Riprendiamo oggi, 18/10/2015, cronache e commenti da STAMPA, GIORNALE, LIBERO di Maurizio Molinari, Fiamma Nirenstein, Carlo Panella, che informano sulla situazione in Israele.
Naturalmnte ogni quotidiano affronta l'argomento, in maniera più o meno diffusa. Con i soliti portavoce delle posizioni palestiniste, da Michele Giorgio sul MANIFESTO a Eric Salerno sul MESSAGGERO. REPUBBLICA, intervista A.B.Yehoshua, del quale abbiamo già pubblicato la posizione con l'articolo uscito ieri sulla Stampa, e che quindi non riprendiamo.
Ecco i tre pezzi, per avere il quadro più completo:
La Stampa-Maurizio Molinari: " Guerra sui luoghi santi, è un'intifada religiosa"
Maurizio Molinari
Attacchi alla Grotta dei Patriarchi, attentati alla tomba di Simone il Giusto, agguati nei pressi del luogo del primo Tabernacolo, l’incendio alla Tomba di Giuseppe, scontri nella Valle di Kidron e la moschea di Al Aqsa come incandescente contenzioso: l’Intifada dei coltelli ha per protagonisti i luoghi santi assegnando a questa rivolta palestinese un carattere religioso che la distingue dal nazionalismo delle precedenti sollevazioni antiisraeliane, nel 1987 e 2000. I palestinesi, singoli e gruppi, che dal 13 settembre lanciano attacchi contro Israele non hanno ancora una guida riconosciuta ma il movente che li accomuna è la «difesa di Al Aqsa », la moschea della Città Vecchia terzo luogo santo dell’Islam, inaugurata nel 705 lì dove nell’anno 70 le legioni di Tito distrussero il Tempio di Gerusalemme. «Non vogliamo che gli israeliani entrino ad Al Aqsa, sosteniamo chi la protegge e chi soffre per proteggerla - afferma Abu Mazen, presidente palestinese - il governo israeliano deve stare lontano dai nostri luoghi santi». Il Movimento islamico della Galilea ha creato i gruppi di «Morabitun» - le sentinelle coraniche, divise in unità di uomini e donne - per difendere Al Aqsa dai «sacrilegi » e Hamas ha coniato l’espressione «Intifada di Al Aqsa», con il proprio leader politico Ismail Hanyeh, per impossessarsi dell’intera rivolta. Le rassicurazioni israeliane, del premier Benjamin Netanyahu come del capo dello Stato Reuven Rivlin, sul «rispetto dello status quo ad Al Aqsa» - frutto delle intese con la Giordania siglate nel 1967 e 1994 - non hanno avuto finora effetto perché, spiega lo storico Shmuel Berkovitz, «è iniziata la battaglia per i Luoghi Santi» e nessuno può dire come e quando terminerà. Per accorgersene basta sovrapporre la mappa degli attacchi a quella dei luoghi religiosi. Le coincidenze abbondano. Dalla fine dell’ultimo conflitto di Gaza, nell’agosto 2014, gli attacchi palestinesi a Gerusalemme - con trattori e auto ad alta velocità - si sono concentrati nell’area della tomba di Simone in Giusto, lungo l’ex linea verde che separava i quartieri Est ed Ovest fino al 1967, e anche nelle ultime tre settimane è sempre qui che sono avvenuti molteplici attacchi con coltelli contro passanti, agenti e soldati. Il Tempio e Maometto L’altra area di Gerusalemme più colpita è la Porta dei Leoni della Città Vecchia, dove inizia la Via Dolorosa, perché i terroristi la scelgono per colpire gli ebrei che la attraversano per raggiungere il Muro Occidentale, luogo più sacro dell’ebraismo. Fuori della Porta dei Leoni, nella valle biblica di Kidron, c’è il quartiere di Silwan teatro di aspre battaglie fra palestinesi e soldati poco lontano dagli scavi dell’Antica Città di Davide, considerati da Saeb Erakat, braccio destro di Abu Mazen come «un tentativo di giudaizzare Gerusalemme». In Cisgiordania, le sovrapposizioni di moltiplicano. I luoghi degli scontri più duri sono stati finora tre: davanti all’insediamento ebraico di Beit El, dove si trova il luogo biblico del sogno di Giacobbe; attorno alla Tomba di Rachele a Betlemme, dove è stato ucciso dai soldati un palestinese di 13 anni; davanti alla Grotta dei Patriarchi di Hebron, dove ieri una palestinese ha accoltellato una agente della Guardia di Frontiera. I gruppi palestinesi autori delle violenze scelgono questi luoghi per battersi - lo conferma l’incendio della Tomba di Giuseppe a Nablus - con il risultato di esaltare gli aspetti religiosi della rivolta. Come ha fatto la cellula di Hamas che ha ucciso i coniugi Henkin bersagliandone l’auto davanti all’insediamento di Shiloh, dove secondo la Bibbia venne edificato il primo Tabernacolo. La tesi di Taissir Dayut Tamimi, maggiore autorità islamica dell’Autorità palestinese, sul «Tempio di Gerusalemme mai realmente esistito» perché «il Muro del Pianto era solo il luogo dove Maometto legò il suo cavallo Burqat» aggiunge ulteriori tasselli all’identità di una rivolta che Rivlin ammette di temere perché «rischia di trasformare il nostro conflitto con i palestinesi da nazionale a religioso».
