Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/11/2015, a pag.13, con il titolo " C'è una città in Francia dove la Sharia è legge ", la cronaca di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
A un anno di distanza dalla rivelazione della partenza per la Siria di un gruppo di venti giovani musulmani, il settimanale Valeurs Actuelles è tomato a Lunel, la "Ragga francese", riferendosi alla capitale del Califfato. Per denunciare il silenzio dell'esecutivo socialista dinanzi a una città che oggi pare senza speranze, dove i "barbus", gli islamisti che passeggiano per le strade in djellaba, fanno regnare il terrore, e i francesi autoctoni sono costretti a nascondersi e ad accettare le nuovi le 1 . «Lunel nelle mani dello Stato Islamico»: questa è la sentenza del reportage nel cuore del jihad à la française, in un Comune dove 6.000 abitanti su 25.000 sono di confessione musulmana, e i musulmani "moderati" non sono tollerati nella moschea cittadina, la mosquée El-Baraka. L'imam Elhaj Benasseur, considerato troppo liberale dai fanatici favorevoli al jihad, è stato costretto, sotto il peso delle minacce, a fuggire. Il presidente dell'Union des musulmans di Lunel, Rachid Belhaj, anch'egli considerato troppo moderato, ha deciso di rassegnare le dimissioni perché temeva per la propria vita. Prima di lui c'era Laouchine Goumri, apprezzato dagli attuali frequentatori della moschea cittadina, dove ritoma abitualmente per sobillare i più radicali. I canti coranici risuonano quotidianamente nei cortili di molti immobili tra le dieci di sera e mezzanotte, e gli alimentari gestiti da musulmani dominano il paesaggio cittadino. "Loulou", proprietario dell'ultima macelleria tradizionale della città a fronte di una decina di macellerie halal, si ricorda bene dell'inizio della "soumission". Risale ai primi anni duemila, quando il sindaco socialista Claude Barral, «su richiesta delle famiglie musulmane», gli impose di cancellare dalla vetrina della sua macelleria i maiali che la decoravano. Prima la sharia e solo poi la République, insomma. Ma "Loulou" non aveva accettato in silenzio. E per protestare si era messo a «vendere delle false salsicce di cannabis, dato che, durante quel periodo, gli spacciatori avevano invaso il quartiere». Oggi, come racconta Valeurs Actuelles, i giovani spacciatori di una volta sono tutti dei fanatici del Corano. Li vedi, dalla mattina alla sera, fare la spola tra la moschea e i ristoranti-kebab che, sorti in ogni angolo della città, ne hanno mutato l'estetica. Si sono convertiti all'islam duro e puro, conoscono a memoria i Quaranta Hadith, i Detti autentici del profeta Maometto, molti dei quali invitano apertamente all'uccisione degli infedeli. Rifiutano il caffè e il thè perché loro bevono solo l'acqua di Zamzam, «l'acqua del profeta, la più pura del mondo, che cura le malattie», come racconta la proprietaria di un bazar entusiasta che il Corano sia un bestseller. Anche Libération, qualche mese fa, ha dedicato uno spe- dale alla capitale francese del jihad: «Da Lunel alla Siria, il jihad tra amici» titolava il quotdiano progressista, facendo notare come la ventina di giovani lunellesi partiti per la Siria a combattere nelle milizie jihadiste fossero cresciuti assieme e avessero condiviso le stesse scuole. Prima il collège, poi il lycée e infine il jihad per combattere i "nemici di Allah". Ma tra questi c'è chi ha scelto di rimanere a Lunel, per far regnare la legge islamica nella Francia profonda. Come Karim Yahiaoui, fattorino 40enne, soprannominato dai suoi amici il "Pierre Richard del jihadismo". Con loro andava in palestra, condivideva la preghiera alla moschea e alla sera giocava a calcio in una squadra locale conosciuta in città come l'Us Barbus. Poi, lo scorso settembre, il tribunale correzionale di Montpellier lo ha condannato a diciotto mesi di carcere, dopo che l'intelligence francese, sbirciando nel suo computer, aveva trovato alcune sue foto di un recente viaggio in Thailandia, mentre impugna un kalashnikov, e il video di una decapitazione. Ma c'è di più: il presidente Hollande ha recentemente siglato un accordo con re Mohammed VI, affinché cinquanta imam *** che parlano perfettamente francese e si sono formati a Rabat vengano a officiare in quelle zone della République di non-diritto dove i salafiti hanno preso il controllo. Peccato però che re Mohammed VI abbia deciso di tenere i suoi imam a debita distanza da Lunel. Troppo pericoloso anche per loro. «Da noi questi agitatori sarebbero in prigione», commenta un membro dell'intelligence marocchina. E invece nella Francia socialista di Hollande, come i loro omologhi siriani, gli islamisti francesi raggiungono la moschea in 4x4, vestiti in djellaba. Sono loro i padroni, hanno loro le chiavi della città. Manca soltanto il kalashnikov.
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