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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.10.2015 Dal dottorato in filosofia al successo ai fornelli: il fenomeno Yotam Ottolenghi
Commento di Angela Frenda

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 ottobre 2015
Pagina: 31
Autore: Angela Frenda
Titolo: «Yotam Ottolenghi: 'Cucino per sfuggire alla malinconia. Le stelle Michelin? Non hanno più senso'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/10/2015, a pag. 31, con il titolo "Yotam Ottolenghi: 'Cucino per sfuggire alla malinconia. Le stelle Michelin? Non hanno più senso' ", il commento di Angela Frenda.

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Yotam Ottolenghi   In famiglia

Perché ho cominciato a cucinare? Forse per sfuggire alla malinconia che mi porto dentro». Lo chef-filosofo (come lo ha definito Jane Kramer sul New Yorker ) spezza in due un frollino al burro e lascia lì la frase quasi fosse un concetto scontato. In realtà capisci dai suoi occhi (vigili, curiosi, sempre sorridenti) che sta parlando soprattutto a se stesso. Come in un’epifania (di quelle che spesso accadono durante un’intervista) lo star-chef d’Inghilterra, idolo dei vegetariani (e non solo), rilegge i suoi ricordi. Mentre Ramael Scully, uno dei suoi amati sous chef, lo osserva comprensivo dall’altro lato del divanetto. Ed è in quel preciso istante che comprendi cosa sia il mondo di un ex bambino che come prima parola pronunciò «ma», che non stava per mamma ma per i crostoni che sua madre gli metteva nella zuppa, la marak appunto. Nella stanzetta per le interviste al secondo piano della casa editrice Penguin filtra un inusuale sole londinese. Yotam Ottolenghi, 46 anni, elegante nella sua camicia bianca indossata sui jeans indigo, è lì per parlare del nuovo libro «Nopi» (pubblicato in Italia da Bompiani , in libreria da giovedì prossimo e scritto con Scully).

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"Plenty", di Y. Ottolenghi

Destinato, come i precedenti «Jerusalem» e «Plenty», a diventare un bestseller mondiale. La sua rubrica di cucina sul Guardian è un culto per molti. Il suo impero di ristoranti ( tra cui Ottolenghi a Islington e Nopi a Soho) ha liste d’attesa interminabili. Il suo deli a Kensington attrae come le api i londinesi pronti a far la fila per un assaggio di cous cous alle mandorle. E piccoli Ottolenghi (come Olia Hercules e Sarit Packer) sono ovunque, pronti a diventare le food star del futuro dopo un duro apprendistato alla corte di re Yotam.

Il segreto
Ma quale è il segreto del suo successo? Come ha fatto un ex dottorando in Filosofia a diventare Ottolenghi? Dalla vita di bambino cresciuto a Gerusalemme con genitori immigrati europei (sua madre è tedesca, suo papà italiano) a quella di studente alla ricerca delle sue vere passioni. Cosa ha spinto il ragazzo che aveva passato anche l’esame per il dottorato in Letteratura comparata a Yale a mollare tutto e iscriversi a un corso di pasticceria al Cordon Bleu di Londra? «Ero insoddisfatto. Sentivo di avere dentro di me grandi passioni mal utilizzate. E all’improvviso ho capito che non ero interessato alla carriera accademica. Ho iniziato a cucinare per gli amici. Lo trovavo rilassante, non ho mai preso da un giorno all’altro una decisione. Ho solo provato a fare ciò che sentivo. E più andavo avanti più stavo bene. Provavo un’immediata gratificazione: le persone che nutrivo erano subito felici, mi ringraziavano... Non come dopo anni di studio all’università. Lo sai anche tu cosa intendo, no? Quando cucini in 10 minuti rendi contente le persone. Una magia che al ristorante si ripete ogni sera».

E qui ritorniamo alla sadness , alla malinconia.... «Sì, qui torniamo al fatto che per me cucinare è stato anche un modo per sconfiggerla. Mi manca da sempre un senso di comunità. E quando vado a lavorare tutto mi sembra più bello. Non c’è silenzio. Ho poco tempo per pensare. E ho bisogno di avere intorno tante persone, la mia squadra, i clienti. La mia comunità, appunto». E la sua famiglia: il compagno Karl Allen, un ex steward incontrato in palestra, e il loro bimbo Max, nato da una mamma surrogata. Il loro coming out rispetto al bambino è avvenuto appena due anni fa sul Guardian: «Volevamo mantenerlo un fatto privato, ma sarebbe stata una scelta egoistica . Max per fortuna ci ha forzato a un secondo coming out , questa volta sul nostro essere genitori gay».

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"Jerusalem", di Y. Ottolenghi

Stile mediterraneo
La cucina di Ottolenghi non è un etnico in senso stretto. Piuttosto viene definita «mediterranea». La sua bravura è mixare suggestioni differenti: ad esempio usare la soia in piatti provenzali, o il rosmarino con il tofu. Quello che hanno in comune molti dei suoi piatti, spiega lui, sono «il sole e i sapori intensi. La mia filosofia è un mix di moderno, Oriente, Londra, Europa del Nord… Insomma, è l’Ottolenghi style. Dove ci sono anche la California, l’Italia… Io ho cercato da subito la mia strada in cucina. Senza adattarmi alla melassa tradizionale. La cosa più difficile nel preparare piatti etnici è farli autentici. Spesso è più buono quello che si assaggia per strada. Infatti molte suggestioni arrivano da lì. Ecco perché le stelle Michelin secondo me non hanno più senso. Negli ultimi 10 anni si va sempre più alla ricerca di buon cibo da consumare in un ambiente informale. Il mondo sta democratizzandosi e forse anche la Michelin dovrebbe capirlo. Non ha più molto ragion d’essere la tendenza al cibo lussuoso. L’obiettivo di molti è fare qualcosa di buono in piccoli ristoranti. Pensate ai food truck… Nessuno ha una stella Michelin. E invece, meriterebbero eccome. È vero, io non sono in nessuna guida stellata, ma la considero una partita che non ho intenzione di giocare. Sono un cuoco di casa e divulgo cucina di casa. Basta leggere i miei libri. Il più grande chef per me? Una vecchietta conosciuta in Nord Africa e faceva un’harissa spettacolare».

Il non-vegetariano vegetariano
Ma Ottolenghi è soprattutto il primo cuoco non vegetariano a scrivere libri per vegetariani. Come ci riesce? «Non sono vegetariano. E forse proprio per questo mi amano. Finora sono stati una setta spesso autopunitiva. Invece le mie ricette non sono tristi. Anche perché non sono mosso da una missione». E il processo di creazione dei piatti è complesso. Nasce nella sua cucina dell’appartamento di Camden, affiancato spesso dalla sua collaboratrice, Sarah Stephens, originaria della Tasmania dotata di grande pazienza. Con lei nascono le migliori creazioni. Quelle che costituiscono il cuore dell’Impero Ottolenghi. Che nella sua curiosità insaziabile ha deciso anche di prendersi un diploma di istruttore di Pilates. «La stupisco? Mah, non si sa mai. Metta che Londra dovesse smettere di mangiare da Ottolenghi...».

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