sabato 02 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
10.11.2015 'Mein Kampf', da gennaio libera la pubblicazione in Germania: prospettive e timori
Analisi di Andrea Affaticati

Testata: Il Foglio
Data: 10 novembre 2015
Pagina: 2
Autore: Andrea Affaticati
Titolo: «Lui sta tornando»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/11/2015, a pag. 2, con il titolo "Lui sta tornando", l'analisi di Andrea Affaticati.

Se "Mein Kampf" verrà pubblicato con una prefazione accurata, potrà essere uno strumento utile alla conoscenza di quello che sarebbe stato il nazismo. Ricordiamo che David Ben Gurion lo lesse quando il libro uscì in Germania nel 1925, e capì la tragedia che stava per abbattersi sugli ebrei europei. Per questo  incontrò le comunità ebraiche in Europa (era a capo dell'Agenzia Ebraica) per convincere gli ebrei a emigrare nella Palestina mandataria. Chi gli diede fiducia si salvò, come avvenne per la maggior parte dei portuali ebrei  di Salonicco. La maggior parte di quelli che decisero di rimanere venne uccisa.
Va però detto che edizioni clandestine sono sempre circolate in Italia, in vendita sottobanco.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Una edizione tedesca di "Mein Kampf"

Lui è tornato” e c’è il rischio che stracci di nuova la concorrenza. A suo tempo aveva venduto più di 12 milioni di copie. Il 31 dicembre di quest’anno scadono i diritti d’autore di “Mein Kampf”, il libro manifesto dell’ideologia nazista. Adolf Hitler l’aveva scritto durante il soggiorno forzato a Landsberg, dopo il fallito putsch di Monaco dell’8 novembre 1923. Particolarmente preoccupato si mostra il ministero delle Finanze bavarese, titolare dei diritti. Fino alla fine di quest’anno la riedizione era vietata (non però la circolazione delle copie pubblicate prima del 1945). Tra meno di due mesi, invece, chiunque potrà ristamparlo. E il momento non poteva essere più delicato. Con l’arrivo in massa dei profughi gli attacchi di gruppi neonazisti ai centri di accoglienza si sono moltiplicati. E poi c’è Pegida, il movimento dei “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, il cui numero di simpatizzanti continua a crescere. “Tutti temono l’esplosività delle tesi contenute nel libro, anche se, a parte rare eccezioni, nessuno oggi l’ha letto” scrive Sven Felix Kellerhoff, autore di “Mein Kampf – Die Karriere eines deutschen Buches” (La carriera di un libro tedesco, Klett-Cotta Vlg.), appena pubblicato.

“Chi si interessa di storia potrebbe al massimo descriverlo con un insieme sconclusionato di considerazioni autobiografiche, di pregiudizi antisemiti e di messaggi d’odio. Ma è troppo poco per poter valutare oggi quanto questo libro, a 70 anni dal suicidio del suo autore, possa ancora conquistare gli animi”. Certo, scrive Kellerhoff, dando così ragione a molti storici, tenerlo sotto chiave non ha fatto altro che conferirgli un’importanza malsana. La prima metà del libro di Kellerhof è una ricostruzione dei contenuti e del divenire di “Mein Kampf”. Subito all’inizio viene smentita la leggenda che il libro sia stato scritto da Rudolf Heß, ai tempi ancora segretario personale del Führer. Non è così. L’autore è Hitler come attestano documenti recentemente ritrovati. Particolarmente meticoloso risulta poi il lavoro di smascheramento delle “bugie” di Hitler. Tra queste quelle sulle sue umili origini e sul padre descritto come un oppositore della monarchia austroungarica. Ma il padre era un funzionario doganale, ripetutamente promosso per i suoi servigi e la sua lealtà. Hitler, inoltre, detestava “l’ossessione per l’oggettività” tipica della borghesia tedesca, lui preferiva fare proprie tesi altrui, senza citare la fonte. Ne è un esempio la definizione di “Lebensraum”, che non aveva coniato lui, ma un professore di Heß; e anche le tesi sulla purezza della razza sono in gran parte copiate di sana pianta dal famigerato volume “I principi dell’ereditarietà e della igiene della razza” di Baur, Fischer, Lenz.

Uniche due eccezioni, l’assai ammirato Schopenhauer di cui cita dal “Dialogo sulla religione” la frase che “gli ebrei sono i più grandi maestri della bugia” e “I protocolli dei Savi di Zion”. Ma è soprattutto a partire dalla seconda metà che il libro di Kellerhoff si fa intrigante. Quando racconta del flop iniziale del libro, nonostante l’editore Eher Verlag, avesse fatto un grande battage pubblicitario. All’uscita del prima volume, il 18 luglio del 1925, l’interesse della stampa era stato piuttosto tiepido. Non solo. Gli attacchi più duri erano arrivati dai giornali dichiaratamente di destra e antisemiti. Il Völkischer Beobachter, megafono del Partito dei contadini, si era addirittura permesso di storpiare il titolo in “Mein Krampf” (mio crampo). Lo stesso flop si registra per le vendite, e solo le elezioni del 1929, che videro un significativo balzo in avanti del partito nazista, indussero i tedeschi a comperarlo in massa.

In pochi se ne preoccuparono
Non si sa se per pigrizia o per arroganza, sta di fatto che Hitler non aveva mai più voluto rivedere il testo. Eccezion fatta per un punto. Nella prima versione si leggeva che “il capo del partito veniva sempre eletto e in questo modo investito del potere assoluto”. Nelle copie stampate a partire dal 1930 la frase era stata cambiata in: “Il Führer viene sempre nominato dall’alto e investito al contempo di potere assoluto”. Invariata era rimasto invece questo passaggio: “Un’autorità statale fine a se stessa non può esistere, perché se così fosse ogni tipo di tirannia sarebbe inattaccabile. Se per mezzo del potere di stato un popolo rischia l’annientamento, la ribellione da parte di ogni suo componente non è solo un diritto, ma anche un dovere”. Come scrive Kellerhoff: “Mai definizione fu più inequivocabile riguardo al diritto di resistenza”.

Le cancellerie occidentali non diedero grande importanza a “Mein Kampf” (nonostante alcuni ambasciatori a Berlino, tra cui il britannico Horace Rumbold e il francese André François-Poncet ne avessero sottolineato la pericolosità, soprattutto per il dichiarato antisemitismo, “la vera chiave di volta della politica del Führer” così scrivevano nei loro dispacci). L’unico ad averlo studiarlo attentamente fu Stalin. Tornando ai diritti in scadenza. L’anno prossimo uscirà un’edizione commentata, curata dall’Istituto di studi storici di Monaco. La Baviera inizialmente aveva assicurato un suo contributo per la realizzazione di questo lavoro che conterà 2.000 pagine (a fronte delle 800 che compongono l’originale). Poi però il governatore si è rimangiato la promessa, il Land non poteva finanziare la pubblicazione di un simile libro. Ora c’è solo da aspettare e vedere se la cosiddetta “bibbia del nazismo” diventerà il bestseller del 2016.

Per inviare la propria opinione al Foglio, telefonare 06/589090, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT