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La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
12.11.2015 Etichette antisemite: l'Europa dalla memoria corta vara il boicottaggio dei prodotti israeliani dei territori contesi
Commenti di Maurizio Molinari, Pierluigi Battista, Il Foglio; Fabio Scuto intervista Avi Roeh, presidente del Consiglio delle Amministrazioni Locali della Giudea e Samaria

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Pierluigi Battista - Fabio Scuto
Titolo: «Etichette, ira di Israele sulla Ue: 'Discriminazione anti-ebraica' - Quel marchio europeo che offende Israele - L'Ue è ancora una volta contro Israele - 'Un danno marginale, esportiamo solo alimenti di alta qualità'»

 Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/11/2015, a pag. 13, con il titolo "Etichette, ira di Israele sulla Ue: 'Discriminazione anti-ebraica' ", il commento di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 31, con il titolo "Quel marchio europeo che offende Israele", il commento di Pierluigi Battista; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "L'Ue è ancora una volta contro Israele"; dalla REPUBBLICA, a pag. 15, con il titolo "Un danno marginale, esportiamo solo alimenti di alta qualità", l'intervista di Fabio Scuto a Avi Roeh, presidente del Consiglio delle Amministrazioni Locali della Giudea e Samaria.

Ecco gli articoli:

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LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Etichette, ira di Israele sulla Ue: 'Discriminazione anti-ebraica' "

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Maurizio Molinari

Rabbia negli insediamenti ebraici e soddisfazione fra i palestinesi a Ramallah: le due anime della Cisgiordania reagiscono in maniera opposta alla decisione dell’Unione europea di differenziare le etichette dei prodotti provenienti dai territori conquistati da Israele nella guerra del 1967. «Questo non è un insediamento, ma un’area industriale che dà lavoro e speranza a migliaia arabi ed ebrei discriminarne i prodotti significa ostacolare la pace» afferma Yehuda Cohen, Ceo di Lipski, fabbrica di plastica nel parco industriale di Barkan a ridosso di Ariel, la più grande città ebraica della Cisgiordania.

Export per 50 milioni
Il «Barkan Park» ospita oltre 120 aziende che producono una parte importante dei circa 50 milioni di dollari di prodotti che ogni anno vengono esportati verso l’Ue, su un totale di export israeliano di 13 miliardi di dollari. In forza dei nuovi regolamenti di Bruxelles non avranno più etichette «Made in Israel» ma indicheranno come provenienza «West Bank» o «Golan» con in più la dicitura «insediamenti ebraici» per distinguersi dai prodotti locali arabi che saranno «Made in Palestine».

Per l’Ue è «una decisione tecnica, non politica, che nulla ha a che vedere col boicottaggio» ma Chanan Pasternak, agricoltore dell’insediamento di Netiv Hagdud, la riceve come «la conferma di un boicottaggio Ue iniziato da anni per distruggerci». La reazione del governo di Gerusalemme è aspra. Il premier Benjamin Netanyahu, da Washington, parla di «discriminazione anti-ebraica da parte di un’Europa che deve vergognarsene». Il suo ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, accusa l’Ue di «ipocrisia oltre ogni limite perché tale discriminazione non viene applicata ai prodotti di altri territori occupati come Nord Cipro, Sahara Occidentale e Kashmir». Il ministero degli Esteri convoca l’ambasciatore Ue, Lars Faaborg-Andersen, comunicandogli la «sospensione dei colloqui diplomatici» sulla Cisgiordania ovvero la chiusura a ogni coinvolgimento europeo nella possibile ripresa dei negoziati con i palestinesi.

