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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.10.2015 Egitto: l'ascesa del leader copto Sawiris, al Aswani critica al Sisi ma si dimentica dei Fratelli musulmani
Commento e intervista di Lorenzo Cremonesi a Ala al Aswani

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 ottobre 2015
Pagina: 19
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «L'ascesa di Sawiris: è suo il partito più grande d'Egitto - 'Non ho votato perché è inutile, Sisi vuole un Parlamento di servi'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/10/2015, a pag. 19, con i titoli "L'ascesa di Sawiris: è suo il partito più grande d'Egitto" e "Non ho votato perché è inutile, Sisi vuole un Parlamento di servi", commento e intervista di Lorenzo Cremonesi allo scrittore Ala al Aswani, preceduta dal nostro commento.

Ecco gli articoli:

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Lorenzo Cremonesi

"L'ascesa di Sawiris: è suo il partito più grande d'Egitto"

Pazienza se solo il 26 per cento degli elettori ha votato alla prima tornata. Non importa se l’opposizione islamica è bandita quasi in toto. E se le nuove leggi sulla stampa volute dal presidente ed ex generale Abd el Fattah al Sisi imbavagliano i giornalisti. Il terzo uomo più ricco dell’Egitto potrebbe presto trovarsi a controllare il gruppo parlamentare più numeroso. È guidato dalla speranza di costruire un Paese «libero e democratico», eppure difende la sua scelta di rispettare le regole imposte dal presidente. «Abbiamo battuto i fascisti religiosi. Anche i salafiti estremisti del partito Al Nour hanno ricevuto pochi voti», dice soddisfatto Naguib Sawiris, 61 anni, figlio di un’antica famiglia imprenditoriale copta del Cairo.

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Naguib Sawiris

Negli ultimi giorni ha rilasciato diverse interviste alla stampa per commentare i risultati più che soddisfacenti del «Partito degli Egiziani Liberi», che lui fondò assieme ad altri cinquemila attivisti legati al vecchio regime di Hosni Mubarak, però pronti a cercare una «terza via» tra Fratelli Musulmani e militari revanscisti. Realista, pragmatico navigato, ma anche innovatore teso al cambiamento, in Sawiris si ritrova una sintesi tra vecchio e nuovo Egitto. Proprietario del gigante delle telecomunicazioni OrascomTelecom, di catene televisive locali e della francese Euronews, oltre che di Al Masri Al Youm , uno dei maggiori quotidiani del Cairo, non se l’è presa troppo contro le leggi liberticide sulla stampa.

Allo stesso tempo non ha però esitato a difendere i tre giornalisti di Al Jazeera incarcerati come spie al servizio degli estremisti islamici e solo dopo una lunga carcerazione «perdonati» dal presidente. Ora 227 candidati del suo partito sono in lizza per i 448 seggi assegnati per le liste individuali (il 75 per cento del parlamento). Altri 9 concorrono invece come lista di partito sui 120 contemplati dalla nuova legge elettorale voluta da Sisi per frantumare qualsiasi tipo di opposizione organizzata. Tanti dei suoi provengono dal Partito Democratico Nazionale, la formazione di Mubarak messa fuori legge nel 2011. Così lui si spiega: «So che tanti giovani non vanno alle urne perché vedono il ritorno del vecchio regime. Ma non è facile trovare altri candidati all’altezza, così sui due piedi. Quelli che abbiamo scelto noi comunque non sono corrotti».

 "Non ho votato perché è inutile, Sisi vuole un Parlamento di servi"

Il famoso storyteller della società egiziana ci sembra eccessivamente ostile al governo di Al Sisi. Ala al Aswani, infatti, ben sa che l'alternativa a questo governo è il dominio islamista della Fratellanza musulmana. Lui, laico, che cosa si aspetterebbe da un governo dei Fratelli musulmani, se non l'asservimento dell'intera società egiziana?
E' vero che la democrazia in Egitto non c'è, ma lamentarsi semplicemente di questo governo non è la via giusta per un cambiamento positivo. Chi ha provato a esportare democrazia nel mondo arabo è stato bacchettato dalla cultura ufficiale delle democrazie occidentali: "Non si può imporre la democrazia ai musulmani", era il coro unanime.
Al Aswani si metta il cuore in pace, l'unica soluzione per non essere un "servo" in regime islamico è l'emigrazione.

