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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
27.10.2015 La Russia interviene anche in Iraq: in che cosa sbagliano in Siria Putin e Obama?
Cronaca di Maurizio Molinari, conversazione di Daniele Raineri con Aaron Zelin, esperto di Stato islamico

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Daniele Raineri
Titolo: «Baghdad cede a Putin: 'Sì ai raid anche in Iraq' - 'Cent'anni di guerra'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/10/2015, a pag. 19, con il titolo "Baghdad cede a Putin: 'Sì ai raid anche in Iraq' ", la cronaca di Maurizio Molinari; dal FOGLIO, a pag. 1-4, con il titolo "Cent'anni di guerra", l'analisi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

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Vladimir Putin

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "Baghdad cede a Putin: 'Sì ai raid anche in Iraq' "

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Maurizio Molinari

Luce verde di Baghdad ai raid russi contro lo Stato Islamico (Isis). È il Parlamento iracheno ad adottare la decisione che consente al Cremlino di estendere le operazioni aree iniziate il 30 settembre sui cieli della Siria. «Iraq e Russia hanno raggiunto un’intesa per condurre operazioni contro Isis nel nostro Paese» fa sapere Hakim al-Zamili, capo della commissione Difesa e Sicurezza del Parlamento. Il resto lo spiegano fonti militari russe: «Con questa intesa i raid colpiranno le linee di rifornimento di Isis fra Iraq e Siria, impedendo ai terroristi di rifugiarsi in Iraq». Il passo del Parlamento di Baghdad arriva a pochi giorni dalla visita del capo degli Stati Maggiori Congiunti Usa, Joseph Dunford, che aveva chiesto al premier Haider al-Abadi di non aprire i cieli ai jet russi perché ciò avrebbe «reso praticamente impossibile agli Usa continuare la campagna militare».

Le pressioni di Washington non sembrano aver avuto l’effetto desiderato: aprendo i cieli ai russi Baghdad conferma la scelta di entrare nella coalizione anti-Isis guidata dal Cremlino, già anticipata dall’adesione alla «war room» per il coordinamento militare fra Russia, Iran, Siria ed Iraq creata a fine settembre proprio nella capitale irachena. L’annuncio di Hakem al-Zamli ha avuto opposte reazioni in Iran e Turchia perché Teheran vede premiate le pressioni esercitate su Al-Abadi mentre Ankara esprime preoccupazione sull’estensione di una campagna russa di cui non condivide l’intento di sostenere Assad. In attesa di sapere quando i russi inizieranno a colpire in Iraq – dove Isis controlla vaste aree dell’Anbar, ha la roccaforte a Mosul e da Ramadi è in grado di minacciare la periferia di Baghdad – sul fronte siriano il Cremlino registra invece il rifiuto dell’Esercito di liberazione siriano ad ogni cooperazione. L’offerta era stata estesa dal ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ma il rifiuto dei comandi dei ribelli filo-occidentali è netto: «Non abbiamo bisogno di loro, ci bombardano causando morti e danni alla popolazione civile – afferma il portavoce Issam al-Reis. – Prima si fermino e solo dopo potremo considerare la loro offerta».

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Cent'anni di guerra"

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Daniele Raineri

Roma. Ieri mattina l’esperto di Stato islamico Aaron Zelin è venuto a parlare alla Farnesina in un incontro non aperto al pubblico e organizzato dallo Iai, l’Istituto per gli Affari Internazionali. Zelin ha fondato il sito Jihadology, che da anni – da tempi non sospetti, quando ancora non era un tema urgente – è uno dei punti di riferimenti per chi studia i gruppi jihadisti. Jihadology raccoglie e archivia in versione originale l’infinita varietà delle produzioni media dei gruppi jihadisti più pericolosi. Sul breve termine, Zelin non vede in Siria forze in grado di sradicare lo Stato islamico e di eliminarlo. E i russi, che da circa un mese bombardano la Siria (a ovest, dove non c’è lo Stato islamico) per coprire dall’alto le manovre di terra dei soldati siriani e iraniani? Loro non sono una forza in grado di battere lo Stato islamico? “Per ora stanno riproponendo lo stesso modello seguito dal governo di Bashar el Assad negli anni precedenti, soltanto con forze fresche – dice al Foglio – Altri bombardamenti e altre offensive tentate a terra, ma questo intervento sta peggiorando la situazione invece che risolverla perché c’è un problema ideologico: l’azione militare russa si fonda sull’avanzata di truppe sciite in zone che sono storicamente a prevalenza sunnita, e questo crea uno scenario di aggressione e d’occupazione intollerabile per i sunniti, anche per quelli che non si identificano con i gruppi del jihad e con le degenerazioni fanatiche.