Israele valuta anche «passi legali» per spingere l’Ue a rivedere la decisione. Ma non tutti negli insediamenti sono d’accordo sulla linea dura. Yair Lerner, produttore del vino «Barkan», che ha dei vigneti sul Golan, prevede: «Le nuove etichette ci faranno vendere di più perché chi ci odia già non ci compra mentre chi ci sostiene sarà più motivato a farlo». Lerner è convinto che «ci si apre il mercato degli evangelici negli Stati Uniti, oltre 80 milioni di consumatori pro-Israele» e vede per tutti i prodotti degli insediamenti «l’opportunità di crescere». Plaude anche Peace Now, il movimento pacifista, ma per motivi politici: «L’Ue colpisce l’occupazione e dunque esprime sostegno a Israele».

Il fronte del boicottaggio
Dalla Muqata, a Ramallah, parla Saeb Erakat, braccio destro del presidente palestinese, che rende omaggio all’Ue per «aver punito i prodotti dei coloni risultato del furto delle nostre terre» ma aggiunge che «non è abbastanza» perché essendo «un risultato di crimini di guerra dovrebbero essere messi al bando e non solo etichettati». Per questo Mahmoud Nawajaa, direttore del movimento palestinese «Boicotta, disinvesti e sanziona» (Bds) parla di «inizio di reazione Ue alle richieste del pubblico» prevedendo l’estensione della «campagna popolare». Come dire: è solo la prima tappa di una battaglia ancora lunga.

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "Quel marchio europeo che offende Israele "

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Pierluigi Battista
 

L’ Unione Europea tace sulle dittature. Non dice una parola, da sempre, sui regimi tirannici con cui intrecciare soddisfacenti rapporti economici. Plaude alle mediazioni, ma mica per spirito di pace, solo per convenienza. Figurarsi se l’Unione Europea, politicamente una nullità nelle grandi questioni che insanguinano il mondo, emette un solo fiato di indignazione, per dire, sui rapporti con la Cina che occupa il Tibet e manda in galera i dissidenti. O sull’Arabia Saudita, con cui si stabiliscono buoni rapporti mentre ancora si pratica la lapidazione delle adultere e si legalizza lo stupro delle bambine che vengono costrette a sposarsi, vendute dalle famiglie. Silenzio assoluto, omertà, come sempre. Poi, quando compare la parola «Israele», l’Unione Europea si risveglia dal suo torpore e decide di marchiare i prodotti dello Stato ebraico sfornati dalle officine e dai capannoni dei territori sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Qui l’Europa, dimentica del passato atroce in cui i negozi degli ebrei venivano perseguitati e le merci degli ebrei confiscate o boicottate, decide di dare una mano alla campagna che i regimi autoritari del Medio Oriente imbastiscono contro l’unica democrazia di quell’area, cioè lo Stato di Israele.

Il fatto che esistano fabbriche israeliane situate (anche) in Cisgiordania dove operano lavoratori palestinesi liberamente assunti e con contratti regolari di lavoro non dovrebbe essere uno scandalo nel mondo globalizzato. Non c’è nessuna ragione economica per «marchiare» dei prodotti. C’è solo una ragione politica: il boicottaggio sistematico di Israele, delle merci israeliane, degli studiosi israeliani (da parte delle Università europee). Esistono nel mondo un’infinità di territori contesi. Ma esiste solo un caso in cui le istituzioni del mondo diventano fiscali: quando c’è di mezzo Israele. È il solito trattamento speciale. La solita tentazione del boicottaggio. La decisione europea scredita l’idea di Europa. Una decisione sconcertante. Sarebbe saggio ritirarla.

IL FOGLIO:  "L'Ue è ancora una volta contro Israele "

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L'Ue contro Israele

Dopo tre anni di esitazioni, la Commissione europea ieri ha ceduto alla lobby anti Israele e ai boicottatori anti- semiti adottando una “nota interpretativa” per imporre l’etichettatura di alcuni prodotti importati nell’Unione europea dagli insediamenti israeliani. Da oggi il “made in Israel” non potrà più essere usato per i prodotti agricoli e i cosmetici che vengono da fuori i confini del 1967: i coltivatori e gli industriali israeliani che operano in Cisgiordania dovranno appiccicare la dicitura “insediamenti” sulle merci vendute nell’Ue. Se non lo faranno, toccherà a supermercati o negozi europei farlo, quando la Commissione ha sufficienti informazioni sulla provenienza.

