Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/11/2015, a pag. 5, con il titolo "Rouhani sa parlare all'Occidente ma l'Iran è lo stesso di sempre", l'intervista di Daria Gorodisky a Naor Gilon, ambasciatore di Israele in Italia; dalla STAMPA, a pag. 1-7, con il titolo "L'America avverte Roma su Rohani: 'Attenti, sanzioni ancora in vigore' ", il commento di Paolo Mastrolilli.
Ecco gli articoli:
Hassan Rohani
CORRIERE della SERA - Daria Gorodisky: "Rouhani sa parlare all'Occidente ma l'Iran è lo stesso di sempre"
Naor Gilon
Ambasciatore Naor Gilon, il presidente iraniano Hassan Rouhani non ha stigmatizzato il grido «morte a Israele» che tanto spesso riecheggia nelle preghiere islamiche; e ha dichiarato al Corriere che «il popolo iraniano può odiare Israele». «Rouhani ha usato la distinzione artificiosa fra ebrei e sionismo. Una mistificazione che l’ex presidente Napolitano ha più volte definito come nuovo antisemitismo. E papa Francesco ha sostenuto che anche l’attacco deliberato contro lo Stato di Israele è antisemitismo. Infatti, con i media francesi Rouhani è stato ancora più esplicito, ha detto chiaramente che l’Iran non riconosce “la legittimità” dello Stato di Israele. Però non accettare l’esistenza di una Patria per gli ebrei significa anche rifiutare la soluzione due popoli due Stati».
La posizione di Rouhani appare di fatto uguale a quella del suo predecessore, Mahmoud Ahmadinejad. E in sostanza appena ribadita dalla Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei: «Entro i prossimi 25 anni Israele non esisterà più». «Rouhani lo dice in modo più raffinato, sofisticato. Lui e i suoi conoscono l’Occidente, la sua cultura, le sue lingue: sanno come parlare a questa parte di mondo. Ma è un gioco tattico, è pura fiction ».
Molti in Europa e negli Stati Uniti danno credito a questo «nuovo» Iran. «C’è chi crede che, aiutando il “moderato” Rouhani, si evitino politiche più estremistiche. Ma questi “moderati” non esistono. Basta pensare alla questione diritti umani, alle duemila esecuzioni capitali dell’ultimo anno. E poi l’ingerenza sempre più forte dell’Iran in Medio Oriente: in Libano, Siria, Iraq, Arabia Saudita, tentano anche in Israele con Hamas e Hezbollah. L’Iran destabilizza la regione, proprio il contrario dell’obiettivo occidentale».
L’accordo con gli Usa sul nucleare iraniano legittima Teheran come partner economico e, dunque, politico. «Alcuni europei sono caduti nella trappola della ”moderazione iraniana” per motivi economici. Ma l’accordo deve essere ancora implementato, per ora non è operativo. Quindi adesso il punto è questo: se l’Europa, e più in generale l’Occidente, ignorano qualunque principio etico e morale in cambio di vantaggi economici, l’Iran sarà in pratica autorizzato a ogni violazione dell’intesa stessa».
L’Italia è il primo Paese europeo a ricevere il leader iraniano: è deluso? «Ma no, capisco l’Italia. Però domani Rouhani, dopo quell’accordo, arriva da trionfatore. E io mi auguro che tanto qui, quanto nella sua seconda tappa in Francia, ci siano dichiarazioni pubbliche contro le sue affermazioni su Israele».
Che cosa si aspetta ? «Il presidente del Consiglio italiano ha dichiarato che Israele deve esistere e deve resistere. Quindi spero che adesso qualcuno dica pubblicamente che è inaccettabile delegittimare e chiedere la distruzione di un Paese membro dell’Onu, quale è Israele. In luglio, durante una visita in Iran, il ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel non ha avuto problemi a dichiarare apertamente: “La sicurezza di Israele è per noi di grande importanza”».
La Francia ha rifiutato di bandire il vino da quello che sarebbe dovuto essere un pranzo ufficiale con Rouhani, così quell’appuntamento a tavola è saltato… «Rispetto chi, per motivi religiosi, non beve alcool. Però non credo che si possa imporre “io non bevo, quindi non puoi farlo neanche tu”; a maggior ragione quando si è ospiti. Credo che la Francia voglia dimostrare che non si arrende a questo modo di pensare. Spero che sia un messaggio».