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " I palestinesi che insegnao sul web come accoltellare e uccidere gli ebrei
Fiamma Nirenstein
Ècertamente peccato che Bian Asila, 17 anni, abbia tentato di colpire una soldatessa a Hebron, l'abbia ferita a una mano e poi sia rimasta uccisa quando la soldatessa ha reagito. É peccato, come lo è che un altro ragazzo abbia seguito la stessa sorte. Ma ieri sono stati di nuovo tre gli attentati terroristici, due a Hebron e uno a Gerusalemme: i giovani cercano di colpire chi gli capita a tiro, soldati o civili, e la reazione può essere letale. Molte volte non è così e allora, come nel caso di Shuria Dweyat, 17 anni, o di Feli Alloun o del tredicenne Ahmed Manasra (la cui vittima tredicenne anch’essa è ancora in gravissime condizioni) che Abu Mazen aveva dato per «giustiziato», i giovani vengono ricoverati all'ospedale e curati. E poichè tutti sono arabi israeliani, oltre alla doverosa cura che i soccorritori e i medici riservano loro, si attiva anche tutto il trattamento assicurativo che ogni israeliano paga con le tasse. E di fatto moltissimi dei giovani terroristi vivono come ogni israeliano, hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, salvo quello di votare alla Knesset e di fare il servizio militare. Ma se si guarda alle loro case e alle loro vite, si scorge una doppia immagine che complica molto la definizione semplicistica che si dà dei terroristi come di giovani senza speranza. Molti di loro sono studenti, molti proprio (come i loro genitori lamentano quando ne rivendicano l'innocenza) «guardano Tom e Jerry alla tv», molti hanno una moto, amano i vestiti, le ragazze si fotografano con allegri selfie. La loro vita, in cui c'è la musica e il cinema e si può parlare fra i ragazzi dei due sessi, è però avvelenata da quella che è la causa scatenante di questa guerra. Un bruco infame scava nella loro testa sin dai tempi dell'asilo infantile, quando la tv mostra loro Mickey Mouse ucciso dai soldati israeliani, o si applaude una bambina di cinque anni che dice che vuole diventare grande perchè così potrà uccidere un israeliano. L'incitamento ha distrutto il processo di pace, l'obiettivo di distruggere Israele è molto più presente, Abu Mazen può ringraziare la condiscendenza al fiume d'odio che lo ha portato a legiferare per uno stipendio fisso ai terroristi in carcere e a dare il loro nome alle piazze se ora questa Intifada ne mette a repentaglio il potere.
In questi giorni sui social network troveremo una quantità di orrifiche indicazioni su come ammazzare. Zahrab Barbah spiega dove infilare il coltello sotto l'ashtag «stab», pugnala, e lo fa Yussuf con l'ashtag «uccidere gli ebrei». Si presenta uno schema scientifico del corpo umano e si indica bene la giugulare: «A destra, se colpita dà solo un minuto di vita». Si deve anche «colpire la testa, poi girare il coltello e dopo estrarlo».