L’esecutivo comunitario si è difeso spiegando che si tratta di una questione “tecnica”. Ma la mossa ha un profondo significato politico in un’Ue sempre più tentata dalla politica unilaterale del riconoscimento della Palestina. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che l’Ue dovrebbe “vergognarsi” per la “discriminazione” che punisce “la parte che è sotto attacco del terrorismo”. Il Marocco non è costretto a etichettare il pesce “Sahara occidentale”. Il “made in Taiwan” non è stato cancellato dalla politica di “una sola Cina”. Le merci di Cipro nord, occupata dalla Turchia, sono una questione interna per l’Ue. Paradossalmente, le vittime collaterali rischiano di essere i palestinesi. La decisione riguarda uva, datteri, vino, miele, olio d’oliva e cosmetici per un valore di 50 milioni di dollari: una goccia nel mare dei 30 miliardi di dollari di scambi tra Israele e l’Ue, ma una fonte di reddito significativa per i palestinesi che lavorano nelle aziende agricole della Cisgiordania.

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: "Un danno marginale, esportiamo solo alimenti di alta qualità"

Uno Scuto corretto nell'intervista che segue, scorretto nella cronaca che però non riprendiamo, il cui contenuto è simile a quello delle testate che abbiamo segnalato nella pagina delle critiche.

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Fabio Scuto

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Avi Roeh

«Sinceramente credo che questo non sia un problema di nostra competenza, ricade nelle responsabilità del governo israeliano, la cui sovranità viene palesemente violata da questa risoluzione, che non tiene conto della situazione e che è il risultato di considerazioni non pertinenti e totalmente estranee. È una decisione politica e non economica, contro cui continueremo a combattere». Non perde la calma Avi Roeh, presidente del Consiglio delle Amministrazioni Locali della Giudea e Samaria (Yesha Council), il nome biblico della Cisgiordania, nel commentare le decisioni della Ue.

Lei parla di “violazione della sovranità israeliana”, ma i territori della Cisgiordania con l’eccezione di Gerusalemme-est, non sono mai stati ufficialmente annessi da nessun governo israeliano, quindi non fanno parte del territorio sovrano dello Stato di Israele «”De jure” non fanno parte dello Stato d’Israele, ma “de facto” noi abbiamo ricevuto i permessi di costruzione e di impianto dalle nostre imprese dal Ministero dell’Economia del governo israeliano, così come abbiamo ricevuto le infrastrutture ed i sussidi necessari. I capitali che abbiamo portato sono israeliani e noi siamo cittadini israeliani, ci siamo insediati in Giudea e Samaria con l’incoraggiamento e l’accordo dei vari governi israeliani. Quindi, de facto, siamo parte dello Stato d’Israele».

Ci sarà un danno economico da questa decisione europea? «Molto marginale. I nostri prodotti vengono acquistati per la loro alta qualità e per lo stesso motivo continueranno ad essere acquistati. Il consumatore europeo, in definitiva, cerca questa qualità e non si lascia impressionare da questo o quel marchio. Naturalmente, se ci fosse un aumento dei prezzi, gli ordini potrebbero ridursi, ma non credo in un danno economico vero».

In caso di danno economico, ci potrebbero essere ripercussioni sugli operai palestinesi che lavorano nelle vostre fabbriche e nei campi? «Mi auguro proprio di no. Abbiamo 80.000 lavoratori palestinesi nelle nostre imprese, tutte persone che vogliono vivere in pace e guadagnarsi da vivere per mantenere dignitosamente le loro famiglie. Anche l’Autorità Palestinese ha tentato il boicottaggio dei nostri prodotti, senza successo. I nostri operai hanno bisogno di lavorare e l’Autorità palestinese non è in grado di procurare né lavoro e né sostentamento».

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