Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/11/2015, a pag. 11, con il titolo "Il rabbino capo Arbib alla scuola ebraica: 'Ora state in guardia' ", l'intervista di Andrea Galli al rabbino capo di Milano Alfonso Arbib.
Rav Alfonso Arbib
Nathan Graff
Insieme all’ospedale dov’è ricoverato Graff, uno dei primi luoghi visitati ieri dal rabbino capo di Milano, rav Alfonso Pedatzur Arbib, 57 anni, è stata la scuola ebraica di viale San Gimignano, a pochi metri dal luogo dell’aggressione.
Rabbino capo: il suo arrivo nella scuola, naturalmente, non era programmato. «Lo sa il vero motivo per cui ho voluto andarci?».
Per tranquillizzare gli studenti. «No. O meglio, prima ancora per accertarmi di persona che gli studenti fossero nelle classi. Li ho trovati tutti presenti, e molti erano anche in compagnia dei famigliari. Vede, non era affatto scontato. Spesso in passato, dopo attentati contro un ebreo, e non sto parlando di fatti avvenuti qui in città, i genitori preferivano tenere i figli a casa. Per paura. Per convinzione di proteggere i ragazzi».
Non è forse un comportamento che si può «prevedere», «motivabile»? «Certo. Ma enormemente sbagliato. Che cosa facciamo, ci nascondiamo? Rispondiamo alle violente provocazioni con il terrore? Ho girato per le aule, ho incontrato gli studenti».
Quali sono state le sue parole? «Da un lato li ho invitati a stare in guardia, a tenere gli occhi ben aperti, ad alzare se vogliamo i personali livelli di sicurezza. Dall’altro lato mi sono raccomandato: ci vogliono prudenza, intelligenza e calma nonostante quanto successo; ci vuole una profonda capacità di aprirsi al dialogo. Mai come adesso siamo chiamati a ricordarci di come si vive a Milano».
E come si vive? «Fino a giovedì in grandissima pace».
Ma prima di giovedì sera c’erano stati per caso altri episodi violenti o preoccupanti, che magari sono stati tenuti «nascosti» all’opinione pubblica? «Nessuno, lo garantisco».
E neanche ce ne sono stati negli ultimi mesi? «Mai nulla».
La sua idea sull’agguato? «È l’idea della comunità: un’aggressione antisemita. Nathan è stato colpito perché molto “riconoscibile”. Non le parlo di Milano — spero di non dover parlare di Milano — , ma è indubbio che in generale c’è stata una forte ripresa dell’antisemitismo, da tanti ancora sottovalutata».
Quali elementi in più avete in merito alle indagini? «Il fatto che siamo in stretto contatto con la Questura non significa che stiamo conducendo un’inchiesta. Ci affidiamo alla polizia, con fiducia. Fermo restando che abbiamo una convinzione: l’aggressore ha emulato l’intifada dei coltelli».
Perdoni la domanda: è proprio impensabile prendere in considerazione la pista che porta al «privato» di Graff? «Le rispondo tranquillamente ma poi mi permetta una considerazione. Ci risulta che Nathan sia un uomo perbene, gentile, umile; legato alla famiglia; inserito in comunità; contento del lavoro. Ciò premesso, chi sono io per conoscere a fondo la vita d’una persona escludendo “segreti”?».
E qual è invece la considerazione che ha a cuore? «Si continua a cadere nell’errore di leggere l’antisemitismo come uno scontro tra noi e quelli che vogliono il nostro male. Nient’affatto: non c’è un doppio piano. Esiste soltanto l’antisemitismo come tale».
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