Karen da Gaza spiega: «Inzuppa il coltello nel veleno, così anche se il pugnale non uccide, il veleno lo farà». Altrove si scrive di badare che non ci siano vie di fuga, ma più che altro molti incitano a lasciare le armi grosse «perchè gli israeliani usano metal detector, basta una siringa caricata a veleno». Quale veleno? É facile: acido solforico o gas. La lista dell'incitamento è infinita, impossibile non conoscerla, ma lo è anche quella di chi sui mezzi di stampa ama definire i cittadini colpiti dal pugnale «settler», «coloni», «ebrei ultraortodossi» per privarli della loro identità di israeliani e per segnalare una connivenza con il politically correct che non considera esseri umani uguali i cittadini del West Bank. Non si ricorda che si tratta di territorio conquistato dalla Giordania durante una guerra, destinato dall'Onu a una trattativa che i palestinesi non vogliono affrontare. La verità è che sotto tutta questa ignominia c'è il sogno di vedere sparire lo Stato d'Israele. Netanyahu e Kerry stanno per incontrarsi a Berlino. Dopo le sue affermazioni avventate a quelle del portavoce del Dipartimento di Stato che accusavano Israele di costruire troppo (Netanyahu è il Premier che ha costruito meno di tutti nell'West Bank) e di usare forza eccessiva contro il terrore, Obama ha invece riconosciuto il diritto di Israele a difendersi. Finalmente. Chissà che lo studio forzato dei documenti non induca il modo intero a raccontarsi un giorno la verità.
Libero-Carlo Panella: "L'intifada è il suicidio palestinesi"
Carlo Panella
L'Intifada dei coltelli continua in Israele nella colpevole mancata condanna di un movimento insensato e dannoso per la causa palestinese da parte di Abu Mazen e dei leader arabi. Ieri, tre tentativi di accoltellamento, del tutto demenziali, da parte di tre giovani palestinesi che ovviamente sono stati uccisi. A Hebron, nelle vicinanze della «tomba dei Patriarchi» una ragazza - la prima donna a cimentarsi in questa sciagurata corsa verso la morte - ha tentato di accoltellare una soldatessa. Naturalmente, le soldatesse israeliane sono perfettamente addestrate anche nel combattimento corpo a corpo e quindi la vittima designata, feritasi alla mano per parare il colpo, ha reagito prontamente e ucciso l'aggreditrice. A Gerusalemme, tentativo ancor più privo di senso da parte di un giovane palestinese che si è avvicinato a una camionetta militare indossando il giubbotto a strisce gialle con la scritta ' Press" indossato dai giornalisti per garantirsi l'incolumità, si è awentato su un soldato isolato dalla sua pattuglia, l'ha atterrato e ferito, ma è stato ovviamente freddato dai commilitoni del ferito (la scena è ben visibile in Rete). Infine, nel quartiere di Gerusalemme Hamon ha Natziv, una pattuglia si è insospettita per il comportamento di un palestinese che si muoveva in modo palesemente goffo, come di chi prepara un agguato. Quando i soldati israeliani si sono avvicinati per chiedergli documenti il ragazzo ha estratto un coltello e ha tentato di colpire: ucciso. Dunque, questo insensato movimento chiamato pomposamente dai palestinesi «terza Intifada» non ha altro risultato che portare alla morte giovani fanatizzati. È chiaro che la popolazione israeliana, in cui tutti, uomini e donne hanno fatto tre anni di servizio militare super professionale e hanno combattuto in guerra, dopo la prima sorpresa, è allenata e non è più il facile bersaglio a sorpresa dei primi giorni (la prima vittima fu un vecchio e indifeso rabbino). Le cifre di questa corsa verso il suicidio parlano chiaro: 7 israeliani uccisi contro 39 palestinesi (tra i quali una decina sono morti nell'altrettanto insensato tentativo di abbattere la rete che segna il confine con Gaza, per una «invasione» individuale ovviamente bloccata dai militari israeliani). Pure Abu Mazen non ha la forza - morale e politica - per condannare questi accoltellamenti che portano alla morte certa gli aggressori e che sul piano politico non hanno alcuno sbocco. La sollevazione corale, di massa di decine di migliaia di manifestanti che contraddistinse negli anni '801a prima «Intifada delle pietre» non si è verificata. Le manifestazioni palestinesi sono sì sparse per tutta la Cisgiordania, ma coinvolgono in ogni località poche centinaia di manifestanti. Hamas e Jihad islamica, ma anche le Brigate di al Aqsa, responsabili di centinaia di morti israeliani per kamikaze tra il 2001 e il 2004, filiazione di al Fatah (per questo Abu Mazen che ne è il leader mantiene il suo opportunistico silenzio), continuano a chiamare al jihad, emettono proclami di morte contro gli israeliani. Ma la sollevazione palestinese non si verifica e questa Intifada ogni giorno che passa si trasforma sempre più nel simbolo di una ennesima sconfitta ricercata. Intanto, i leader arabi, stanno a guardare. Non condannano questi gesti suicidi perché temono di apparire difensori di Israele, che continuano -al solito- a condannare perché ha la «colpa» di difendersi. E non fanno nulla, anche perché temono Hamas (membro della Fratellanza Musulmana) e le sue propaggini dentro i confini dei loro paesi.
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