Ecco l'intervista:

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Ala al Aswani

«Un Paese senza democrazia è come un’automobile priva di specchietto retrovisore. A prima vista pare possa viaggiare, andare veloce. Ma presto ci si accorge che non manovra con efficienza. Difficile distinguere il traffico dietro e attorno. Prima o poi arriva inevitabile l’incidente. Lo stesso sta capitando con il presidente Abd el Fattah al Sisi: all’inizio è stato popolare per il suo impegno contro l’oscurantismo dei Fratelli Musulmani, però ha rapidamente perso il senso delle proporzioni, si è illuso di poter governare da dittatore senza tener conto delle critiche e delle opposizioni, non si è accorto che l’Egitto vuole altro, la rivoluzione del 2011 ha prodotto una generazione molto più consapevole dei suoi diritti della precedente». Il 57enne dentista-scrittore Ala al Aswani risponde al telefono dal suo ambulatorio al Cairo, dove ha appena curato un paziente.

Il suo ultimo romanzo, Cairo Automobile Club , è stato tradotto in tutto il mondo e i suoi articoli sul New York Times sono imprescindibili per chiunque voglia capire cosa stia avvenendo agli artefici delle «primavere arabe».

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Sostenitori dei Fratelli musulmani in Egitto

L’Egitto sta votando per il rinnovo del Parlamento. Ma l’affluenza alle urne pare irrisoria. Lei ha votato? «Assolutamente no e non voterò. Non serve. Sisi ha messo al bando qualsiasi forma di opposizione. Non sono ammesse critiche. Ho tanti amici in cella. Si mira a costruire un parlamento di servi. Ovvio che la gente non vota. Il regime ha come cancellato, svuotato le elezioni di significato».

Lei è stato censurato? «Mi è stato vietato di scrivere sui giornali egiziani. Non posso apparire alla televisione. Nel 2011-12 venivo continuamente chiamato per commentare la situazione. Non che ci tenga, ma è indicativo del nuovo corso. Ormai la repressione è molto più grave che ai tempi di Mubarak».

Nei suoi ultimi scritti fa accenni ripetuti all’era finale della monarchia di re Faruk, oltre 60 anni fa, prima del golpe militare nasseriano. Ora ha altri riferimenti? «Certo, oggi penso alla metà degli anni Cinquanta, quando l’allora popolarissimo generale Nasser si trasformò in dittatore. Ho ambientato Cairo Automobile Club nel periodo della decadenza di Faruk, mi ricorda da vicino gli ultimi anni di Mubarak. Ora sto scrivendo un romanzo sulla rivoluzione del 2011, eppure i riferimenti a Nasser sono continui. Sisi commette gli stessi eccessi: un militare amato, che si fa prendere la mano e in nome della lotta al fondamentalismo islamico crea lo Stato totalitario».

Due anni fa tanti egiziani laici si schierarono contro gli abusi dei Fratelli Musulmani, la teocrazia imposta con la prevaricazione dal loro presidente Mohamed Morsi. Tanti come lei sostennero che Sisi era l’unica cura possibile. «Non ho certo votato per Morsi. Ho criticato apertamente la sua politica e le scelte illiberali quando era presidente. Subito dopo non mi sono piaciuti i metodi di Sisi. Ma va anche detto che Morsi è stato eletto democraticamente dalla maggioranza del Paese. Sisi ha condotto un colpo di Stato contro lui. Non è accettabile. Anche se detesto i Fratelli Musulmani, non posso negare le loro vittorie elettorali».

Possibile che nel Medio Oriente post primavere arabe l’unica scelta possibile sia tra l’incudine dell’Isis e il martello dello Stato dittatoriale? «Non sarei così negativo. Il processo post-rivoluzionario è sempre lungo e complicato. Ci sono bagni di sangue, fazioni in lotta tra loro, le vecchie classi spodestate che cercano di riprendere ciò che hanno perduto, la Restaurazione. Avvenne in Russia, in Francia. Ma io credo che in Egitto il futuro possa essere molto meglio di quanto si creda».

Come spiega l’Isis? «C’è poco di nuovo, è la ricomparsa ciclica del fanatismo wahabita di origine saudita. Per secoli ci sono state ondate di fondamentalisti sunniti desiderosi di imporre la purezza originaria. Negli ultimi decenni l’Arabia Saudita ha applicato le legge coranica integrale a suon di decapitazioni pubbliche e tagli delle mani per i ladri. Ma nessuno vi ha badato in Occidente. Erano tutti troppo interessati al petrolio, ai loro vantaggi economici. Oggi le cose si complicano a causa del desiderio di controllare l’Iran. A farne le spese sono i poveri cittadini siriani».

Pensa che l’Isis possa arrivare in Egitto? «No. Il nostro esercito resta forte. Il Paese non rischia l’implosione. Inoltre già in passato abbiamo subito gli attacchi degli islamici radicali, hanno ucciso turisti occidentali, poliziotti, miliari e persino un nostro presidente. Ma li abbiamo sempre tenuti sotto controllo ».

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