Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2015, a pag. 18, con il titolo "Con l'Isis gli occidentali sono spietati solo a parole e non hanno le idee chiare sul destino della Siria", l'intervista di Federico Fubini a Niall Ferguson, storico e saggista.
Federico Fubini
Niall Ferguson
Niall Ferguson, a 51 anni, professore di storia a Harvard, ha appena pubblicato una biografia di Henry Kissinger: l’«idealista», lo definisce, ma anche un uomo che negli anni 60 e 70 tradì pochi dubbi nell’affrontare una guerra in nome delle sue idee. Anche dopo che si era dimostrata perdente, nel caso del Vietnam. Quaranta anni dopo, Ferguson mette François Hollande in una categoria diversa: «Non ho molta voglia di applaudire il presidente francese quando dice che il suo Paese sarà “spietato” — dice — perché non gli credo».
Hollande ha già intensificato i bombardamenti sui territori dell’Isis. Intende dire che l’Europa paga un prezzo elevato per il suo timore di mandare soldati sul terreno? «La ragione per la quale non credo a Hollande è semplice. Abbiamo già sentito la stessa retorica guerresca negli Stati Uniti e fra gli alleati dell’America dopo l’11 Settembre. Poi che è successo? C’è stato un dispiegamento di truppe in Afghanistan e in Iraq. Nel giro di un anno la situazione ha iniziato a girare nel verso sbagliato ed entro il 2008 l’opinione pubblica su entrambe le sponde dell’Atlantico era stanca dei progetti di “costruzione statuale” in Medio Oriente e in Asia meridionale. Altro che spietati. Abbiamo affrontato questi conflitti con riserve di ogni tipo. Quando siamo stati davvero spietati, nei nostri Paesi si gridava allo scandalo».
Teme che qualcosa del genere possa accadere con l’Isis? «Mi aspetto in pieno la stessa sequenza. È possibile che ci sia un attacco su larga scala della Nato allo Stato Islamico in Siria e in Iraq. Ed è possibile che ci siano forze mandate sul terreno. Ma dove ci porterà tutto questo? In Occidente ci manca la convinzione per portare queste operazioni fino in fondo».
Però non sembra esserci una soluzione militare molto chiara a una minaccia come l’Isis, non trova? «In realtà ci sarebbe, nel senso che lo Stato Islamico militarmente non è molto capace né bene armato. Se gli Stati Uniti usassero fino in fondo le loro forze speciali, supportate dall’aeronautica, potrebbero distruggere l’Isis in qualche settimana. Però ci sarebbero molti danni collaterali, perché l’Isis è annidato nelle città e nei villaggi. E ci troveremmo con un problema politico che l’amministrazione di Barack Obama deve ancora sbrogliare: il futuro della Siria. Carl von Clausewitz, il generale prussiano, insegnava che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Ma in questo caso qual è la politica? E qual è la strategia, riportare Bashar El-Assad pienamente al potere? Dividere la Siria? Nessun potente della Terra ha l’aria di saperlo. Non hanno idea. Ad eccezione di Putin, forse».
C’è chi dice che fra i rifugiati arrivano in Europa potenziali terroristi, e chi sospetta che questo sia esattamente il timore che l’Isis vuole spargere. Che ne pensa? «Sembra possibile che uno degli assassini di venerdì scorso fosse un rifugiato siriano arrivato in Francia dalla Grecia. Non mi sorprenderebbe. Lo Stato Islamico fa viaggiare i suoi verso l’Europa e dall’Europa alla Siria da più di un anno. La crisi dei rifugiati lo rende solo più facile. Naturalmente solo una piccola minoranza di coloro che chiedono asilo sono potenzialmente o già nella realtà dei terroristi. Ma se otto persone ne possono uccidere (almeno) 129, allora i piccoli numeri contano molto».
Nell’ultimo anno è arrivato un milione di rifugiati. «È per questo che i leader europei devono far fronte a una nuova realtà: nelle nostre società ci sono terroristi impegnati a invadere, una sorta di quinta colonna. Diciamo pure “arrivederci” all’epoca dei confini aperti e agli articoli entusiasti su come l’immigrazione può risolvere il deficit demografico dell’Europa».
David Cameron, il premier di Londra, va oltre. Non solo rifiuta Schengen, la libera circolazione delle persone: chiede anche di sospendere il welfare per i migranti europei in Gran Bretagna. «È il quarto punto della sua lettera di punti da rinegoziare in vista del referendum sulla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Può essere una richiesta problematica. Ma visto l’attuale stato dell’Europa e lo sconcerto per quello che ha tutta l’aria di essere un flusso migratorio senza limiti e per il collasso di Schengen, la comprensione nell’opinione pubblica per la posizione di Londra dev’essere maggiore rispetto a un anno fa».
Ma così non si smonta l’Europa, pezzo a pezzo? Dopo Londra, altri Paesi chiederanno eccezioni simili. «L’idea di un’unione sempre più stretta fra Paesi europei non è tale che la Gran Bretagna possa sostenerla. Anzi, mi pare che non sia più un obiettivo sostenibile. Da nessuno. È tempo che l’Europa riconosca che i britannici hanno avuto ragione a non voler entrare nell’Unione monetaria e hanno avuto ragione nel non voler entrare in Schengen, perché nessuno di questi progetti ha funzionato. Abbiamo bisogno di un’Unione meno stretta. Credo che gli eventi stiano facendo apparire la posizione di Cameron meno radicale di come veniva descritta pochi anni fa. È l’eccesso di ambizione nell’integrazione che crea il rischio di disintegrazione».
Una minaccia per l’integrazione europea è Marine Le Pen. Teme che possa vincere le presidenziali del 2017 in Francia? «Fino a quest’anno avrei detto che Marine Le Pen non poteva diventare presidente. Anche prima degli attentati di Parigi ero convinto che al secondo turno, come sempre in passato, destra e sinistra si sarebbero alleate. Non ne sono più così sicuro. Anche prima dell’ultima emergenza terrorismo, la crisi sulle migrazioni può aver già contribuito a spingere il Front national un po’ più in avanti e a farlo sembrare un partito plausibile».
Alcuni grandi investitori pensano che la battaglia per la sopravvivenza dell’euro, prima o poi, si giocherà in un altro Paese: l’Italia. «In realtà credo che per l’Italia la fase pericolosa sia passata. Oggi vediamo non solo l’inizio di una ripresa economica, ma soprattutto il vero inizio delle riforme economiche».
Alcuni in Italia non sono d’accordo con lei. «Matteo Renzi ha dovuto fare prima le riforme costituzionali e istituzionali, per poter avere un governo efficace. L’Italia può andare a posto. Tutti parlano del grande debito pubblico, ma anche quello può scendere se i tassi d’interesse reali (al netto dell’inflazione, ndr ) restano abbastanza bassi».
L’Italia se la caverà anche se, tra quattro anni, arriva un presidente di area tedesca alla Banca centrale europea? «Quattro anni è un periodo realistico per mettere a posto le cose. Con l’impegno di Renzi e il sostegno di Mario Draghi alla Bce, ci sono il potenziale e tutto il tempo necessario per far convergere la competitività dell’Italia verso quella della Germania. Del resto non si possono vedere riforme radicali dell’economia, fino a quando Renzi non ha le necessarie leve del potere. Non criticatelo se prima si sta occupando di più delle misure istituzionali e costituzionali. È il solo modo in cui l’intero processo di trasformazione del Paese possa essere perseguito».
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