Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/10/2015, a pag. 18, con il titolo "Pressing di Onu e Stati Uniti per fermare la terza Intifada", la cronaca di Maurizio Molinari; dal GIORNALE, a pag. 16, con il titolo "Cisgiordania, gli israeliani arrestano il capo di Hamas", la cronaca di Roberto Fabbri.
Ecco gli articoli:
Peter Lerner, portavoce dell'esercito israeliano
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Pressing di Onu e Stati Uniti per fermare la terza Intifada"
Maurizio Molinari
Ban Ki-moon e John Kerry tentano di riportare la calma in Medio Oriente lavorando ad un «rafforzamento» dello status quo sulla Spianata delle moschee nella Città Vecchia. Il Segretario generale dell’Onu arriva a sorpresa a Gerusalemme e fa poi tappa a Ramallah per recapitare a Benjamin Netanyahu e Abu Mazen lo stesso messaggio: «Cerchiamo maniere efficaci per consolidare lo status quo». È una visita che apre la strada alla missione del Segretario di Stato Usa, John Kerry, che oggi a Berlino vede Netanyahu e venerdì incontra ad Amman Abu Mazen e re Abdallah puntando a «migliorare e chiarificare l’accordo sullo status quo», come anticipa lui stesso.
Un nuovo patto
Fonti diplomatiche spiegano ad «Haaretz» che il tentativo è di trasformare le «intese verbali» risalenti al 1967 fra Israele e Giordania sulla Spianata delle moschee - il Monte del Tempio degli ebrei - in un «accordo scritto». Poiché palestinesi e israeliani convergono nell’identificare - con tesi opposte - la moschea di Al Aqsa come «casus belli» dell’attuale fase di violenze, Kerry vuole disinnescarlo con un accordo destinato ad essere sottoscritto da Netanyahu e Re Abdallah. È tuttavia un percorso in salita perché l’attuale status quo - gestione civile al «Waqf» musulmano dipendente da Amman e sicurezza agli israeliani con il divieto per i non-musulmani di pregare sulla Spianata e di entrare nelle moschee - è al centro di uno scontro aspro. Abu Mazen accusa gli israeliani di violarlo «consentendo gli ebrei di salirvi in gran numero ed ai soldati di entrare nelle moschea di Al Aqsa» e Netanyahu ribatte che «a violarlo sono i palestinesi perché accumulano armi dentro Al Aqsa, non vogliono che i non-musulmani ci mettano piede e tentano all’Unesco perfino di far classificare il Muro Occidentale come un sito islamico». È un duello incandescente che per Shmuel Berkovitz, autore di «La battaglia per i Luoghi Santi», rischia di innescare una «guerra religiosa» fomentata dagli «estremi opposti»: da un lato i gruppi islamici che vogliono escludere del tutto i non-musulmani dalla Spianata, terzo luogo santo dell’Islam, e dall’altro i gruppi ebraici che vogliono ricostruire l’antico Tempio di Gerusalemme lì dove fu distrutto dalle legioni romane nell’anno 70.
Mediazione Usa
La mediazione di Kerry, fra diplomazia e fede, non ha molto tempo a disposizione perché la «rivolta dei coltelli» non si ferma: ieri un palestinese è stato ucciso e 14 feriti negli scontri al confine con Gaza mentre un israeliano è morto in un incidente a Hebron innescato da lanci di pietre. Sempre a Hebron altri due palestinesi sono stati uccisi dopo aver accoltellato un miliare. Israele ha arrestato 35 esponenti di Hamas nella West Bank - incluso il leader militare Hassan Youssef - e prepara «centinaia di arresti» fra i palestinesi di Gerusalemme autori di recenti violenze per prevenire il rischio di una svolta militare della rivolta, sospinta dagli appelli alla «Jihad armata» che arrivano da parte di Hamas, Isis, Jihad Islamica e imam salafiti del Golfo.
IL GIORNALE - Roberto Fabbri: "Cisgiordania, gli israeliani arrestano il capo di Hamas"
Hasan Yusef, tra i capi di Hamas
«I leader di Hamas non devono aspettarsi che si permetta loro di promuovere violenza e terrorismo dal comfort dei loro salotti e dai pulpiti delle moschee». Con queste parole il portavoce dell'esercito israeliano, tenente colonnello Peter Lener, ha motivato l'arresto, avvenuto ieri mattina nella cittadina di Betunia presso Ramallah, di Hasan Yusef, sessantenne leader del movimento integralista islamico in Cisgiordania. Yusef non è accusato di fatti precisi ma, sempre secondo le fonti militari israeliane, «di avere istigato attivamente e incitato al terrorismo», nonché di avere «incoraggiato ed elogiato attacchi contro israeliani». Il dirigente di Hamas, arrestato più volte in passato, era uscito l'ultima volta di prigione quattro mesi fa.
Continuano intanto i tentativi di aggressioni ai danni di israeliani: ieri un palestinese è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco dalle forze di sicurezza israeliane, dopo che aveva cercato di investire in auto due soldati di Israele a un incrocio stradale nella comunità ebraica di Gush Etzion, nel sud della Cisgiordania. I soldati hanno sparato dopo che l'uomo, uscito dall'auto brandendo un coltello, aveva tentato di avventarsi su di loro. Un altro palestinese è stato ucciso presso la linea di confine con la Striscia di Gaza durante una violenta manifestazione. A sorpresa, è giunto ieri in Israele il segretario generale dell'Onu, Ban Ki Moon. Anche lui, come il segretario di Stato americano John Kerry in missione in Europa, vuole tentare di agire per abbassare la tensione, ma come Kerry probabilmente otterrà poco o nulla.
La violenza cieca che ha innescato questa cosiddetta intifada dei coltelli ha infatti radici religiose islamiche molto profonde e sarà complicato fermarla. Le stesse cause hanno acceso i combattimenti che sono in corso ormai a pochi chilometri dai confini settentrionali di Israele e che vedono coinvolte le milizie del «califfato» e le forze iraniane inviate a sostenere il traballante regime siriano di Bashar el-Assad. Ieri in uno di questi scontri ha perso la vita presso Kuneitra Nadir Hamid, un alto comandante delle milizie Basiji, ben conosciuta in Iran dove ha svolto ad esempio azioni repressive di estrema violenza nel corso delle rivolte giovanili contro il regime teocratico di alcuni anni fa. Con la morte di Hamid salgono a 113 i militari iraniani morti fino a oggi in Siria, e l'afflusso da Teheran è in aumento. Mosca ha invece smentito la notizia, diffusa da fonti lealiste riservate, della morte in combattimento in Siria di tre russi.
L'Osservatorio siriano per i diritti umani (una organizzazione dell'opposizione non radicale in esilio con sede a Londra) ha però confermato, precisando che non si tratterebbe di militari regolari ma di «volontari», che sarebbero rimasti ucciso presso Nabi Younis quando un proietto di artiglieria ha colpito una loro posizione. I bombardamenti russi in Siria, al momento passati in secondo piano sotto il profilo mediatico per via della crisi in Israele, continuano senza tregua. Sempre secondo gli attivisti dell'Osservatorio - in polemica con i comunicati ufficiali di Mosca che negano vittime civili - almeno 370 persone sono morte, tra cui 52 miliziani dell'Isis, in tre settimane di raid russi: 243 miliziani che combattono le forze del regime ma soltanto 52 jihadisti dell'Isis, in teoria l'obiettivo primario degli attacchi.
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