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Aaron Zelin, ricercatore presso il Washington Institute of Near East Policy

Non si può ignorare la questione aperta tra sciiti e sunniti, perché è il grande problema identitario al centro delle guerre mediorientali. Chi la ignora finisce con il fornire combustibile ideologico per i gruppi ultraestremisti perché conferma la loro narrativa: è una grande guerra di religione contro l’islam e tocca rispondere. Questa narrativa andrebbe invece smentita. Quindi una delle grandi questioni per fare la guerra allo Stato islamico e in generale per disinnescare la tensione è questa: trovare soldati sunniti che non facciano sentire chi abita nelle zone sunnite come vittime di un’invasione di pasdaran iraniani. Altrimenti la ricetta è sbagliata. Un esempio per assurdo: basare la strategia della guerra sulle milizie sciite è come mandare in Siria un contingente di peacekeeper israeliani. Più che stabilizzare la situazione sul campo, diventerebbe un magnete per attacchi. E i curdi? Potrebbero essere loro l’esercito che batte lo Stato islamico? Molti curdi sono sunniti, è vero, dice Azelin, ma nel loro caso c’è la complicazione etnica. Arabi e curdi non vanno d’accordo in via automatica, anzi, per dirla con più precisione: i curdi sono formidabili quando combattono nelle zone curde per riprendere il territorio curdo, ma non si può contare su di loro al di fuori di quelle terre, come soluzione per i problemi di Iraq e Siria. Forse allora i gruppi arabi, sunniti e anti Assad che combattono a nord e ovest, tra Idlib, Aleppo e la piana di Hama? Azelin non si fida di Ahrar al Sham (uno dei gruppi islamisti più grandi, rigido ma non interessato al terrorismo internazionale, la scorsa estate ha pubblicato due editoriali per spiegare la propria visione sul Washington Post e sul Telegraph).

“Tra Ahrar al Sham e Jabhat al Nusra c’è la stessa relazione che c’è tra i talebani afghani e al Qaida, anche se Ahrar al Sham e più colta e cosmopolita dei talebani. La loro visione è quella”. E quindi cosa succederà con i gruppi del Fsa che non vogliono una Siria governata dall’estremismo e ricevono armi anticarro da americani e sauditi? Per ora nulla perché stanno tutti combattendo contro un nemico comune, ma poi ci sarà un grande regolamento di conti, tipo l’Afghanistan del 1989, quando i russi lasciarono il paese e le varie fazioni cominciarono a farsi la guerra tra loro. Se una speranza può essere riposta in questi gruppi eredi del Fsa, allora è a sud che bisogna guardare. Azelin considera le fazioni moderate che stanno combattendo in quel territorio compreso tra la capitale Damasco e il confine con la Giordania come il fronte più compatto, disciplinato e funzionale. Se un gruppo sunnita può stabilizzare la Siria e fare la guerra agli estremisti, sono loro, ma sarà un tour de force: dovranno risalire da sud in senso antiorario verso Deir Ezzor, combattere lo Stato islamico lungo tutta la valle dell’Eufrate fino a Raqqa – che nel frattempo è minacciata da vicino da una lenta avanzata dei curdi – e poi passare alle zone di Idlib e Latakia, per ultime.

Ieri il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov, uno dei più abili diplomatici russi, ha rivelato che ogni giorno delegazioni del Fsa arrivano a Mosca per trattare con il gvoerno – una strana situazione: in Siria gli aerei russi li bombardano, a Mosca sono ricevuti al ministero. In ogni caso, è un segno che anche il governo russo trova interessante avere contatti con i gruppi armati siriani che non sono jihadisti – anche se l’Fsa sta negando con sdegno di avere mandato delegati a Mosca. Infine, la dottrina del containment di Barack Obama: ostacolare l’espansione dello Stato islamico, ma senza intraprendere la strada del confronto definitivo. “Basta vedere cosa è successo in Siria in questi anni per capire che il containment non funziona, lo Stato islamico si è espanso come mai prima”. C’è una dottrina alternativa? “Sì, eliminare lo Stato islamico. Ma ancora per un anno ci sarà Obama alla Casa Bianca e non si farà. Il che è anche un errore dal punto di vista ideologico, perché il motto dello Stato islamico è ‘baqiya’, ‘restare’, e ogni giorno è una vittoria e una dimostrazione che loro stanno vincendo e stanno riuscendo a sovvertire l’ordine delle cose. Il containment in questo li aiuta.” Non c’è quindi una soluzione? “Ci sarà, ma dovremmo fare i conti con l’idea che la fine di questa crisi potrebbe arrivare fra cent’anni, si tratta di una fase storica che coinvolge forze immense e complicazioni irrisolvibili”

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