, e punto di riferimento per tutti i giovani musulmani con aspirazioni di Guerra Santa.

Sul camper vengono rinvenuti una pendrive con i testi dei predicatori di Al Qaeda, il testamento di un giovane martire di 24 anni e altro materiale di propaganda islamista. Nel carcere di Bari, le cimici intercettano Gendrom e Ayachi fare riferimenti a un possibile attentato all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. «Non preoccuparti – diceva Gendrom – c’è l’altro lì, dove sono stato, lui ci ha offerto una tonnellata di granate a cinque euro l’una». L’accusa per i due, da immigrazione clandestina, viene trasformata dai sostituti procuratori Francesca Pirrelli e Roberto Rossi in terrorismo internazionale. E il 4 giugno 2011 la Corte d’Assise di Bari li condanna entrambi a 8 anni di carcere, per aver messo in piedi un’associazione legata ad Al Qaeda che puntava a far esplodere bombe in Italia, Francia, Inghilterra e Belgio, dedita anche all’arruolamento di martiri suicidi da inviare in Iraq e Afghanistan. Dopo un anno, i due tornano in libertà.

In appello, infatti, vengono entrambi assolti con la motivazione che non esistevano prove certe che stessero progettando stragi in Italia. Una questione di territorialità, dunque. Come a dire: in Italia non sono terroristi, se lo sono all’estero non è un nostro problema. Una sentenza di assoluzione che non sta in piedi, tant’è che la Cassazione la annulla «per carenza di motivazione ». Di nuovo il processo torna al secondo grado, di nuovo – ad aprile – Gendrom e Ayachi sono assolti. In aula, il giorno della sentenza, non ci sono. Il “non terrorista” Raphael Gendrom è morto in un combattimento in Siria nell’aprile del 2013. Il “non terrorista” Bassam Ayachi è in Siria, e su Facebook si trovano foto e video di lui che, nonostante l’età, ancora gira e spara con il kalashnikov nelle file di una delle tante sigle nate sulle ceneri di Al Qaeda.

Lo scorso febbraio è rimasto ferito in un attentato dei sostenitori di Al Assad. E le autorità belghe, a giugno, gli hanno negato il permesso di rientrare sul territorio nazionale perché soggetto pericoloso per la pubblica sicurezza. Lo stesso soggetto che l’Italia, nel 2012, ha rimesso in libertà. Prima di andare in Siria, però, l’imam fondamentalista è tornato a Bruxelles, nella sua Malembeek. Per un anno intero ha ripreso i rapporti e i legami con chi frequentava il suo centro, tornando a fare quello che sa fare meglio: indottrinare, spingere i giovani sulla via della jihad, proteggere chi tornava da Siria e Iraq. E, alla luce di quello che è successo a Parigi, l’intelligence belga sta cercando di capire quale è stato il suo coinvolgimento e il suo ruolo nella smantellata cellula terroristica di Verviers, quella di cui Abdelhamid Abaaoud, la mente della stragi di venerdì, era il leader.

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