Intanto, però, l’Unione europea ha stabilito che le merci prodotte in Giudea, Samaria e Golan vengano etichettate come provenienti dai «territori occupati». Una decisione che arriva proprio quando si moltiplicano le chiamate al boicottaggio contro Israele e i suoi cittadini. «È paradossale: mentre si tolgono le sanzioni all’Iran e Rouhani grida vittoria, l’Europa prende una decisione molto discriminatoria contro l’unica democrazia di tutto il Medio Oriente. Non è stato fatto nulla di simile in altre 200 situazioni di territori contesi: a partire da Cipro del Nord. E l’Europa addirittura paga il Marocco per il diritto a pescare lungo le coste del Sahara occidentale (occupato dal Marocco stesso, ndr ). Questa decisione significa lavorare contro la pace».
In che senso? «Se i palestinesi possono contare sul sostegno internazionale, non avranno più motivo di negoziare. Questo boicottaggio, come qualunque altra sua forma, è uno strumento contro la soluzione dei due Stati. Oltre tutto non è intelligente: non danneggia Israele, che esporta da quelle zone circa l’1% del totale verso l’Europa, bensì la maggior parte delle persone che producono quelle merci e che potrebbero perdere il lavoro. Il 100% del lavoro».
LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "L'America avverte Roma su Rohani: 'Attenti, sanzioni ancora in vigore' "
Paolo Mastrolilli
«Non c’è stato alcun cambiamento nella politica delle sanzioni all’Iran». È questo il messaggio che fonti autorevoli della Casa Bianca affidano a «La Stampa», alla vigilia dell’arrivo in Italia del presidente Rohani, per il suo primo viaggio all’estero dopo l’accordo sul programma nucleare.
L’amministrazione Usa sottolinea che «non esiste una cancellazione incrementale delle misure economiche, prima dell’Implementation Day, in risposta al fatto che la Repubblica islamica compie alcuni dei suoi passi» previsti dall’intesa del luglio corso.
Quindi le fonti della Casa Bianca aggiungono: «Non è prevista una eliminazione delle sanzioni, fino a quando l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica non verificherà che Teheran ha completato tutti i suoi passi, con l’eccezione del limitato alleggerimento delle misure che l’Iran ha ricevuto dal gennaio del 2014, sulla base del Joint Plan of Action», ossia l’intesa preliminare che era stata raggiunta il 24 novembre del 2013, aprendo poi la strada per il negoziato finale. Grazie a questo patto, la Repubblica islamica aveva ricevuto l’eliminazione di sanzioni per 7 miliardi di dollari, in cambio del parziale congelamento del suo programma durante la trattativa. Ma il resto delle misure era e rimane tutto in vigore, fino a quando Teheran non avrà messo in pratica ogni aspetto dell’accordo nucleare.
La precisazione, che viene da un «senior administration official», intende chiarire il contesto della visita di Rohani. In altre parole, con l’Iran la comunità internazionale non è tornata ancora al «business as usual», e quindi non siamo nella fase in cui si possono concludere accordi commerciali o stringere nuove alleanze. Bisogna restare uniti, per spingere la Repubblica islamica a rispettare davvero i patti che ha firmato. Poi, se e quando questo risultato verrà certificato dall’Aiea, si procederà con la cancellazione delle sanzioni rimaste e la normalizzazione dei rapporti economici e politici, per chi vorrà perseguirli.
Mancanza di fiducia
L’amministrazione su questo punto è stata sempre chiara, e ha ripetuto il concetto anche nei briefing preparatori per la recente visita del premier israeliano Netanyahu alla Casa Bianca. L’accordo nucleare non è stato fatto perché gli Stati Uniti si fidano dell’Iran, e pensano che tutti i problemi siano superati, ma per l’esatto contrario. Proprio perché temono che Teheran proceda col riarmo atomico, minacciando la stabilità del Medio Oriente e oltre, hanno siglato l’intesa che serve a frenare questa corsa. La sincerità della Repubblica islamica, però, è ancora tutta da dimostrare, attraverso l’implementazione.
Gli Usa sarebbero felici se l’Iran cambiasse atteggiamento, ad esempio favorendo una soluzione politica alla guerra in Siria, e in generale un accordo per mettere fine alla resa dei conti nella regione fra sciiti e sunniti. Apprezzerebbero molto se Teheran, magari spinta dalle giovani generazioni, scegliesse di assumere un atteggiamento più responsabile sulla scena mondiale, cominciando dalla rinuncia a minacciare Israele. Tutto questo, però, ancora non esiste. Si potrebbe costruire sull’accordo nucleare, ma Washington non ci conta. E il punto di partenza, comunque, resta la compattezza fra gli alleati, nel chiarire all’Iran che il primo passo da compiere per tornare a pieno titolo nella comunità internazionale è rispettare e applicare l’accordo nucleare.
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